Il Segretario di Stato: "Se a Bellinzona, come non spero ma mi pare possibile, dovesse vincere il referendum, la si guardi in positivo, interpretando per il meglio la volontà popolare. Si ridefinisca semplicemente la funzione del Municipio e dei suoi membri. Con l’indispensabile corollario che funzionari dirigenti non all’altezza delle responsabilità devono essere rimovibili"
La prima sfida politica di rilievo per la nuova Bellinzona sarà quella sugli onorari dei municipali. Un inizio delicato, indipendentemente dalla bontà di quanto il Consiglio comunale ha deciso. Gli argomenti in favore di un’adeguata retribuzione del tempo da dedicare alla funzione ci stanno. Ma sul tempo necessario per svolgerla le opinioni possono divergere.
Un Municipio può essere organizzato – analogamente al Consiglio di Stato – come un consiglio di direttori dei rispettivi dicasteri, o invece come un consiglio d’amministrazione che determina le strategie e attribuisce coi dicasteri ai suoi membri non la direzione operativa, ma la vigilanza sui settori gestiti da funzionari-manager. Non credo che quanto più è popoloso un Comune tanto più la prima soluzione è inevitabile. Nel privato avviene il contrario: una direzione strategica separata da quella operativa è regola per le grandi imprese più che per le piccole.
Temo però che non di ciò si discuta, ma che inconsciamente giochi l’isteria oggi di moda sulla distribuzione del lavoro come fatto politico. Con le elezioni i cittadini distribuiscono «posti», e il referendum per tagliare le retribuzioni cavalcano le frustrazioni dei perdenti per «ritoglierli».
La discussione sul professionismo o semi-professionismo in politica è attualissima in Svizzera, a cominciare dal parlamento federale. Tra gli argomenti a favore vi sono le pari opportunità di accesso, per evitare che la politica sia riservata solo a pensionati o dipendenti di chi persegue un tornaconto (sindacati, organizzazioni economiche e lobby varie). Anche i parlamentari abusano del potere d’inventarsi lavoro, a cominciare dalle commissioni superflue, per giustificare il loro professionismo.
Un tempo il sindaco avvocato o impresario non poteva ricevere mandati o appalti dal suo Comune, ma li riceveva da quello vicino o da privati, perché con la politica si faceva un nome, e non era disdicevole riconoscergli così indirettamente il tempo speso per la comunità, anche oltre confini di partito. Spesso in un studio o nel management di un’impresa un collega si dedicava alla politica curando immagine e relazioni e gli altri producevano anche per lui. Modello rovinato da un’altra isteria d’origine leghista: quella sulle regole per l’attribuzione di mandati, che in nome di una teorica «imparzialità» annullano il margine d’apprezzamento degli organi deliberanti. Diffondendo il sospetto che la politica si fa non per prestare servizio alla comunità, ma per procurarsi privilegi, si è ammazzato il prestigio e quindi l’incentivo a farla gratuita mente per chi i clienti se li deve cercare.
Nella storia il professionismo in politica ha segnato il passaggio dal comune alla signoria, dalla repubblica all’impero. Nello spirito repubblicano i cittadini si mettono gratuitamente a disposizione della cosa pubblica, e hanno così la libertà di andarsene in ogni tempo, senza porsi di fatto al soldo d’interessi per la rielezione. I professionisti invece (a meno di eccedere coi vitalizi per i non-rieletti…) sono inevitabilmente asserviti a chi determina la loro permanenza in carica: il partito, il potere superiore, gli elettori. In una democrazia diretta, espressione massima della tradizione repubblicana, il cittadino-votante ha l’ultima parola su qual è l’interesse generale, almeno nei casi importanti, e quindi il cittadino-elettore dovrebbe scegliere magistrati e parlamentari non in funzione degli interessi che sono supposti rappresentare, ma per la personalità libera da condizionamenti. Il professionismo in politica, originato dal sospetto contro chi la fa per servizio, ha portato a creare proprio quanto si voleva evitare: eletti intenti a tempo pieno a sfruttare gli umori per continuare a beneficiare di ciò di cui vivono. Atteggiamento che non può non degenerare nella difesa dei propri privilegi di casta, vitalizi inclusi: basta guardarsi intorno.
Se a Bellinzona, come non spero ma mi pare possibile, dovesse vincere il referendum, la si guardi in positivo, interpretando per il meglio la volontà popolare: anche se aizzata da referendisti che sono i medesimi all’origine delle isterie che stanno rovinando la nostra cultura politica. Si ridefinisca semplicemente la funzione del Municipio e dei suoi membri. Con l’indispensabile corollario che funzionari dirigenti non all’altezza delle responsabilità devono essere rimovibili.
*segretario di Stato - Articolo pubblicato sull'ultimo numero di Opinione Liberale