POLITICA E POTERE
Giorgio Ghiringhelli: “Anche i musulmani moderati avrebbero votato no al burqa”
Parla il promotore dell’iniziativa il giorno dopo il clamoroso successo: “È stato un voto contro il fondamentalismo. Basta coi discorsi di pace e tolleranza, non sono più credibili.”

LOSONE – Il popolo ticinese ieri ha deciso di accogliere l’iniziativa anti-burqa di Giorgio Ghiringhelli e le reazioni non sono di certo mancate. Fra le voci critiche, emerge oggi la preoccupazione del ministro Emanuele Bertoli che, pur premettendo che il popolo ha deciso e ne va preso atto democraticamente, solleva un punto a cui guardare attentamente: proprio una minoranza come il Ticino, che costantemente rivendica alla maggioranza attenzione e rispetto, ha votato contro una minoranza. Per Bertoli appunto “un giorno questo inutile atto di forza potrebbe ritorcersi contro di noi”.

Ma per Giorgio Ghiringhelli “è sbagliato metterla come una minoranza della Svizzera che se la prende con una minoranza che sarebbero i musulmani. Non è proprio così. Ci sono in Svizzera oltre 350mila musulmani, di cui seimila in Ticino. Io sono sicuro che la maggior parte apprezza il nostro modo di vivere, i nostri costumi e valori  e segue la religione così come un cristiano la segue senza essere fanatico. È gente che vuole integrarsi e che apprezza di questo paese quelle libertà che nel loro non ci sono. Bisogna poi però fare distinzione fra musulmani e islamisti. Quest’ultimi sono i fanatici, quelli che vogliono seguire alla lettera il Corano. Gli altri sono i musulmani chiamiamoli moderati, la maggior parte di questi sono convinto che se avesse potuto votare avrebbe appoggiato il divieto, perché altrimenti non sarebbero moderati. Tutto lì. A esser contro in realtà sono quelle frange fanatiche, integraliste, islamiste che hanno un chiaro obbiettivo non solo in Svizzera e Ticino, ma in tutta Europa, di conquistare l’occidente e per raggiungerlo devono assolutamente fare in modo di impedire l’integrazione dei musulmani. Quindi la faccenda del burqa non è contro le minoranze moderate e ben integrate dei musulmani. Ma le minoranze sono proprio questi gruppi integralisti e allora se è contro di loro ben venga. Questo dibattito se non altro è servito a portare allo scoperto questi signori che dicono di rispettare le nostre leggi, ma sotto sotto lavorano per impedire l’integrazione.”

A proposito di dibattito, altra critica emersa riguarda proprio il modo in cui è stato gestito, banalizzando e strumentalizzando la questione.
“Se io sono convinto che c’è in atto questa strategia di conquista dell’Occidente da parte degli integralisti, e non me lo sono inventato, ci sono molti libri sull’argomento, io non posso lanciare un’iniziativa per vietare la presenza degli integralisti e buttarli fuori. Ho preso quindi il burqa, che è sicuramente uno dei loro simboli, per accendere finalmente il dibattito. Io con questa iniziativa non penso di aver risolto chissà quali problemi. Ho dato solo un piccolo segnale di quello che un semplice cittadino può fare in Svizzera grazie ai diritti popolari. E attenzione: il burqa è la parte visibile dell’iceberg, i grandi partiti e il Governo dovrebbero andare sotto la superficie e iniziare un dibattito dicendo che se volete integrarvi siete ben accetti, ma se volete creare associazioni parallele, ghetti, imporre la sharia in certi quartieri o dei tribunali islamici come già in Gran Bretagna, allora non andiamo bene. Perché poi banalizzazione? il problema esiste e l’hanno deciso anche i ticinesi. Al contrario di Gran Consiglio e Governo che in nome del politicamente corretto hanno voluto dire che si tratta solo di un problema di sicurezza.”

Voi invece cosa dite?
“Che è anche un problema di sicurezza, ma non solo. Va detto invece cosa c’è dietro il burqa: è un simbolo di oppressione della donna che cozza contro i nostri principi costituzionali e la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Mentre da parte dei rosso-verdi quasi si è tentato di fare del burqa un simbolo di libertà, quando sappiamo benissimo che nel mondo musulmano tutte le donne sono obbligate a mettere un qualche velo o dallo Stato, o dalla società, o dalla famiglia. E allora noi cosa possiamo fare? Per quei paesi poco, possiamo solo lanciare un segnale dall’Occidente e dire che è sbagliato. E questi invece continuano a fare discorsi di pace amore e tolleranza. Solo un cretino può crederci. Le cronache quotidiane sono lì da vedere. Che poi nella religione islamica ci sia del buono sono il primo a dirlo, ma c’è anche del male; è tutta una questione di interpretazione.”

In sostanza per lei quindi quello dei Ticinesi è stato un no al burqa per dire no all’integralismo?
“Proprio così perché da noi non ci sono burqa. Anche per questo da fuori non si capisce un no così schiacciante. Ma con il loro voto i ticinesi, che sono più informati rispetto ai loro politici o che hanno approfittato del segreto dell’urna per dire finalmente la loro, hanno voluto proprio lanciare questo messaggio. Quello che i contro non voglio vedere è che ce li abbiamo già in casa. La conquista dell’occidente è stata descritta nel libro omonimo da Sylvain Besson, capo redattore di LeTemp, partendo proprio da documenti che sono stati ritrovati a casa di Youssef Nada a Campione d’Italia. Ecco con questa iniziativa ho avuto senz’altro il merito di creare il dibattito e di portare allo scoperto questi integralisti. Infatti abbiamo visto il signor Nicolas Blancho, presidente del consiglio centrare islamico della svizzera, che è venuto fino a Lugano con le sue donne in niqab. Questo signore svizzero convertito all’islam è uno dei più fanatici che ci sono in Svizzera, è uno che in televisione non rinnegava la lapidazione e sosteneva che picchiare le donne fa parte della religione. Eppure si finge di non vedere perché i politicamente corretti non vogliono schiacciare i piedi agli islamisti, non vogliono essere accusati di islamofobia o di razzismo.”

Vinta la battaglia alle urne, la questione andrà ora al parlamento federale che dovrà garantirne la costituzionalità, è tranquillo su questo punto?
“Spero che passi. Ma credo succederà. Se non passa perché dicono che è contro la costituzione svizzera, son certo che qualcuno lancerà un’iniziativa popolare su scala nazionale per inserire questo stesso divieto nella costituzione federale. E una volta che è inserito lì non può più essere incostituzionale. Allora dovranno fare anche questa valutazione politica e dire: meglio lasciare ai cantoni la possibilità di legiferare in materia oppure corriamo il rischio che arrivi qualcuno a metterci nella costituzione svizzera questo divieto?”

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