POLITICA E POTERE
La mafia addosso: parla Norman Gobbi. Il ministro: "Dobbiamo unire le forze"
Dopo la nostra indagine sulla presenza mafiosa in Ticino, abbiamo chiesto conto di ciò che è emerso al ministro delle istituzioni: "A livello di Governo federale, diciamo che non percepisco la presa di coscienza in maniera accresciuta, nonostante i Cantoni toccati siano diversi e gli episodi di presenze mafiose dimostrate siamo ormai diverse decine"
© Ti-Press / Benedetto Galli
ANALISI

Ticino: la mafia addosso. Sveglia, sveglia, sveglia, che Troia brucia!

18 MAGGIO 2017
ANALISI

Ticino: la mafia addosso. Sveglia, sveglia, sveglia, che Troia brucia!

18 MAGGIO 2017

di Andrea Leoni

Norman Gobbi, dalla nostra inchiesta tra i vari addetti ai lavori che operano sul territorio in ambito di criminalità organizzata, emerge una forte preoccupazione per la così detta "terra di nessuno che nessuno controlla". Ovvero quella zona grigia creata dalle diverse competenze attribuite ai vari poteri inquirenti. Il Ministero Pubblico della Confederazione e la polizia federale, non controllano il territorio. E la Procura ticinese e la polizia cantonale non sono competenti per inchieste di mafia. Il risultato è questo punto franco di cui non conosciamo la fauna e la flora. Concorda con questa preoccupazione? Cosa si può fare per intervenire?

"Mi permetta di dire che di "punto franco" per le organizzazioni criminali non ve ne sono. È vero le competenze tra le Autorità federali e cantonali sono suddivise in modo chiaro: il pallino delle inchieste di mafia è in mano alla Confederazione. Questo non significa però che il Cantone non possa fare nulla a riguardo. Anche noi facciamo la nostra parte. La dimostrazione? Pensiamo all’inchiesta che qualche mese fa ha portato l’arresto in Ticino di un presunto reclutatore dell’Isis: un ottimo esempio di come, nel rispetto del proprio campo d’attività, gli inquirenti cantonali e federali abbiano collaborato con successo in un caso delicato. Sul piano operativo certamente si potrebbe migliorare ulteriormente la collaborazione, sia tra ministeri pubblici che tra polizie, e questo è un obiettivo continuo dei responsabili".

 

Il controllo e il monitoraggio del territorio è fondamentale anche per cogliere quei segnali difficilmente visibili altrimenti. Ad esempio si sa che la criminalità organizzata predilige "investire" anche in attività dove gira contante: bar, ristoranti e lavanderie ad esempio. Il che, di riflesso, significa anche il pericolo di un'infiltrazione diretta nel tessuto socio economico. Anche lei avverte questo rischio e in che misura?
"Soprattutto in un momento congiunturale come quello che stiamo vivendo, in cui la crisi economica ha segnato la piazza finanziaria e l'economia cantonale, il rischio che aumentino i reati economici è molto alto. Quando c'è difficoltà nel mondo dell'edilizia, della ristorazione, del commercio, ecc. è possibile che organizzazioni criminali si possano inserire nel nostro tessuto economico e sociale, in maniera non violenta ma criminale dal punto di vista del riciclaggio del denaro proveniente da attività illegali. Fondamentale in questo senso è mantenere alta la guardia e garantire una costante collaborazione tra tutti gli attori coinvolti. Un tema che ho portato diverse volte anche all’attenzione dei miei colleghi: per combattere pericoli come l’infiltrazione mafiosa bisogna unire le forze – non solo con le autorità federali – ma anche all’interno della stessa macchina amministrativa e con la società civile, penso in particolare a fiduciari, notai, avvocati e operatori immobiliari. Occorre uscire dalle logiche burocratiche e statali che stagnano il sistema e garantire uno scambio d’informazioni costanti – nel limite di quanto concesso dalle leggi – e una collaborazione attiva".

