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Il Federalista
13.03.2024 - 17:280

Il Cantone deve finanziare il palazzo della ricca OFIMA? Speziali: "Richiesta legittima ma inopportuna"

Con la polemica sulla ristrutturazione della sede locarnese delle Officine idroelettriche della Maggia si riapre una controversia mai sopita: abbiamo guadagnato meno del dovuto dagli accordi sullo sfruttamento delle nostre acque?

di Luca Robertini per Il Federalista.ch

È un fiume sotterraneo che riemerge a tratti, una delle querelle più longeve della storia politica del nostro Cantone, con risvolti culturali e ambientali di non secondaria importanza. Alle sue origini vi sono le concessioni, nel Secondo Dopoguerra, per lo sfruttamento idroelettrico delle nostre acque alle grandi aziende di proprietà dei Cantoni e delle Città d’Oltralpe.

Concessioni la cui data di scadenza (riversione) si avvicina (le prime decadranno nel 2035, le altre nel decennio successivo), mentre il Cantone ha già formalizzato l’intenzione di tornare padrone dei suoi fiumi

Perché si parla di acque “svendute"

Due note storiche. Torniamo agli anni ‘50, gli anni iniziali della ripresa postbellica, che videro sin da subito crescere il fabbisogno energetico di tutta Europa, Svizzera compresa. Il Ticino si ritrovò, vista la sua morfologia territoriale, al centro dell’attenzione: i nostri fiumi e le nostre montagne apparvero infatti sin da subito particolarmente adatti allo sfruttamento idroelettrico. Se ne accorse l'industria svizzero-tedesca, che fece presto richiesta al Cantone di investire in nuovi impianti.

La politica ticinese colse la palla al balzo e non rimase a guardare. In cambio del capitale necessario per gli investimenti, si accettò di concedere ai confederati condizioni particolarmente favorevoli.

Come ad esempio una ridotta partecipazione del Cantone ai consorzi (20%, quota tuttora posseduta in Ofible e Ofima). Inoltre si raddoppiò – rispetto alla consuetudine – la durata delle concessioni: da 40 a 80 anni. Infine si rinunciò a imporre una quota di energia che andasse fornita obbligatoriamente all’economia ticinese.

Queste opzioni, dettate dalla prospettiva di divenire rapidamente un polo energetico di importanza nazionale, si tradussero in un indotto più modesto per il nostro territorio rispetto a quanto ci si sarebbe potuti attendere. Riservarsi una quota maggiore dell’elettricità prodotta avrebbe probabilmente favorito un più solido sviluppo industriale. L'utile sul commercio dell'energia finì prevalentemente nelle tasche dei Cantoni di residenza delle Partnerwerke. 

Si consolidò così l’impressione che il Cantone avrebbe in qualche modo “svenduto” il suo potenziale idroelettrico.

Che si concordi o meno con questa lettura, la scadenza delle concessioni si sta ormai avvicinando e appare perciò opportuno riflettere sugli effetti delle scelte fatte, onde poter gestire al meglio il futuro delle nostre risorse idriche. 

Sul piatto della bilancia si tratta di porre i diversi aspetti ambientali, spesso trascurati in passato. Si iniziò infatti a considerarli solo a partire dagli anni '80, chiedendo alle aziende d’Oltralpe di contribuire al risanamento dei corsi d’acqua.

Il nodo è tutt’altro che sciolto. Il capitolo dei deflussi minimi adeguati alla fauna a valle degli impianti, richiesti anche dal voto popolare nel 1992, è tutt’ora irrisolto (si veda ad esempio qui): esso si intreccia con l’esigenza di “estrarre” sempre più energia dalle acque.

 

Speziali: "Dalla riversione più soldi alle valli"

In questi giorni la discussione si è focalizzata sulla richiesta di Ofima/Ofible di ottenere 1,5 milioni di franchi dal Cantone allo scopo di intraprendere il risanamento della sua storica sede amministrativa a Locarno. E ciò mentre il Ticino si trova notoriamente a navigare in acque finanziarie agitate, quando invece i principali proprietari delle Partnerwerke registrano utili in qualche caso multimiliardari.

Ripartiamo dunque da questa controversia, in dialogo con Alessandro Speziali, presidente del PLRT e Coordinatore dei progetti regionali del Masterplan Verzasca. Il finanziamento di 1,5 milioni è una richiesta legittima?

