Meta di lusso e prestigio senza tempo, una bella storia italiana scritta con mano svizzera
Si staglia già al porto, sulla sponda opposta di un ramo del lago di Como. Più ci si avvicina e più gonfia il petto, dirimpetto al traghetto che accompagna in una traversata breve e quieta. Accoglie imponente, sfarzoso, elegante. È storia in marmo e cemento, opera di metà ‘800 del Vantini per i conti Frizzoni.
Una villa privata, immutata nel fascino che la lungimiranza imprenditoriale dello svizzero Arturo Bucher, a inizio ‘900, ha convertito in albergo, un Grand Hotel, il Villa Serbelloni. A Bellagio, a due passi dal confine ticinese. Sono passati cent’anni dal quel 1918 e le redini della struttura sono passati di mano in mano nella stessa famiglia. Ieri Arturo, poi Rudy, oggi Gianfranco e Dusia Bucher, domani i loro figli.
Una tradizione tramandata per amore dell’accoglienza e della storia stessa che il Villa Serbelloni, ristrutturato una ventina di anni fa, trasuda. E per lo spiccato gusto del lusso. Il gusto, che doveva essere celebrato anche a tavola. La tavola di Ettore Bocchia.
Risuonano i tacchi degli ospiti che sfilano sul marmo della sala che porta alla terrazza. Echeggiano e accarezzano le note di una piccola e inappuntabile orchestra che da il benvenuto al ristorante e scandisce il ritmo del servizio. Il contrabbasso detta i tempi, il pianoforte dà sostanza, il violino abbraccia e incanta. Melodie italiane a creare, però, un’atmosfera retrò francese. Che si ritrova nel piatto di un menu celebrativo dei cent’anni dell’albergo.
Emiliano, di casa a Ginevra, di stanza al Grand Hotel, lo chef Ettore Bocchia – padre della cucina molecolare italiana, codificata nel 2002 – esprime in un questo omaggio alla famiglia Bucher la sua verve di stampo francese – qui, da Escoffier in poi – con un tocco mediterraneo. Non bada al “km zero”, ma all’eccellenza del prodotto: non importa da dove viene, conta come è prodotto. Questione di frequenze, di invisibile, di qualità ed equilibrio gustativo. Scostato per un istante il suo menu molecolare, superato il “coup de théâtre” del suo Canone inverso che stravolge la sequenza tradizionale delle portate, i piatti celebrativi dei cento anni del Villa Serbelloni arricchiscono la carta del Mistral – una stella della guida Michelin – con un tocco d’antan servito con la tecnica di oggi.
E allora che si aprano le danze, con il fischio che pare un soffio del tappo di un Jean Vesselle Oil de Pedrix del 1999. Nel bicchiere uno champagne rosé, appena accennato nel colore, che nei 18 anni a riposare sui lieviti ha mantenuto una fresca eleganza e una bollicina pétillante che prende per mano (e gola) per tutta la cena senza mai stancare.
A dare il benvenuto – che, invero, abbiamo lasciato fare a una delicatissima terrina di fegato grasso d’oca di Sousa, che ha bandito la discutibile pratica del gavage, con confettura agrodolce di pomodoro verde – gamberi di Mazara del Vallo e salsa cocktail. Il crostaceo, appena tiepido, ha una consistenza morbida e non vìola il palato che al sentore della salsa con un tocco acido – ketchup e maionese, ça va sans dire, sono preparati ad hoc – proietta indietro di quarant’anni ma con la raffinatezza contemporanea.
Nel primo piatto c’è la Francia che guarda, sbircia e fa il controcanto all’Italia. Gli gnocchi soffiati alla parigina – l’impasto français è più un bigné – portano sostanza e danno una sferzata al ritmo della serata. È il tempo della bouillabaisse, un “classicone” della cucina d’oltralpe rivisitato, anzi celebrato. La portata regina è la Francia in cucina. Quando il carrello si approccia al tavolo, se al di là della vetrata non si vedesse il Lario, si potrebbe immaginare di essere sul Pont du Collognes, chez Monsieur Paul Bocuse.
La cloche si alza e svela l’anatra che verrà preparata à la presse. Disossata dai camerieri in salsa, il canard, dopo essere tornato sotto le cure dello che in cucina, si ripresenta in due servizi: petto e coscia, abbracciati da una salsa ottenuta legando il foie gras e il sangue dell’animale la cui carcassa viene schiacciata (sempre al tavolo) da una pressa fatta realizzare appositamente dal ristorante da un artigiano italiano. È il piatto forte, l’acuto deciso e saporito che appaga testa e palato. Prima del finale ch’è una carezza di un sofficissimo soufflé alla vaniglia con salsa di lamponi.
Un omaggio pomposo e raffinato al tempo stesso, elegante e intraprendente. Per i cent’anni di un albergo che ieri ha ospitato Roosvelt, Churchill e Kennedy, oggi Clooney, Ronaldo e Buffon. Meta di lusso e prestigio senza tempo, una bella storia italiana scritta con mano svizzera.