POLITICA E POTERE
No Billag, Lorenzo Quadri: "Bisogna dirlo a chiare lettere: la RSI non chiuderà, al 100%! Sostenere il contrario è soltanto un ricatto per mettere a tacere i favorevoli all'iniziativa. E se in Ticino perderanno sarà solo colpa loro e sarà una sconfitta me
Intervista al Consigliere Nazionale leghista, schierato in prima fila nella battaglia a favore dell'abolizione del canone: "Alle critiche di merito che la Lega pone da decenni, la RSI ha sempre risposto con sorda arroganza. Il lobbista di UPC che ho accreditato a Palazzo Federale? Da loro non prendo un centesimo"
© Keystone / Ti-Press / Gabriele Putzu
di Andrea Leoni


Lorenzo Quadri, lei è uno dei pochi politici di peso in Ticino a battersi apertamente a favore dell’iniziativa No Billag. Al suo fianco, per ora, solo qualche leghista, come Boris Bignasca, e qualche rappresentante dell’UDC, come Alain Bühler. Tutti gli altri sono contro, compreso il Consigliere Nazionale democentrista Marco Chiesa. E anche l’UDC nazionale è spaccata sul tema tra favorevoli e contrari. Insomma, la "sua" destra è tutt’altro che compatta….

“In effetti da una parte c’è un gruppo sparuto di persone, e con mezzi molto limitati, e dall’altra c’è la SSR - e la RSI nel nostro Cantone - con tutto il suo codazzo di soldatini e il suo apparato partitico. Ma è una condizione a cui da leghisti siamo piuttosto abituati. Quanto al mancato sostegno di una parte dell’UDC, non è sorprendente. L’iniziativa No Billag nasce come una proposta di area e non di partito. Ed è quindi assolutamente normale che anche all’interno dei democentristi ci siano delle divisioni. Non mi stupisce affatto”.

 

Glielo chiedo senza giri: lei davvero sente di assumersi fino in fondo il rischio, promuovendo questa iniziativa e invitando i cittadini a votarla, di lasciare a casa oltre 1’000 persone, ovvero i dipendenti della RSI?

“Bisogna essere realisti: questo rischio non esiste. L’iniziativa non ha nessuna possibilità di essere approvata a livello federale. Questo è un fatto evidente a tutti. Bisogna dirlo a chiare lettere: la RSI non chiuderà! Sostenere il contrario è soltanto un ricatto per mettere a tacere chi non è d'accordo con i rappresentanti del “pensiero unico”. Quello che si vuole ottenere attraverso l’iniziativa è un semplice ridimensionamento dell’azienda. Si vuole riportare la radiotelevisione pubblica nel perimetro del servizio pubblico. Ricordo, solo per fare un esempio, che di recente la SSR ha addirittura proposto una trasmissione sulla pornografia. Questo è servizio pubblico? Io non credo proprio. Il problema è che, grazie al canone, la televisione di stato continua a gonfiarsi come una rana. L’iniziativa serve a invertire questa tendenza. Vogliamo dare un chiaro segnale che non siamo più disponibili ad andare avanti così. La dimostrazione di quanto affermo sta nel fatto che se non ci fosse stata la No Billag, il Consiglio Federale non avrebbe mai deciso l’abbassamento del canone, con una mossa elettorale voluta dalla signora Leuthard. Ma l’abbassamento non è definitivo: se l’iniziativa dovesse essere asfaltata nelle urne, verosimilmente sarà aumentato di nuovo”.

 

Quindi, seguendo il suo ragionamento, se la No Billag (qui il nostro dossier con tutti gli approfondimenti e le interviste) avesse avuto delle possibilità di essere accolta in votazione a livello federale, lei non l’avrebbe sostenuta?

“Avrei sostenuto delle vie di mezzo alternative. In Parlamento si è tentato di avanzare l’idea di un controprogetto che fissasse un canone a 200 o 300 franchi. Ma dagli altri partiti è stato eretto un muro. Sono loro ad aver imboccato questa strada del “tutto o niente”, rifiutandosi di cercare un compromesso. Il risultato è che andremo a votare dovendo scegliere fra due posizione estreme: quella di mantenere lo status quo o quella di azzerare. E proprio perché quanto proposta dell’iniziativa è una soluzione estrema, non verrà mai accolta a livello federale, come la storia insegna. Evidentemente la via di mezzo sarebbe stata la scelta migliore e da me preferita”.

