Dalla seconda condanna a carico di un 27enne per reati analoghi emerge anche il lato dei giovanissimi che cascano nella truffa: "Un brutto segnale sociale", ha tuonato l'avvocato difensore dell'accusato. Il loro identikit
BELLINZONA – Gioventù bruciata, gioventù senza valori, chiamiamola come vogliamo. Ma dal processo di ieri a un 27enne, condannato a 4 anni di carcere, emergono altri elementi sconcertanti.
I fatti: l’uomo era stato condannato per episodi simili nel 2015. Adescava giovani, dai 15 anni, sui social (la prima volta si trattava di Facebook, ora di Snapchat), fingendosi ricco e li attirava in cambio di promesse di regali nella sua auto, dove cercava rapporti con loro. A quanto pare, non si è andati oltre dei toccamenti. Dovrà scontare la pena in una struttura psichiatrica a causa di alcune problematiche rilevate.
Ma coinvolti, loro malgrado, sono anche i giovani che si sono lasciati attrarre. Il difensore del 27enne, l’avvocato Giovanettina, ha detto in aula: “Bisogna avere il coraggio di dire anche cose scomode, i ragazzi erano disposti alle proposte dell’imputato. C’è un problema della facilità con cui questi ragazzi si lasciano convincere per soldi, per scarpe di Gucci o per le felpe Burlon”. E nelle loro reazioni, quando sono stati interrogati, non è emerso “quel turbamento che ci aspetteremmo. E questo è un brutto segnale sociale”.
Un quadro di chi ci è cascato l’ha tracciato l’avvocato degli accusatori privati, Valentina Zeli. Alcuni erano alti, muscolosi, altri avevano l’acne ed erano timidi, qualcuno aveva famiglie solide alle spalle ed altri no. insomma, profili diversi tra loro. “Hanno creduto che avrebbero ricevuto soldi, molti soldi. Non sono adulti, anche se si atteggiano da tali”.