Scoppiettante intervista con l'esperta: "Le denunce dello scandalo vanno valutate caso per caso. Se non c'è coazione non si può parlare di stupro. Non penso che nessuno sia caduto dalle nuvole sentendo la storia di un produttore cinematografico che ha goduto di vantaggi sessuali da parte di alcune attrici che ha fatto lavorare”
Una vicenda che ha messo a nudo la grande ipocrisia della più grande industria cinematografica del mondo. Dei comportamenti di Weinstein, infatti, pare che ne fossero a conoscenza tutti o quasi. Ma nessuno fino ad oggi aveva mai parlato. Troppo potente l’uomo, troppi i soldi che faceva guadagnare.
Significativo in questo senso un post pubblicato sui social dallo sceneggiatore Scott Rosenberg, per anni collaboratore di Weinstein: “Tutti sapevano, cazzo. Perché lo so? Perché io c’ero. E vi ho visto. E ne abbiamo parlato insieme. Vi ho visti tutti e io ero là con voi. E per me, se il comportamento di Harvey è la cosa più disgustosa che uno possa immaginare, al secondo posto (di poco) c’è l’attuale ondata di condanne ipocrite e smentite che si infrange su queste coste di rettitudine come una marea di virtù farlocca”.
Da quando la stampa statunitense ha scoperchiato il vaso di Pandora, infatti, sono fioccate le testimonianze. Sia delle attrici che sia sono sentite vittime del produttore, sia dei collaboratori, degli amici, dei tantissimi che avevano un rapporto con lui. Il porco-orco, come è stato appellato, in pochi giorni è stato scaricato da tutto e da tutti. Dalla sua azienda all’Accademy dell’Oscar. Eppure tutti sapevano da tempo e tacevano perché, sempre per citare Rosenberg, “lui era la gallina dalle uova d’oro e noi volevamo le uova”.
In Europa, e in Italia in particolare, lo scandalo ha avuto un addentellato grazie alla testimonianza di Asia Argento. L’attrice ha infatti denunciato di essere stata abusata da Weinstein. Ne è nata una polemica feroce, tra chi si è schierato a difesa della figlia di Dario, e chi invece l’ha accusata di aver intrattenuto con il produttore un rapporto quantomeno controverso a scopi di carriera. Della vicenda abbiamo parlato con Kathya Bonatti, sessuologa.
Che idea si è fatta, in generale, di tutta questa storia?
“Credo sia fondamentale fare una distinzione: queste attrici hanno avuto un rapporto consenziente oppure no? Io penso che le persone consapevoli capiscano perfettamente a che scopo sono “sedotte” quando fanno un certo lavoro o frequentano un certo ambiente. Sono quindi in grado di comprendere se ricevono una proposta legata alla sessualità oppure no. E, soprattutto, hanno la facoltà di accettarla o meno. La differenza, quindi, la fa la coazione. Se sono state obbligate, allora si tratta di una violenza che va denunciata e punita con la massima severità. Altrimenti….niente di nuovo sotto il sole. Non penso che nessuno sia caduto dalle nuvole sentendo la storia di un produttore cinematografico che ha ottenuto dei vantaggi sessuali da parte di alcune attrici che ha fatto lavorare”.
I critici hanno rimproverato ad Asia Argento di aver parlato dopo 20 anni. Troppo facile, affermano, aprire il libro solo adesso dopo aver beneficiato dei rapporti con Weinstein per la sua carriera. Come commenta?
“Qualora Asia Argento non fosse stata consenziente è del tutto normale che abbia parlato dopo tanti anni. La mente tende a rimuovere i traumi e quindi occorre del tempo per riportarli alla memoria della coscienza e poi per avere la maturità e la forza emotiva per esprimerli. E anche per sostenere le conseguenze. Se lei invece è stata consenziente, non c’è stata una violenza, non è una vittima. Semmai si può parlare di una valutazione sugli errori del passato”.
Può esserci però una sudditanza psicologica verso l’uomo di potere. E in questo caso le difese del consenso possono essere allentate. Oppure no?
“La sudditanza psicologica di solito è legata a un vincolo di fiducia. Rispetto al contesto di cui stiamo parlando è più facile che accada con le persone della famiglia. Se un’attrice va a chiedere un lavoro, deve essere in grado di dire “sì” o “no” alle proposte che le vengono fatte. E quando una persona non è in grado di farlo, questo in generale, probabilmente è a causa di traumi che ha subito durante la giovinezza o l’infanzia”.
Insomma, par di capire, che lei è d’accordo con chi dice “poteva dire di no come hanno fatto altre attrici, altrimenti quelle che si sono rifiutate cosa sono? Sceme?”.
“Esattamente. Ci sono moltissime persone che rifiutano questo genere di compromessi. Chi sceglie invece di accettarli si deve assumere le proprie responsabilità. Se un’attrice maggiorenne e consenziente decide di preferire la carriera alla sua integrità, acconsentendo a un proposta sessuale, fa una scelta. Poi magari, come dicevo poc’anzi, non è una scelta del tutto libera a causa di traumi passati. Ma è un altro tipo di discorso. È fondamentale distinguere molto chiaramente tra che cosa è uno stupro e cosa non lo è”.
Si potrebbe però obbiettare sul fatto che le donne vengano comunque messe di fronte a queste scelte nel mondo del lavoro. Non è di per sé un’ingiustizia? Una violenza?
“Guardi che vengono messi anche gli uomini nelle stesse situazioni. Nel mondo della moda, ad esempio, anche i ragazzi devono decidere se scendere a compromessi. Indentiamoci: questo contesto è sbagliato, sarebbe molto meglio se non accadesse. Ma le persone possono scegliere di non farlo. Non è un pedaggio da pagare per forza”.
Quindi lei vede tanta ipocrisia nello scandalo Weinstein?
“Sì, moltissima. Per certi versi mi sembra di rivedere le accuse di Hillary Clinton, quando dà del molestatore sessuale a Trump, e tace sul marito che si è tenuto in casa. Dopodiché bisogna analizzare caso per caso le denunce delle presunte vittime del produttore. Ci possono essere episodi di abuso effettivo, ed episodi dove semplicemente le persone non hanno saputo, o voluto, dire di no. La sessualità permea la società. Oggi discutiamo di un produttore, ma non è diverso da certe dinamiche che possono svilupparsi tra medico e infermiera o avvocato e segretaria. Che questo sia un presupposto scorretto per lavorare, sì, assolutamente sì. Ma da una proposta indecente allo stupro ce ne corre”.
Un’ultima domanda su Weinstein. Da alcune testimonianze emerge che il produttore, ad esempio mostrasse i genitali alle attrici durante i colloqui. Questa non è una forma di violenza?
“Sì, lo è. Ogni volta che non c’è il consenso, c’è una forma abuso. Si tratta di un’invasione nella sfera dell’altro. Si può parlare tranquillamente di una violenza indiretta. È per questo che vanno fatte le debite differenze, valutando caso per caso tutte le denunce dello scandalo”.