 

Lei parlò del pericolo mafioso anche in apertura di un anno giudiziario. Da allora che tipo di evoluzione ha potuto osservare dal suo osservatorio. Qual è il suo grado di preoccupazione?
"Diciamo che quando richiamai l'attenzione degli avvocati e dei notai sul mondo della criminalità organizzata, taluni non colsero quanto reale il pericolo fosse e sia tutt'oggi. Chiedersi da dove provengano i soldi, evitare di prestare il fianco ad economie distorte, segnalare casi sospetti fanno parte di quegli anticorpi che dobbiamo sviluppare. Quando si parla di sicurezza in generale non bisogna mai abbassare la guardia. Occorre restare allerta, come per altre minacce quali ad esempio quella terroristica, perché pensare che la nostra società sia immune a questi fenomeni è irreale. Anche per la posizione del nostro Cantone, vicina alla grande metropoli milanese, siamo un territorio a rischio per questo genere di crimini".

 

Ritiene che l'allarme sociale sia in questo momento adeguato ai rischi, oppure nella popolazione e nel mondo politico si tende un po' a sottovalutare il problema?
"Diciamo che la presa di coscienza sul problema non è ampiamente diffusa. Proprio seguendo il monito di Paolo Borsellino a voler parlare di mafia allo scopo di affrontare il problema, qualche mese fa a Lugano ho voluto organizzare un incontro con il Procuratore generale della Confederazione Michael Lauber, per discutere a 360 gradi di tematiche di competenza del Ministero pubblico federale, ed è stata l’occasione di capire anche quello che sta accadendo alle nostre latitudini: ovviamente si è parlato anche di indagini legate alla mafia. Inoltre, stiamo lavorando ad un progetto per sensibilizzare l'apparato statale nei confronti di questi fenomeni e di fenomeni legati agli abusi sulle prestazioni statali".

 

Come giudica il fatto che ci sia un solo un Procuratore Federale ad indagare su inchiesta di mafia in lingua italiana?
"Ricordiamoci che in Ticino abbiamo un antenna del Ministero pubblico della Confederazione. Una presenza importante per il nostro territorio. Si potrebbe fare di più e in maniera più attiva? Certo, ma poi bisogna concedere a livello federale le risorse finanziarie e umane, oltre che trovare persone adeguate ad assumere un ruolo non facile, come quello di combattere le organizzazioni criminali".


Come giudica il fatto che non disponiamo di una fotografia precisa - anche a causa dei problemi posti poc'anzi - rispetto alla presenza della criminalità organizzata in Ticino? Ritiene sia necessario farsi sentire maggiormente a Berna in modo da meglio precisare e circoscrivere il problema?
"Su mia proposta, il Consiglio di Stato del nostro Cantone (e siamo gli unici) incontra il Procuratore della Confederazione: l’ultima volta che Lauber è venuto a Bellinzona è stato lo scorso mese di novembre. Non mi tiro mai indietro quando bisogna far sentire la nostra voce oltre Gottardo, e se lo ritenessi necessario interverrei anche in queste circostanze. A livello di Governo federale, diciamo che non percepisco la presa di coscienza in maniera accresciuta, nonostante i Cantoni toccati siano diversi e gli episodi di presenze mafiose dimostrate siamo ormai diverse decine".

 

A suo avviso che impatto hanno avuto la crisi economica e la Libera circolazione delle persone su questa problematica?
"Sicuramente non hanno aiutato. In un momento congiunturale non favorevole per la nostra economia, il crimine – in ambito economico e finanziario – prova a insediarsi. Non sono un sostenitore della libera circolazione, ma è cosa nota. Infatti, non a caso ho introdotto la misura del casellario proprio per tutelare la nostra sicurezza e avere un controllo di chi intende entrare a insediarsi o a lavorare sul nostro territorio. La nostra comunione territoriale e linguistica con l'Italia ci espone più di altri a questi tentativi da parte delle organizzazioni criminali, in quanto il nostro sistema giuridico-amministrativo liberale e la mancanza di strumenti legislativi rafforzati per combattere le mafie fanno del nostro territorio ticinese un obiettivo appetibile".

