POLITICA E POTERE
Regazzi sulla bocciatura del Parco Nazionale: "18 anni e una ventina di milioni sprecati. I promotori sono stati testardi e cocciuti. Ora mi aspetto un bagno di umiltà"
Il consigliere nazionale a tutto campo sul progetto che ha combattuto in prima linea: "Né io né i cacciatori siamo responsabili di questo fallimento. La gente è diventata diffidente e non vuole che lo Stato venga a dettare ulteriori regole in casa sua. È un’altra lezione da cui trarre insegnamenti”
foto: TiPress/Pablo Gianinazzi
di Marco Bazzi

Punto uno: “Non sono stati i cacciatori, o non solo i cacciatori, ad affossare il Parco Nazionale del Locarnese”.

Punto due: “Non intendo accettare il ruolo di capro espiatorio per il fallimento di questo progetto”.

Punto tre: “Come dicevano i latini: il meglio è nemico del bene”.

Punto quattro: “Ora mi aspetto dai promotori un bagno di umiltà”.

Il giorno dopo la votazione che ha affossato il Parco Nazionale, il consigliere nazionale Fabio Regazzi, che si è schierato in prima linea contro il progetto, traccia un’analisi di un fallimento annunciato.

“Chiariamo subito che la mia posizione è nota e chiara da anni, perché del Parco nazionale si parla dal 2000 – dice a liberatv -. Non solo come cacciatore, ma anche come cittadino mi sono schierato fin dall’inizio contro questo modello di gestione del territorio perché non mi convince. Ho una visione liberale della società e ritengo inaccettabili le limitazioni che questo progetto proponeva. E sulle battaglie che ritengo importanti ci metto la faccia. È il mio modo di fare politica”.

Qualcuno tra i sostenitori del Parco ha accusato i cacciatori di averlo sabotato, aggiunge. “Ma non è così. Sarei lusingato se la nostra Federazione avesse tanto potere. Il problema è invece che questo modello non ha convinto ampie fasce di popolazione nei comuni chiamati al voto, soprattutto i giovani”.

Regazzi critica i toni duri della campagna: “Ho sperimentato in questa votazione quello che è una sorta di reato di opinione. Ho ricevuto pressioni e ricatti più o meno velati anche in riferimento alle prossime elezioni nazionali, della serie se non ti schieri dalla parte giusta la pagherai in termini di voti e sostegni personali. In un sistema democratico queste cose non dovrebbero accadere. Io mi sono sempre confrontato a viso aperto, anche con toni duri, ma rispettando le opinioni di chi non la pensa come me. Chiaro, gli eccessi ci sono stati da ambo le parti, ma io parlo dell’esperienza che ho vissuto”.

E spiega che queste pressioni l’hanno indotto a premere l’acceleratore del suo sostegno al fronte del no. “Ho anche avuto una discussione con la consigliera federale, Doris Leuthard. Anche se alla fine ci siamo chiariti. Però questo episodio è sintomatico di come i fautori del Parco abbiano tentato di muovere mari e monti”.

Poi il consigliere nazionale fa un po’ di storia: “Sono 18 anni che nel Locarnese si parla di Parco nazionale. La prima versione ha incontrato forti opposizioni in Valle Maggia e i promotori hanno fatto marcia indietro prima di arrivare al voto. Bisognava trarre già allora qualche lezione e mettere in discussione il modello. L’anno scorso c’è stata la votazione sul Parc Adula, che è stato bocciato senza che i cacciatori si schierassero contro il progetto. Questo era un altro campanello d’allarme che non è stato ascoltato”.

Che la maggioranza della popolazione dei comuni coinvolti, fosse tendenzialmente contraria al Parco del Locarnese, secondo Regazzi era nell’aria: “Ma i promotori hanno voluto andare avanti. Sono stati imperterriti, testardi e cocciuti. E ieri non ho sentito una sola parola di autocritica. Zero. Hanno invece cercato di far credere che il mio sostegno al fronte del no sia stato decisivo nel fallimento del progetto. Mi lusinga, sarebbe bello, ma non è così”.

E aggiunge: “Se avessero avuto un po’ di umiltà nell’ascoltare gli umori della gente avrebbero corretto la rotta prima di andare al voto. Forse da parte dei sindaci, che sicuramente hanno agito in buona fede, sarebbe stato auspicabile un approccio più prudente considerate le sensibilità che questa votazione andava a toccare. Così adesso ci troviamo con un pungo di mosche in mano, mentre un parco regionale, che era a mio parere l’alternativa da seguire, sarebbe già operativo da tempo. Certo, si tratta di una soluzione meno ambiziosa, ma il meglio è spesso nemico del bene”.

In ogni caso, precisa Regazzi, “ora non tocca di certo ai contrari farsi promotori di un nuovo progetto, come qualcuno sembra lasciare intendere”.

Il consigliere nazionale traccia quindi il bilancio del fallimento: “Dal 2000 ad oggi sono stati spesi circa 13 milioni di franchi, ai quali vanno aggiunti quelli relativi alla prima versione del progetto. Non credo di sbagliare se parlo di una ventina di milioni, e solo una parte di quei soldi sono stati investiti sul territorio. Per non parlare delle promesse mirabolanti tipo 1 franco investito nel Parco ne genererà 5 o 6 sul territorio. Non solo: la campagna sul Parco Nazionale ha spaccato la popolazione dei comuni coinvolti, creando tensioni e fratture. Ora spero che si riesca a tornare a lavorare e costruire insieme, imparando dagli errori commessi. Per questo oggi vorrei sentire qualche parola di autocritica da parte dei promotori”.

Infine, una riflessione più generale alla luce del voto di ieri: “Penso che stiamo assistendo a una sorta di effetto pendolo: l’ingerenza dello Stato è diventata eccessiva in tutti gli ambiti della nostra vita e quando si tocca il territorio le reazioni sono particolarmente forti. La gente è diventata diffidente e non vuole che lo Stato venga a dettare ulteriori regole in casa sua. È un’altra lezione da cui trarre insegnamenti”.

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