Il giornalista, socio della cooperativa, non le manda a dire: "L’attuale impotenza a metter voce (se non le mani) dentro le scelte di personale e di programmi inquieta la CORSI e i partiti che vi sono rappresentati"
LUGANO - “La CORSI non serve più? La domanda è legittima”. Enrico Morresi, firma storica del giornalismo ticinese, aggiunge la sua voce al coro di critiche levatosi dopo l’ultima assemblea della cooperativa. L’ex presidente del Consiglio svizzero della Stampa, in un articolo pubblicato sul Corriere del Ticino, demolisce l’ormai celebre documento programmatico con la quale la CORSI vorrebbe tornare a metter bocca nella nomina dei quadri della RSI e nei programmi.
Una posizione quella di Morresi, non dissimile da quella già espressa dalla vicepresidente degli Amici della RSI Amalia Mirante. E, più modestamente, anche da Liberatv. Critiche, tuttavia, rispedite al mittente dai vertici della CORSI, a cominciare dal presidente Luigi Pedrazzini.
Morresi, che è socio della cooperativa, comincia la sua analisi dall’elezione del Consiglio regionale e del Consiglio del pubblico, avvenuta nel corso dell’ultima assemblea: “Dall’elenco degli eletti si ricava la conferma di un’antica prassi: i due comitati sono dominati dai partiti prevalenti nel pelago cantonticinese e grigionitaliano”. Poi fa una breve cronistoria ricordando la riforma che tolse potere alla CORSI, proprio nell’ambito della nomina dei quadri e della realizzazione dei programmi.
“Tutti d’accordo? - scrive Morresi - Non pare. La lingua è tornata a battere dove il dente duole.(…). Sta di fatto che l’attuale impotenza a metter voce (se non le mani) dentro le scelte di personale e di programmi inquieta la CORSI e i partiti che vi sono rappresentati. Gli stessi critici dell’ente, come la Lega dei Ticinesi, condividono tali preoccupazioni. Da qui un rapporto, sottoposto all’assemblea e approvato nel disinteresse generale, in cui (direbbero i francesi, che padroneggiano l’arte di demolire qualcuno o qualcosa senza offenderlo) «l’abondance de la sauce ne saurait chacher l’absence du rôti». Solo fumo? L’attenzione è d’obbligo”.
“Che determinate «riorganizzazioni» alla RSI - sottolinea il giornalista nel suo intervento sul CdT - abbiano dato il mal di testa (e le nomine susseguite l’abbiano se possibile raddoppiato) è un fatto. Che alcuni errori di gusto o di misura, come quelli del duo Casolini-Savoia, abbiano procurato la pelle d’oca è pure un fatto. (…) Ma mi domando: occorre davvero un Consiglio di 17 persone per occuparsi di queste cose? O metter di mezzo addirittura il Consiglio regionale (altri 25)? Trent’anni fa i quotidiani pubblicavano una critica settimanale delle trasmissioni radiotelevisive, oggi non lo fanno più (e sarebbe utilissima). Basterebbe quella”.
“Non sono abituato - conclude Moresi - a far pesare il valore delle cifre. Un lavoro ben fatto deve essere pagato come si deve, e la CORSI di servizi utili ne rende, con appena una decina di dipendenti. Ma 1,3 milioni di costi annuali per contare – come si è visto – poco o nulla, non sono tanti? Soprattutto se, come a me pare, l’attivismo vuol nascondere la debole capacità di influire realmente sull’organizzazione della RSI e sui programmi? Comechessia (direbbe Leopardi), la soluzione non può essere il ritorno a una qualche forma di inframmettenza nella gestione e nei contenuti. Il senso della votazione del 4 marzo 2018 era chiaro: quel che l’elettorato svizzero voleva è una struttura professionale di qualità ancorata a chiare norme di diritto pubblico. Punto e basta. Il resto sono esercizi utili solo a dimostrare di essere ancora utili, se non proprio indispensabili”.