Ieri l'annuncio di un accordo: il Museo torinese finanzierà il discusso "cugino" di Lugano. Ma ecco cosa si dice della politica culturale nel capoluogo piemontese
LUGANO – Lugano e Torino travolti da un insolito destino… Non è un film di Lina Wertmüller, anche perché siamo in febbraio e non c’è alcun “azzurro mare d’agosto”… L’insolito destino è, nel caso specifico, museale e finanziario. Ieri il Museo delle culture, diretto da Francesco Paolo Campione (nella foto con la capo Dicastero cultura Giovanna Masoni), ha annunciato di aver siglato con il Mao, il Museo d’arte orientale di Torino, un “accordo di programma che apre un capitolo nuovo nei rapporti internazionali tra istituzioni culturali”.
L’accordo, indicava il comunicato stampa, “segna anche l’inizio di una collaborazione tra la Città di Torino con la sua Fondazione Torino Musei e la Città di Lugano. Torino verserà a Lugano 360.000 franchi in quattro anni”.
E ancora: “La previsione è che il vantaggio complessivo si tradurrà il primo anno in un minimo di 120.000 franchi. Negli anni seguenti il primo, tale cifra potrà crescere ulteriormente, sino a superare i 160.000 franchi”.
Fin qui l’insolito destino museale che lega Lugano all’antica capitale sabauda. Ma c’è anche un comune destino finanziario. Il Mao, inaugurato quattro anni fa, fa aspramente discutere a Torino non meno di quanto il Museo delle culture faccia discutere a Lugano. La questione è costantemente dibattuta sui giornali torinesi, in particolare su La Stampa, che scrive: “I visitatori sono stati sessantamila in un anno con un incasso di 300 mila euro di biglietti, a fronte di un investimento di circa 14 milioni di euro da parte dell'amministrazione. Uno "sproposito" secondo i detrattori”.
Palazzo Mazzonis come Villa Heleneum
Da qui l’idea di trasferire il Mao dallo storico Palazzo Mazzonis (che la Fondazione che gestisce i museri di Torino potrebbe vendere per rimpinguare le sue casse vuote) in una sede più piccola e meno costosa. Lo stesso sostiene a Lugano chi propone di vendere Villa Heleneum, attuale sede del Museo delle culture.
Nonostante questa situazione, i responsabili della cultura di Torino hanno deciso di stanziare in quattro anni mezzo milione di franchi in favore del progetto che coinvolge il Museo di Lugano.
Citiamo ancora da un articolo de La Stampa: “Il Mao è considerato – a torto o a ragione - l’anello debole della catena museale torinese. Dicono che costa troppo e ha pochi visitatori, e taluni vorrebbero chiuderlo. Benissimo: adesso la Fondazione Torino Musei è proprietaria di Palazzo Mazzonis, quindi potrà chiudere il Mao, vendere lo stabile, e con l’incasso pagare straordinari e festivi per tenere aperti più a lungo gli altri musei”.
Le pesanti critiche alla cultura elitaria di Torino
Un altro destino che accomuna Lugano e Torino è la critica alla politica culturale della città. Dicono i politici torinesi dell’opposizione: “Più volte abbiamo denunciato il fatto che la Città ha sistematicamente foraggiato un sistema culturale autoreferenziale che, producendo per lo più manifestazioni ed eventi estemporanei, elitari e privi della necessaria capacità attrattiva, non è stato in grado di autosostentarsi e di generare un ciclo virtuoso per cui la cultura, al di là del sostegno pubblico, potesse rappresentare un interesse anche per le politiche di sponsorizzazione dei privati”.
L'esperta internazionale: "I musei non si autofinanziano. Ci vogliono sponsor e ristorazione"
Chi si occupa di cultura a livello internazionale, come Anna Somers Cocks, fondatrice del londinese ‘The Art Newspaper’, spiega: “C’è un unico museo al mondo che si mantiene con la vendita dei biglietti: quello di Dalì, a Figueras. Tutti gli altri, per camminare, hanno bisogno di aiuti statali e d’una robusta terza gamba: le attività collaterali. Prendiamo la Tate Gallery: il 60% del suo bilancio è rappresentato dagli interventi degli sponsor e dagli introiti di ristoranti, affitto sale, boock-shop. Ha trenta dipendenti che si occupano a tempo pieno di fund-raising”.
E sappiamo bene, a tale proposito, che nemmeno al LAC è stato previsto un centro di ristorazione. Altra occasione perduta?
Ma restiamo al Mao e all’insolito destino che lo lega al Museo delle culture di Lugano.
Scriveva recentemente Gabriele Ferraris, caporedattore dell’inserto settimanale de La Stampa: “Poiché viviamo in un’epoca senza sorriso, preciso, a beneficio degli indignati (e degli assessori che potrebbero farsi venire delle idee..), che ragiono per paradossi: non caldeggio davvero la chiusura del Mao, né la trasformazione di Palazzo Mazzonis in un residence. Però non possiamo atteggiarci a grande polo turistico e intanto – per citare un’altra bella trovata - chiudere per un paio di mesi il Borgo Medioevale, così, tanto per risparmiare qualcosina (a Lugano si potrebbe citare la polemica sulla chiusura dei gabinetti pubblici, nrd). Occorrono rispetto e realismo. E realismo non è spacciare per denaro contante beni difficili o impossibili da monetizzare”.
Sul Museo delle culture soffia intanto la polemica sul mandato di comunicazione da 50'000 franchi all'anno
Intanto, sul Museo delle culture continua a soffiare la polemica sollevata domenica dal Mattino. Quella sull’attribuzione di un mandato di comunicazione da 50'000 franchi (pare tra l’altro ricorrente) a un giornalista di Verona legato al Sole 24Ore, Antonio Scuderi. Meglio: alla Capitale Cultura International Sagl recentemente costituita e con sede a Massagno presso una società ticinese. Quel mandato, che figurava nella parte finale del piano di comunicazione per il Museo delle culture (ribattezzato dal Mattino “Museo delle carabattole”), è stato approvato recentemente dal Municipio. Ma nessuno (o pochissimi) sembrano essersi accorti che sul finale della cinquantina di pagine di “piano” c’era anche il mandato alla società di Scuderi.
emmebi