 

L'esplosione della criminalità economica, e la diminuzione delle inchieste a causa delle risorse messe a disposizione, come si evince dalle statistiche della sezione dei reati economici della polizia, è un dato molto preoccupante. Anche in chiave di possibili infiltrazioni mafiose. Come lo state affrontando?
"Da un lato negli ultimi anni abbiamo concesso più specialistici finanziari per sostenere l'attività inquirente; dall'altra va data una priorità di intervento al numero crescente di segnalazioni, anche dal mio Dipartimento su casi di fallimenti poco chiari con elementi di carattere penale. Dal punto di visto operativo, le inchieste finanziarie sono molto onerose per la dimensione cartacea degli incarti; quelle economiche hanno bisogno di numerosi elementi, da verificare e suffragare con dati oggettivi. In tal senso, da due anni abbiamo attivato un master con la SUPSI rivolto agli operatori (magistrati, agenti di polizia, economisti e avvocati) volto a sviluppare le competenze professionali nella lotta alla criminalità economico-finanziaria, permettendo nel contempo un proficuo scambio di opinioni ed esperienze tra le persone che lo stanno seguendo".

 

È immaginabile, nel rispetto della legge, che anche gli uffici cantonali che operano in ambiti potenzialmente "sensibili" per la criminalità organizzata, collaborino maggiormente con gli inquirenti attraverso delle segnalazioni?
"Lo facciamo già oggi, e su mia esplicita volontà perchè ognuno deve fare la propria parte. Mi piace definire i nostri cittadini le “sentinelle” attive sul territorio e invito spesso tutti a voler segnalare tempestivamente alla Polizia cantonale movimenti sospetti o situazioni dubbie. Grazie a queste segnalazioni le forze dell’ordine riescono spesso a intervenire e fermare criminali in azione o in procinto di compiere atti illeciti. Lo stesso principio vale quindi anche tra Autorità: il mio invito – l’ho ribadito a più riprese anche all’Associazione dei fiduciari e alle Autorità giudiziarie così come pure a tutti i miei funzionari dirigenti – è quello di segnalare all’autorità competente tutte le situazioni sospette. La collaborazione è un tassello fondamentale nella lotta al crimine organizzato".

 

Gli esperti che abbiamo interpellato per la nostra inchiesta lamentano altresì una collaborazione molto migliorabile tra gli inquirenti ticinesi e quelli federali, in ambito di criminalità organizzata. Cosa si può fare per rendere più efficace questa partnership fondamentale?
"Sicuramente favorire momenti di incontro: è quello che faccio io stesso con i miei omologhi oltre Confine e oltre Gottardo. Per contrastare il crimine organizzato la collaborazione in questi casi è fondamentale. Oltre che a livello politico anche tra addetti ai lavori si potrebbe intensificare gli scambi: Besso (polizia federale) e via Bossi (polizia cantonale) distano poche centinaia di metri, ma talvolta la comunicazione è difficile. Su questo ne abbiamo recentemente parlato con la direttrice di Fedpol Nicoletta Della Valle, e si conviene che si possa fare meglio".

 

Da ministro di giustizia e polizia di questo Cantone, infine, desidera mandare un messaggio chiaro alle organizzazioni criminali che operano sul nostro territorio e a coloro che si occupano di contrastarla?
"Se mi fosse davvero possibile fermare questo genere di attività criminale tramite un annuncio pubblico, avremo la soluzione a tanti problemi (ndr ride). Non ho bisogno di slogan politici, continuerò come sempre a impegnarmi a fondo insieme ai miei collaboratori proponendo misure concrete – come la misura sul casellario, la formazione professionale e la sensibilizzazione degli attori amministrativi ed economici – per fermare e contrastare l’insorgere di rischi per la nostra sicurezza interna. I risultati si ottengono attraverso i fatti".

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