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Il Federalista
19.01.2024 - 15:560
Aggiornamento: 16:55

Mentre Davos discute, nel mondo esplode la diseguaglianza

Un rapporto della Banca Mondiale certifica che il divario tra Paesi ricchi e poveri si sta allargando in modo drammatico.

di Beniamino Sani - contributo de ilfederalista.ch

Negli incontri davosiani vanno in scena accesi dibattiti tra gli specialisti dell’economia, i quali si dividono tra pessimisti e ottimisti sulle prospettive dell’economia planetaria nell’anno appena iniziato. I freddi numeri ci dicono che l’economia mondiale non va così male come ci si sarebbe potuti aspettare. Per esempio l’Europa ha retto piuttosto bene, sempre secondo gli analisti, di fronte alle mille sfide geopolitiche e finanziarie del presente. Anche se poi le stesse cronache davosiane ci dicono che quasi il 60% degli economisti consultati in apertura del Forum pensano che le cose stiano volgendo al peggio.

Per le cassandre, ci dice Il Sole 24 ore, a pesare in negativo sono “le incognite della crisi prolungata nel Mar Rosso, dell’escalation nei conflitti regionali”, oltre al prolungarsi di fenomeni periodici come El Niño (un surriscaldamento ciclico, a intervalli di circa un lustro, dei mari sudamericani che provoca danni a coltivazioni e fauna ittica) che da solo “potrebbe far aumentare i prezzi alimentari globali anche del 9%”. 

Tra chi prevede un rallentamento dell’economia mondiale nel 2024 c’è anche la Banca Mondiale che vede la crescita del PIL globale diminuire dal 2,6% del 2023 al 2,4% del 2024. Detti così sono numeri che forse al profano non dicono molto, ma per capirne le implicazioni bisogna andare ai bordi, alle periferie del pianeta. 

La stessa Banca Mondiale, in una sorta di consuntivo al termine dell’anno appena concluso, ci ha offerto uno scorcio di ciò che gli ultimi anni hanno significato per la parte più debole del mondo. Un breve report dal titolo “Il 2023 in nove grafici: una disuguaglianza crescente”.

“Come accade nella maggior parte delle crisi”, scrive l’istituzione basata a Washington, “sono i Paesi più poveri del mondo ad essere colpiti più duramente. Molti di questi Paesi, già in difficoltà a causa del loro indebitamento, si ritrovano ancora più a corto di risorse.”

Per cominciare guerre e conflitti, a partire da quello scatenato dalla Russia e dall'escalation che stiamo osservando nel Medio Oriente, e le interruzioni nelle catene degli approvvigionamenti minacciano di mantenere il costo delle materie prime a livelli ancora elevati. Certo, il prezzo delle commodities è calato del 25% rispetto al 2022. Resta però ben al di sopra dei livelli alquanto favorevoli dello scorso decennio, come ci mostra chiaramente il seguente grafico: stiamo parlando di combustibili, alimentari e prodotti estrattivi, il cui aumento dei costi imporrà i sacrifici più dolorosi ai Paesi in maggiore dissesto.

Il covid ha colpito duramente 

Gli Stati emergenti e sottosviluppati hanno subìto più di tutti il congelamento parziale delle attività economiche durante l’epidemia di covid: non avendo a disposizione la capacità di finanziarsi dei Paesi più ricchi, hanno dovuto ricorrere spesso a nuovo e costoso debito. Ora, con i tassi di interesse in salita in tutto il globo, i debiti pesano ancor di più sui Paesi emergenti; di conseguenza gli investimenti si riducono. 

Dal punto di vista della crescita economica il lustro apertosi nel 2020 si prospetta come il più difficile da molto tempo. I primi quattro anni si sono rivelati i meno favorevoli degli ultimi tre decenni.  

Il rimbalzo della povertà

Potremmo forse a questo punto dire che il meccanismo dello sgocciolamento, quello sul quale gli economisti neoliberisti hanno fatto affidamento ancora fino a pochi anni or sono, si è inceppato. Di cosa si tratta? Dell’idea che per migliorare le condizioni dei più poveri del pianeta sia sufficiente far crescere la ricchezza dei più ricchi della terra: l’eccesso di ricchezza a cascata ricadrebbe verso il basso, avvantaggiando tutti. 

Il problema non è tanto che questo meccanismo non abbia funzionato nel recente passato, quanto che nei momenti di difficoltà rischia di lasciarsi indietro milioni di esseri umani. E così quello che avrebbe dovuto essere “un decennio critico per lo sviluppo” (sempre citando dalla sintesi di Banca Mondiale) rischia di divenire un decennio perduto.

Ne è segno il fatto che il declino della povertà nel mondo, per cui si erano registrati enormi progressi numerici nei decenni precedenti, è fermo al palo da alcuni anni, complice di nuovo soprattutto la pandemia.  “Dal 2019 il numero” degli indigenti, ovvero “persone che vivono con meno di 6,85 dollari al giorno, è aumentato” a circa 1,8 miliardi di persone; il numero di chi vive sotto la soglia della povertà assoluta, fissata a 2,5 dollari per giorno, è lievitato di ben 60 mio nel solo 2020 dai circa 700 milioni di persone del 2019, e sta ora calando solo molto lentamente. 

Non però in Africa e nel Medio Oriente, regioni che procedono col passo di gambero rispetto al resto del pianeta, alimentando una crescente diseguaglianza che se non combattuta attivamente e con più convinzione vedrà il divario tra i primi e gli ultimi del mondo continuare ad allargarsi.

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