 

Quindi lei afferma, ribadisce ed assicura - nonostante ciò che recita il testo dell'iniziativa  - che non c’è alcun rischio per la sopravvivenza della RSI, perché la votazione non passerà al 100% a livello federale. È così?

“Ma certo! L’unico "rischio" che corre la RSI è il ridimensionamento di una casta intoccabile. Tra l’altro, a questo proposito, non si capisce perché in Ticino l’unica realtà a non doversi ridimensionare, con i relativi sacrifici, sia la RSI. Ha dovuto farlo la piazza finanziaria. E non parliamo del resto del mondo del lavoro, messo in ginocchio dalla Libera circolazione, sostenuta a spada tratta proprio dalla radiotelevisione pubblica”.

 

Altra ipotesi di scuola. L’iniziativa viene bocciata in Svizzera, ma approvata in Ticino, e la SSR di conseguenza decide di tagliare di netto la quota destinata alla RSI. Il che vorrebbe dire comunque molti milioni in meno versati da Berna al nostro Cantone. Alla fine non sembra un buon affare comunque, no?

“Innanzitutto non è affatto detto che questa ipotesi si realizzi. La SSR ci ha fatto una testa così in queste settimane con la storia del federalismo e della coesione nazionale. E se accadesse quanto lei prospetta, significherebbe che ci hanno raccontato solo un sacco di fandonie! Sarebbe gravissimo e profondamente anti-svizzero se la SSR decidesse di punire le regioni del Paese a dipendenza di come votano. Anche perché i ticinesi continuerebbero a pagare lo stesso canone che si paga nel resto della Svizzera. Quindi, se decidessero di ridurre le risorse per il Ticino, dovrebbero ridurre anche il costo del canone ai ticinesi”.

 

Vabbé, ma mettiamo che questa ipotesi, comunque plausibile, si realizzi. Quale sarebbe il vantaggio per il Ticino?

“Semmai dovesse realizzarsi questa ipotesi, sarebbe comunque solo colpa della RSI. Se con 250 milioni all’anno di canone e 1’200 dipendenti non riusciranno a racimolare un consenso decoroso, facendosi per giunta battere dal piccolo Mattino, vuol dire che avranno meritato la sconfitta. Il resto è solo il solito ricattino morale verso chi la pensa diversamente da loro. La Lega è da decenni che formula delle critiche di merito sulla conduzione della radiotelevisione pubblica. E loro se ne sono sempre infischiati. Quindi se in Ticino vincerà le iniziativa dovranno assumersene tutte le responsabilità. Ricordo che la Lega è anche uscita dal Consiglio della Corsi, proprio perché veniva sistematicamente ignorata. E il presidente Luigi Pedrazzini disse che non era importante la nostra uscita. Se per loro non eravamo importanti allora, non capisco per quale motivo dovremmo improvvisamente esserlo diventati oggi….”

 

Andiamo nel merito delle critiche allora. Quali sono i rimproveri concreti che muovete alla SSR e alla RSI?

“Intanto il fatto che, con la scusa che tutti possiedono una televisione, è stato introdotto questo modello di riscossione del canone per ogni economia domestica, al di là del fatto che uno guardi o meno la SSR. Il che vìola il principio fondamentale della libertà individuale…”


 


Ma lo ha deciso il popolo di approvare quel modello.


“Sì, per 3’000 voti: quindi la metà del paese è contraria ad essere obbligata a pagare il canone più caro d’Europa. Ma veniamo al resto. Il problema di fondo è che nella RSI entrano una marea di soldi. Talmente tanti da non sapere come utilizzarli. E in futuro ne entreranno sempre di più, considerato il costante aumento della popolazione: per la SSR, in effetti, è vero che immigrazione è uguale a ricchezza… Di conseguenza, da un lato questa montagna di soldi viene sprecata, e dall’altro, grazie a questo strapotere economico garantito dal canone, è stato creato una sorta di monopolio. Inoltre la RSI si è sempre dimostrata un datore lavorato nepotista e familista, assumendo a frotte i famigliari e i raccomandati dei rappresentanti dei soliti partiti. Del resto quando ci fu il caso dei tristemente famosi “licenziamenti all’americana”, nessuno dipendente con determinati legami di parentela ne fu toccato… Infine, il servizio pubblico per essere tale esige un’equidistanza da tutte le parti in causa. E alla RSI questo non è assolutamente dato. Non si tratta di singoli errori che possono capitare - tutti hanno il diritto di sbagliare, ci mancherebbe - ma di una vera e propria impronta smaccatamente ideologica, pro Europa e pro frontiere spalancate, che si vede su tutto il palinsesto, compresi i programmi di intrattenimento. E chi si oppone a questo “pensiero unico” viene costantemente demonizzato e denigrato. Queste critiche, lo ribadisco, la Lega le formula da decenni. Ma la RSI ci ha sempre risposto con sorda arroganza”.

