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Il Federalista
23.04.2024 - 11:120

Transgender, non si può scherzare

Una ricerca del Servizio sanitario nazionale britannico afferma che la gran parte degli studi cui si affida oggi la medicina di genere non ha seri fondamenti scientifici

a cura della redazione de ilfederalista.ch

Ci sono pochi altri settori dell'assistenza sanitaria in cui i professionisti hanno così paura di discutere apertamente le loro opinioni, e dove le persone vengono diffamate sui social media e gli insulti riecheggiano i peggiori comportamenti di bullismo”, scrive la pediatra britannica Hilary Cass a margine della sua poderosa ricerca su come nel Regno Unito ci si occupi di disforia di genere e cambiamenti di sesso in età precoce.

E la Cass rincara: “Tutto questo deve finire, la polarizzazione e il soffocamento del dibattito non aiutano i giovani che si trovano al centro di una disputa sociale burrascosa che, a lungo andare, ostacola anche la ricerca, essenziale per trovare il modo migliore di aiutarli a crescere”.

Sono quasi quattrocento le pagine della “Revisione indipendente dei servizi che si occupano di identità di genere in bambini e giovani”, svolta dalla dottoressa Cass su commissione del National Health Service (NHS), il servizio sanitario nazionale britannico (lo studio, in lingua inglese, può essere consultato qui).

Alla Cass era stato chiesto anche di formulare raccomandazioni volte a garantire un elevato standard di cura, sicuro ed efficace, per bambini e giovani incerti sulla propria identità di genere.

I risultati del rapporto indipendente sono preoccupanti. È infatti emerso che i moltissimi studi pubblicati negli ultimi anni su efficacia e conseguenze dei trattamenti proposti a giovani e bambini non sono scientificamente attendibili. Molti medici hanno dunque affrontato la disforia con leggerezza, seguendo linee guida basate su studi approssimativi. È così ufficialmente confermata la tendenza generale di quell’“approccio medico banalizzato” che qualche mese fa era stato minuziosamente descritto al Federalista dall’endocrinologo Fabio Cattaneo.

Linee guida non applicabili, studi poco attendibili

Tra le acquisizioni più importanti della dottoressa Hilary Cass emerge una valutazione complessiva sulle linee guida internazionali oggi esistenti nell’ambito della cura e del trattamento di bambini e giovani affetti da incongruenza di genere: risulta infatti che nessuna di queste potrebbe essere applicata nella sua interezza.

La quantità di ricerche pubblicate in questo campo è notevole, ma le revisioni sistematiche attuate dalla professoressa rivelano la loro scarsa qualità. Il che significa che non esiste una base di prove affidabile su cui prendere decisioni cliniche.

Rimangono poco chiari, per alludere a un aspetto importante, gli effetti dovuti alla pratica di blocco della pubertà. Sarebbero molto deboli, infatti, sia le prove sull’impatto che tale approccio ha sulla disforia di genere e sulla salute mentale o psicosociale, sia il suo effetto sullo sviluppo cognitivo e psicosessuale nell’individuo che ne è sottoposto.

Anche l’uso di ormoni mascolinizzanti/ femminilizzanti presso i minori di 18 anni presenta molte incognite. Tali medicinali sono in uso da tempo nella popolazione transgender adulta, ma i dati riguardanti gli effetti a lungo termine per coloro che iniziano il trattamento in età precoce sono del tutto assenti.

La stessa dottoressa Cass ha dichiarato al British Medical Journal : "Non riesco a pensare a un'altra area dell'assistenza pediatrica in cui si dia ai giovani un trattamento potenzialmente irreversibile senza che si abbia un’idea di ciò che possa loro accadere in età adulta"

Specialisti muti per il clima di terrore

 “La tossicità del dibattito è eccezionale”, scrive la dottoressa Cass nell’introduzione al rapporto, lamentando per altro di essere stata criticata sia quando ha consultato gruppi e correnti che chiedono cautela nell’approccio clinico, sia quando si è rivolta a coloro che la pensano in maniera opposta. E denuncia “un clima nel quale le conoscenze e le competenze di medici esperti (…) vengono talvolta ignorate e invalidate”.

