L'analisi dell'economista: "Anche di questo dobbiamo tener conto quando parliamo di riaprire le attività produttive"
di Amalia Mirante*
Il Coronavirus ha bruscamente interrotto le nostre abitudini, fatto traballare le nostre certezze, modificato violentemente il nostro stile di vita. Di punto in bianco ci siamo ritrovati ad essere i protagonisti di quello che fino a qualche settimana fa avremmo definito un film di fantascienza. Ma le morti che hanno toccato tanti di noi sono una durissima realtà. In questi primi mesi stiamo assistendo quasi inermi alla sparizione di una intera generazione. Certo, in modo non sempre tempestivo abbiamo provato a mettere in atto dei correttivi per tutelare le persone anziane e di questo dobbiamo essere grati ai medici che sono usciti dai ranghi denunciando la gravità di questa pandemia nonostante l’iniziale titubanza dei governi. Con le misure attuate abbiamo contenuto la diffusione del virus e quindi le morti.
Ci stiamo prodigando a stimare le conseguenze negative del virus sull’economia e sul nostro livello di benessere materiale, ma mi pare che stia venendo meno l’attenzione sul prezzo che stiamo pagando e pagheremo in termini di vite umane.
Da qualche settimana mi interrogo sul numero di persone che sono decedute in questo Cantone. Purtroppo i dati ufficiali stentano a essere divulgati e quindi ho cercato una maniera alternativa di calcolare il numero di decessi. Grazie al sito todesanzeigenportal.ch ho raccolto tutti gli annunci funebri pubblicati nel mese di marzo. Considerato che questi dati non vogliono vantare nessun livello di scientificità, ritengo comunque corretto aggiungere anche questo elemento di riflessione date le decisioni imminenti di riapertura (naturalmente ben vengano le correzioni delle autorità). Vediamo cosa è emerso.
Se per gennaio e febbraio 2020 in Ticino non ci sono differenze rilevanti rispetto all’anno scorso, ben altra situazione appare per il mese di marzo in cui sono stati pubblicati 334 decessi. L’anno scorso nello stesso mese i decessi erano 260. Questo vuol dire che c’è stato un aumento del 30%.
Ma la realtà potrebbe essere ancora più grave. Se si paragonano le pubblicazioni dei decessi dei mesi precedenti con i dati dei decessi effettivi (non tutte le famiglie fanno gli annunci) questa percentuale potrebbe ragionevolmente aumentare al 45%.
Ciò significa che in un solo mese questo virus ha probabilmente aumentato del 50% il numero di persone morte. Certo non possiamo parlare di causa diretta perché ci mancano i dati, ma i numeri sono chiari. E anche di questo dobbiamo tener conto quando parliamo di riaprire le attività produttive.
Beninteso, l’economia è il mio mestiere. E sono arcistufa di sentir parlare della dicotomia tra economia e vita umana. Rimango allibita quando leggo affermazioni dello stile “si sono anteposti gli interessi economici a quelli della società”. No, ciò che si è fatto e si sta facendo è anteporre gli interessi a breve termine di pochi individui agli interessi di lungo periodo della società intera.
Gli interessi a breve termine di pochi non sono “l’economia”. Anche per l’economia la cosa più importante sono gli individui. Il sistema economico è stato creato per migliorare la vita degli uomini e delle donne e non avrebbe nessuna ragione di esistere senza di loro. Senza persone in buona salute che producono, che consumano, che viaggiano, il sistema economico non può sopravvivere.
Soprattutto in questo momento non possono esserci scontri ideologici: tutti noi abbiamo bisogno che il sistema economico torni a produrre perché tutti noi abbiamo bisogno di lavorare per vivere. Ma dobbiamo farlo nella maniera più sicura possibile. Campionatura rappresentativa della popolazione, identificazione e mappatura precoce dei positivi, obbligo dell’uso delle mascherine sono misure facilmente implementabili.
Quindi no a una lotta ideologica tra economia e sanità; sì a una riapertura, ma a patto di aver messo in atto tutte le misure che ci consentono di tutelare per intero la nostra società.
*economista