CRONACA
Chatrian: il Festival, la cristianità, le polemiche... "Nessuna censura. Solo scelte artistiche. È un patrimonio immenso, non sprechiamolo"
Intervista a tutto campo al direttore della rassegna: "Vi spiego il caso Andy Garcia-Giornale del Popolo". E su Polanski dice: “Indietro non si torna, ma quella scelta la difenderei anche oggi”

di Marco Bazzi

LOCARNO – Non riprendiamo il discorso sulla libertà delle scelte artistiche e sulla libertà di criticarle, che è già stato ampiamente affrontato in questi anni. Partiamo invece dalle polemiche che quest’anno hanno arroventato il Festival del film di Locarno: quella sul rifiuto di proiettare il film ‘Noun’, che racconta le persecuzioni dei cristiani in Iraq; e quella più recente, sollevata dal direttore del Giornale del Popolo, Claudio Mesoniat, il quale ha denunciato che un suo giornalista non è stato ammesso alla conferenza stampa dell’attore Andy Garcia (leggi qui).

Dopo l’editoriale di Mesoniat si sono ovviamente scatenate le reazioni di alcuni politici. Entrambe le polemiche toccano il rapporto tra il Festival e la “cristianità”. Per cui partiamo da qui.

Carlo Chatrian, secondo lei, che lo dirige, il Festival di Locarno ha una linea, per così dire, “anti-cristiana”?
“Assolutamente no. Guardi, io sono cattolico ma sono anche convinto di una cosa: non è scegliendo o non scegliendo un film che parla di cristiani perseguitati che si portano avanti o si ostacolano i valori della religione. Il rapporto tra le due cose non è diretto. Il cinema è una forma d’arte che il Festival ha lo scopo di celebrare. Il punto di partenza è dunque il valore cinematografico di un’opera. E ‘Noun’ ha un linguaggio da reportage, non da cinema. In ogni caso, stiamo parlando di opere che vengono, per forza di cose, giudicate soggettivamente”.
 
Ma la soggettività può essere a volte faziosa, o partigiana…
“Rispondo dicendo che io guardo tutti i film che vengono selezionati prima della proiezione. Per scegliere mi avvalgo di due commissioni (lungometraggi e corti) composte da esperti internazionali. L’internazionalità è per me un criterio fondamentale per garantire il livello del Festival. Aggiungo due cose: la prima è che riceviamo ogni anno circa 3'500 proposte tra corti e lungometraggi e ne scegliamo soltanto 150 circa: la seconda è che non possiamo e non vogliamo trasformare il Festival in una rassegna tematica. Cerchiamo anche dei film che ci parlano del mondo, ma a condizione che siano dei film, che abbiano un valore artistico, insomma”.
 
Quindi niente censura sui temi “cristiani”…
“Ma figuriamoci… Abbiamo proiettato un film che racconta di due giovani che nonostante le difficoltà scelgono di rinunciare all’aborto… O un altro, intitolato ‘Genitori’, che parla del drammatico rapporto con figli disabili… Non crede che anche questi temi abbiano a che fare con la fede?”.
 
Veniamo ora al caso Giornale del Popolo. Cos’è successo?
“Dico subito che all’incontro con la stampa e con il pubblico che Garcia ha tenuto allo Spazio Cinema il Giornale del Popolo aveva due posti riservati e i suoi giornalisti erano presenti e hanno avuto l’occasione per porre domande. Se invece parliamo della ‘round table’ con alcuni giornalisti svoltasi il giorno prima, lì per forza di cose i posti erano limitati: abbiamo 900 giornalisti in questi giorni a Locarno e le richieste di intervista sono numerosissime. La cosa importante è chiarire che il Giornale del Popolo non è stato assolutamente estromesso dalla ‘round table’ con Garcia ma la sua presenza non è stata possibile per il numero limitato di posti impostici dalla loro publicist. Faccio fatica a pensare che un Festival internazionale, tra i 6 o 7 più importanti al mondo, decida di impedire l’accesso a una testata giornalistica per evitare ‘domande imbarazzanti’. Non crede?”.
 
L’anno scorso la polemica era scoppiata su Roman Polanski, quest’anno è partita da Noun… Non c’è pace per il Festival…
“Siamo un Festival internazionale che però incide molto sul territorio, e questo aspetto mi piace, ma bisogna considerare che dobbiamo fare scelte di taglio internazionale. La cosa che mi sorprende - e lo dico da persona che frequenta il Festival da molti anni - è che se faccio un paragone con Cannes, Venezia o Berlino, il territorio e la stampa locale sostengono in modo convinto i loro festival. A Cannes non ho mai visto politici e stampa locale che protestano per mancata scelta di un film. Invece da noi si cercano a volte più gli aspetti negativi che quelli positivi”.
 
Aspetti positivi che però, anche le voci più critiche, non negano…
“Certo, però le continue polemiche rischiano di metterli in ombra, di far passare tra la gente un’immagine negativa del Festival. Io dico che il Festival è un patrimonio immenso per il Ticino intero: a livello culturale, economico e di immagine. Gli ospiti rimangono entusiasti del territorio. Edward Norton ha detto “parlerò a tutti del Ticino”, Andy Garcia ha fatto un giro in barca… Era felicissimo… Ogni nostro ospite diventa un ambasciatore del Ticino e di Locarno a livello internazionale. È un patrimonio importante… non sprechiamolo. Non facciamoci del male, e lo dico senza alcun tono polemico o profetico...”.
 
Ma lei si sente sotto pressione a causa delle polemiche che anche quest’anno non sono mancate?
“Il Festival quest’anno sta andando molto bene, anche grazie al bel tempo. Vedo reazioni positive a livello internazionale ma anche nazionale, da parte dei professionisti e della stampa. Mi pare che la programmazione piaccia e convinca.”.
 
Inviterebbe di nuovo Polanski a Locarno?
“Indietro non si torna, ma quella scelta la difenderei anche oggi”.

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