Lettera al papà dell'ospedale del cuore: sento il dovere, e il piacere, di porgertela questa mano, come tu l’hai stretta a me quando mi trovavo in quel girone orgiastico della sofferenza che sono le cure intense. Soltanto chi l’ha vissuto, chi si è fatto squartare per sopravvivere, conosce il valore immenso di risvegliarsi a casa, con le persone di casa, con la lingua di casa, con la vista sui luoghi di casa
eccomi qua a darti la mano che hai chiesto. A tutti i pazienti che il Cardiocentro ha curato nel corso degli anni, quindi anche a me.
Sento il dovere, e il piacere, di porgertela questa mano, come tu me l’hai stretta quando mi trovavo in quel girone orgiastico della sofferenza che sono le cure intense e, all’infermiere che mi vegliava, dicesti: “Su di lui voglio sapere tutto, a qualsiasi ora, perché si è operato sotto la mia responsabilità”.
Era un intervento piuttosto inedito, il mio, per il problema raro e astruso che mirava a risolvere. E c’era voluto del tempo, molto tempo, per convincermi che era indispensabile, pena il prematuro trapasso, passare dalle seghe e dai bisturi della macelleria: la sala operatoria. La tua testardaggine fu in effetti uno degli elementi decisivi. E ricordo quella frase, mentre come un funambolo stordito mi trovavo nel limbo post operatorio, come un sussulto limpido di coraggio.
Tante altre volte poi, negli anni dopo il “grande taglio”, hai continuato a porgermela una mano. Anche quando ho esibito con una vanità senza pudore tutta l’arroganza, e la frustrazione, e il capriccio, e l’offesa, di cui è capace un esponente radicale, quale io sono, del folto gruppo dei malati rompiballe.
Chiariamolo bene ai lettori: questo è un articolo di parte. Cioè dalla tua parte e del Cardiocentro. E in quanto tale, proprio tecnicamente, nello scriverlo me ne sbatto delle logiche politiche, delle ragioni sanitarie ed economiche, delle trattative e dei patti sottoscritti tra voi e l’Ente ospedaliero. Non me ne importa nulla.
Te lo devo proprio, questo articolo. Scritto così, in modo individualista e interessato, approfittando a piene mani della visibilità di Liberatv e facendo spallucce rispetto al mio conflitto d’interesse di paziente. Godo del privilegio di avere una voce amplificata rispetto a tanti altri malati, grazie al microfono della mia professione. E quindi tacere, o esprimermi a mezze parole, sarebbe ancor più vigliacco e ipocrita di chi resta zitto non disponendo di questo piccolo palcoscenico.
Tu hai chiesto il nostro sostegno senza giri di parole, in coda alla puntata di Falò. Ci hai domandato di aiutare il Cardiocentro come il Cardiocentro ha aiutato noi: ticinesi cardiopatici, con famiglie e amici. In molti, nel vostro ospedale, ci siamo salvati la pellaccia e ci siamo rimessi in piedi. Chi più, chi meno. E lo abbiamo fatto in Ticino, senza dover prendere il treno verso ospedali crucchi.
Soltanto chi l’ha vissuto, chi si è fatto squartare per sopravvivere, conosce il valore immenso di questo particolare. Di risvegliarsi a casa, con le persone di casa, con la lingua di casa, con la vista sui luoghi di casa. Questo è il dono più bello della tua intuizione e del tuo lavoro.
Mi sei parso provato in televisione. Hai detto di essere preoccupato, di sentirti addirittura umiliato, per la piega che sta prendendo la strada che porterà il Cardiocentro sotto il cappello dell’EOC. Fra tre anni. Mi è dispiaciuto perché ho capito, che hai capito, che questa battaglia la perderai, in ogni caso. Da qui il tuo appello a noialtri. Sarò stato distratto, forse, ma mi pare sia caduto un po’ nel vuoto.
Non è stato raccolto neppure da chi - e questo è desolante - ha la voce potente. Il mondo politico, ad esempio, un tempo fin troppo ossequioso - al limite del bacio alla pantofola - quando l’ospedale cardiologico scintillava di potere, mentre oggi che il vento si è fatto avverso, risulta pavido e silente. Mi domando come Lugano, ad esempio, non abbia ancora mostrato gli attributi schierandosi a fianco di un suo centro di eccellenza, come fa molto bene Bellinzona con i suoi ospedali. E dal tuo partito? Neanche un “cip”…
Credo che questo silenzio sia stato un elemento di ulteriore amarezza per te. Quando c’è da battagliare la riconoscenza si prosciuga in un amen e dietro le spalle l’unico esercito che ti ritrovi è “nessuno”. Purtroppo la verità nuda e cruda è che politicamente il Cardio, e tutto ciò che rappresenta, dopo un passato da Impero, oggi è in crisi ed è quindi più debole della sua controparte (in senso lato, non solo l’EOC). Tu hai la tua età, e la tua figura catalizzante, sia dal profilo medico-scientifico, che da quella della raccolta dei finanziamenti, che dal punto di vista politico, inevitabilmente ne risente. Lo stesso dicasi per il tuo principale compagno di viaggio in questa lunghissima avventura, Giorgio Giudici. E oggi, oltre agli onori, vengono al pettine anche gli errori.
L’EOC vuole inglobare il Cardiocentro non perché, nell’età della pietra, sono stati sottoscritti certi accordi. Queste sono storielle, diversivi nella migliore delle ipotesi. L’Ente vuole assorbire ciò che avete costruito perché il Cardio ha un valore, ed è un asset strategico e di punta per la sanità ticinese. Se così non fosse vi avrebbe già abbandonato al vostro destino. Il resto sono chiacchiere. A cominciare dagli autoerotismi ideologici sulla sanità pubblica e privata, utilizzati come grande arma di distrazione di massa.
Noi che siamo all’antica continuiamo a pensare che “squadra che vince non si cambia”. O si cambia il meno possibile. E per squadra si intendono non tanto le persone ma soprattutto il modello (sanitario, scientifico, tecnologico, dell’accoglienza e della cura del paziente) su cui il Cardiocentro è stato edificato. Al diavolo il resto!
Per questo, con spirito da don Chisciotte, firmo questo articolo contro i mulini a vento. Non perderai da solo ma perderemo insieme. E speriamo che qualcun altro s’aggreghi a rimpolpare le fila di quest’armata Bracalone, pronta a battagliare per un’altra causa persa.
Con affetto e riconoscenza,
Andrea Leoni