L'ANALISI - La squadra di Pierre Tami ha perso in Israele a causa della somma di quattro fattori: inesperienza (nell’approccio alla gara e nel leggere i momenti decisivi), ingenuità (sui due calci di rigore), fisicità (troppa differenza di stazza tra gli interpreti delle due squadre), mancanza di peso offensivo. Quattro fattori che si comprano al mercato oppure, in qualche misura, si tenta di allenare giocando queste partite. Ma non mancano gli spunti positivi
Il modulo con cui l’allenatore bianconero ha affrontato la gara si è rivelato sbagliato: del resto in Europa giocare con tre difensori è sempre un azzardo pericoloso e quasi mai una mossa pagante. Perfino la Juventus ha da tempo rinunciato a difendersi a 3 a fronte di questa evidenza. Su questo punto il presidente Angelo Renzetti ha ragione a muovere delle velate critiche al suo allenatore, come ha fatto ai microfoni di Ticinonews. Il secondo tempo lo ha dimostrato.
Renzetti ha meno ragione quando afferma che il Lugano poteva fare di più. O meglio: potrebbe aver ragione se tra i responsabili ci si mettesse anche lui. A questa squadra, infatti, come accennavamo all’inizio, manca un centravanti che faccia goal. Ieri si è visto molto bene. Praticamente nessun tiro significativo nello specchio della porta avversaria e la costruzione del gioco, fatta bene e con personalità dai bianconeri per diversi tratti della partita, soffocata sui 16 metri dalla mancanza di un terminale offensivo. Parliamo dell’assenza di un attaccante credibile nell’area di rigore, capace cioè non solo di concretizzare il lavoro della squadra, ma anche di tenere in tensione i difensori avversari. Gerdnt ieri, tra i bianconeri, ci è apparso il giocatore più in sintonia con il tipo di competizione. Ma è un centravanti al servizio del gioco. Prezioso tatticamente ma senza veleno nelle gambe. Marzouk, al contrario, ci è sembrato il calciatore più inadeguato per il livello di queste partite. Era l’esordio anche per lui ma deve crescere tantissimo se vuol giocare questi match.
Non è tutto da buttare però, anzi. Alla fine il Lugano perde per un rigore che non c’era, il secondo. Golemic è stato molto ingenuo a mettere il braccio sull’avversario che lo aveva saltato, e di conseguenza a trarre in inganno l’arbitro, ma se il calcio è uno sport di contatto, quel contatto, mai nella vita può essere sufficiente a provocare la punizione dagli 11 metri. Dal vivo era un rigore solare, al replay no. Purtroppo l’UEFA, confermando la sua storica allergia alla giustizia e al buon senso, ha deciso di non introdurre la VAR nelle competizioni di sua competenza. Ma questa è un altro storia di cui sicuramente ci dovremo occupare nel prossimo futuro.
Tornando al campo il Lugano non è affatto stato male per larghi tratti della partita. Innanzitutto dentro la gara c’è rimasto fino alla fine. Non ha mai sbracato consegnandosi agli avversarsi, che peraltro rarissime volte si sono resi pericolosi. Non ha mai perso il filo del discorso, neppure quando si è trovato sotto di due goal. Non è scontato per una squadra cenerentola. L’avversario non era certo di alto profilo ma neppure il Lugano lo è. Alla vigilia in molti sottolineavano come si trattasse di una trasferta ostica in un campo caldissimo: la prestazione della squadra ticinese ha reso poco evidente sul campo questo pronostico. Ed è un merito. La personalità con cui i bianconeri sono cresciuti con il passare dei minuti, palleggiando spesso con buona qualità nella metà campo avversaria, è un dato da tenersi stretto per le prossime partite, quando l’impatto con un calcio diverso da quello svizzero, sarà stato assorbito.
Poteva essere un pareggio e invece è stata una sconfitta. Al Lugano è mancato "solo" il goal. Ma quel "solo" è l’unica cosa che conta quando si parla di pallone.