 

Ma se la RSI fosse più parsimoniosa, equidistante, e tutto ciò che lei contesta, sarebbe favorevole a una radiotelevisione pubblica finanziata con un canone oppure no?

“In ogni caso non in questa forma. Così come è impostata oggi l’azienda è un relitto del passato. Sappiamo che i cittadini oggi fruiscono dei contenuti in molti altri modi, gratuiti e non. Di sicuro non c’è più nessuno disponibile a farsi imporre il palinsesto dalla RSI. E il paradosso è che una persona, oltre a pagare per ciò che gli interessa davvero vedere in Tv, è obbligata a sborsare anche il canone per un servizio che magari non gli interessa per nulla. Con questo sistema siamo comunque obbligati a pagare il doppio! La SSR deve fare servizio pubblico, concentrando i suoi compiti in modo limitato, chiaro e imparziale. A queste condizioni sarei anche disponibile a pagare un canone, di certo non esoso come quello attuale”.

 

Lei è stato criticato per aver dato un accredito a Palazzo Federale ad un lobbista di UPC. Le si rimprovera un conflitto di interessi per via del suo sostegno alla No Billag. La si accusa cioè di sostenere i media privati contro il servizio pubblico. Come risponde?

“Innanzitutto chiarisco che io da UPC non prendo un centesimo. Che poi quell’azienda sia una concorrente diretta della SSR è ancora tutto da dimostrare, essendo peraltro un suo inserzionista. Detto questo credo che anche UPC sia una società importante, che porta in dote numerosi posti di lavoro e che in Svizzera ha fatto investimenti rilevanti. L’accredito a cui lei si riferisce dà accesso unicamente ai corridori di Palazzo Federale e ogni deputato può concederlo ad un certo numero di persone. Ma a me sinceramente non preoccupano i lobbisti nei corridoi, ma quelli che sono seduti in Parlamento. La verità è che se quell’accesso fosse dato all’associazione degli inquilini o una società che si occupa di energia ecologica, altri lobbisti insomma, nessuno avrebbe avuto nulla da dire. E invece si è usata questa storia per continuare l’opera di denigrazione verso gli avversari politici”.

 

Ma se la RSI chiudesse a lei mancherebbe almeno un po'?

“Per il consumo che ne faccio io non ne sentirei una grande mancanza, ma ovviamente bisogna guardare un po’ più in là del proprio naso. Io non auspico affatto la chiusura della RSI. Ma l’azienda deve essere ricondotta al suo mandato autentico di servizio pubblico e all’interno di limiti finanziari accettabili”.

 

Infine una curiosità. Lei ha polemizzato spesso con i dirigenti e i giornalisti della RSI. Su Facebook di recente anche Alain Bühler è stato protagonista di discussioni accese con alcuni dipendenti della televisione pubblica. Parteciperà ai dibattiti che la RSI organizzerà sulla No Billag oppure non si sente garantito?

“In nessun dibattito a cui ho partecipato alla RSI mi sono mai sentito garantito dal punto di vista dell’imparzialità. Il fatto che siano scoppiate anche di recente certe polemiche sui social, non fa che confermare l’assoluta mancanza di equidistanza di cui parlavo prima. Questa azienda è incapace di rimanere sopra le parti. Ma così facendo continuano a farsi del male da soli. Purtroppo il tutto non si limita alle polemiche su Facebook: ci sono dipendenti della RSI che divulgano in continuazione articoli di siti di sinistra che gettano fango sulla Lega e sull’UDC. Ma, ripeto, si tratta di un esercizio autolesionista. È semplicemente la rappresentazione di una casta in panico che teme di perdere qualche privilegio. Lo si vede anche dalle attività delle varie associazioni, come quella degli Amici della RSI, che sono soltanto degli addentellati dell’azienda. Questi gruppi sono tutti promossi da persone che, per un motivo o per l’altro, hanno un interesse con la radiotelevisione pubblica. O perché ci lavorano. O perché ci collaborano. O perché li chiamano tutte le settimane a pontificare…”

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