Il New York Times, a conferma di questo clima, riporta  il caso recente di Sallie Baxendale, professoressa di neuropsicologia clinica presso l’University College di Londra, la quale, dopo aver pubblicato una revisione degli studi sull’impatto dei bloccanti della pubertà nello sviluppo del cervello e aver concluso che ‘domande critiche’ sulla terapia rimangono senza risposta, “è stata immediatamente aggredita (...) e recentemente ha dichiarato a The Guardian: ‘Sono stata accusata di essere un'attivista anti-trans, e questo ora emerge su Google e non scomparirà mai’”.

Un’esplosione di casi

Il rapporto evidenzia inoltre che per la recente esplosione del numero di giovani e giovani adulti che hanno dichiarato di avere un’identità trans non esiste una spiegazione semplice. Ricondurre tale aumento a singoli fattori come “una presa di coscienza sociale” è riduttivo.

Esiste, d’altro canto, un ampio consenso sul fatto che la disforia di genere sia il risultato di una complessa interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali, e sul fatto che tale equilibrio di fattori è diverso in ogni individuo.

Di fronte a questo considerevole aumento di casi, tuttavia, non è aumentata la differenziazione delle casistiche: si è continuato a trattare la disforia con le stesse modalità con cui la si trattava negli anni in cui i casi registrati erano molto più ridotti. Oggi i medici non sono in grado di determinare con certezza quali bambini e giovani con disforia di genere vivranno l’incongruenza in maniera duratura.

Il rapporto rende attenti a come l’esplorazione dell’identità sia un processo del tutto naturale durante l’infanzia e l’adolescenza ed è un processo che raramente richiede input clinici. Tuttavia, negli ultimi cinque-dieci anni il numero di bambini e giovani indirizzati al supporto del Servizio Sanitario Nazionale inglese a seguito di incertezza circa la propria identità di genere è aumentato rapidamente.

Secondo la pediatra per la maggior parte dei giovani un percorso medico non è il modo migliore per gestire un disagio legato al genere. Mentre d’altra parte per quei pochi giovani per i quali un percorso medico fosse clinicamente indicato, non sarebbe adeguato consigliarlo senza affrontare al contempo problemi più ampi di salute mentale e/o problemi psicosociali.

Se si vuole che la medicina faccia passi avanti, rende attenti lo studio, deve esistere un livello proporzionato di monitoraggio, supervisione e regolamentazione che da un lato non soffochi il progresso della conoscenza, ma che dall’altro impedisca l’infiltrazione di approcci non provati nella pratica clinica. L’innovazione deve avvenire sulla base di prove certe, e non su quella di argomentazioni ideologiche.

Tra i molti temi affrontati dal rapporto, ci pare interessante rilevare l’accento posto sull’importanza di mantenere intatto il rapporto tra il bambino in cura e la sua famiglia. È condannata l’attuale pratica di favorire la transizione sociale anche all’insaputa dei genitori, se non addirittura di attuare terrorismo psicologico nei confronti dei famigliari (“preferite un figlio trans o un figlio che si suicida?").

Il rapporto Cass riporta che i minori che hanno una relazione di supporto con la propria famiglia hanno tassi di guarigione più alti rispetto agli altri. I genitori dovrebbero in ogni caso essere resi partecipi delle decisioni riguardanti un eventuale percorso di transizione.

I “precursori” tornano indietro (ma a noi non sembra importare)

Il Regno Unito  è certamente uno dei Paesi che prima di tutti ha implementato le cure cliniche nell’ambito della disforia di genere. Tuttavia, visti i numerosi problemi emersi, sta facendo passi indietro. Ciò che non sembra suscitare interesse in Paesi come il nostro.

La stampa locale, per esempio, non ha riferito in alcun modo di questo importante studio. A conferma forse di un clima a tal punto appesantito dall’ideologia che pochi osano esprimersi o citare le nuove scoperte. Ma siamo in buona compagnia.
Mentre a Londra -riporta L’inkiesta, “è stata chiusa la clinica Tavistock, nei paesi nordici è stato fatto un passo indietro sull’uso dei bloccanti della pubertà e negli Stati Uniti iniziano le cause milionarie contro i medici”, in Italia avviene il contrario.


 

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