La richiesta è legittima, ma non opportuna. Parliamo di un contributo per il restauro dello stabile (ormai urgente e necessario), che è un bene culturale d’interesse cantonale – in particolare per la sua qualità architettonica. La richiesta è legittima. Detto questo, riflettiamo sul principio generale: un proprietario ha per forza il diritto a un sussidio di un bene culturale, anche quando avrebbe mezzi finanziari più che sufficienti? Visti i tempi di ristrettezze finanziarie, direi di no.

Tra qualche decennio il Ticino dovrebbe tornare padrone, per la prima volta dopo le concessioni del secolo scorso, delle proprie acque. Non ci saranno pressioni esterne che ce lo impediranno? 

Certo che ci saranno pressioni e sarei sorpreso del contrario. Nei prossimi anni, le aree urbane della Svizzera interna avranno sempre più bisogno di corrente elettrica –pensiamo per esempio a Zurigo, che vuole azzerare le proprie emissioni non entro il 2050, ma già entro il 2030! Da quel che percepisco, a livello federale ci sono già dei movimenti affinché le grandi realtà (anche aziendali) possano garantirsi l’energia che gli serve. A livello cantonale, invece, auspico che il progetto sia quello di cambiare il paradigma vissuto sinora, e riappropriarci delle nostre fonti di energia, pur non escludendo una collaborazione virtuosa con la Svizzera interna: apparteniamo pur sempre allo stesso Paese. Per fortuna. Ma poi c’è anche un altro fattore da considerare …

Ovvero? 

Lo sviluppo scientifico galoppa. Tra qualche anno l’energia nucleare oltre a essere pulita, sarà anche sicura. È ciò che promettono anche alcuni esperti dei politecnici federali. Questo aiuterà parecchio l’approvvigionamento nazionale e spero anche il prezzo dell’energia, a vantaggio di tutti i consumatori.

Al termine delle concessioni, tutta la spesa di mantenimento dell'infrastruttura ricadrà sul nostro Cantone. Non accadrà che per finanziare il mantenimento dell'infrastruttura anche in futuro, saremo costretti a fare ulteriori deleghe?

Questo è un nodo importante da tenere in considerazione, per evitare che la classica zappa ci finisca su entrambi i piedi. Essere proprietari significa essere anche responsabili delle proprie infrastrutture, con l’assunzione del rischio. Evidentemente dobbiamo valutare con molta intelligenza il business plan legato al ritorno delle acque in mani ticinesi. Ma se siamo davvero convinti del valore dell’oro blu, ci mostreremo all’altezza della sfida.

Lei ha scritto di recente: "Servirà una collaborazione ben congegnata tra le località periferiche e Bellinzona: l’obiettivo sarà di lasciare una quota più ragionevole di indotto alle Valli". In cosa consisterà questa collaborazione? 

Nel trovare le soluzioni più concrete e dirette per assicurare introiti finanziari, sia legittimi sia opportuni, per riprendere due concetti pronunciati all’inizio dell’intervista. L’importante è che il risultato non sia concettuale, ma pratico e misurabile. Possiamo pensare a una perequazione più generosa verso i Comuni periferici o un ristorno finanziario diretto per ogni Comune di Valle bagnato dal fiume. Eventualmente, si potrebbe anche promuovere un massiccio programma di investimenti (turistici, residenziali, territoriali) in queste regioni, ma il rischio è di ridistribuire l’indotto in maniera troppo eterogenea. Ecco dunque che Parlamento, Governo e Comuni devono studiare per tempo la soluzione migliore e meno burocratica possibile.

Riferendomi alla lettera edita su laRegione del 6 marzo di Patrizio Fenini: dobbiamo aspettare il 2048 per riconoscere alle Valli quanto dovuto?

No, e Patrizio Fenini fa bene a sollevare la questione delle tempistiche (che variano però da realtà a realtà). La politica deve sempre agire su due livelli: a corto termine e a lungo termine. Della strategia a lungo termine abbiamo già parlato, mentre a corto termine possiamo già lavorare a una diversa suddivisione delle risorse a livello federale e quindi cantonale. E mentre faremo tutta la pressione necessaria per raddrizzare alcune storture (come per esempio quella in forza della quale Berna riceve 1.3 miliardi mentre il Ticino 86 milioni), come Consiglio di Stato e Gran Consiglio dobbiamo continuare a investire nelle Valli, nei loro progetti, come pure semplificare loro la vita con leggi e regolamenti più vivibili e meno asfissianti.

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