Andrea Pagani come Rino Gattuso... Per due anni sarà sotto esame. Lorenzo Quadri paragona l'elezione del nuovo procuratore generale al mercato del bestiame. Sia pure, ma all'asta per aggiudicarsi vacche e buoi hanno partecipato tutti. Lega compresa...
L’unica cosa che possiamo sperare adesso è che la figura del procuratore generale non diventi un tema di scontro politico in vista dell’imminente avvio della campagna elettorale. La decisione è stata presa dalla maggioranza del Parlamento, istituzionalmente deputato a eleggere il capo della Procura. Le regole democratiche vanno rispettate, anche se non si condividono le scelte
Il pasticciaccio che nelle scorse settimane ha preceduto la nomina del nuovo procuratore generale ha dato vita a un “after” tutt’altro che fantastico.
Dopo aver cannoneggiato domenica il PLR per il suo sostegno ad Andrea Pagani, eletto ieri dal Gran Consiglio, il direttore del Mattino, Lorenzo Quadri, ha rincarato la dose scrivendo:
il candidato che il famigerato assessment zurighese secretato raccomandava di non eleggere”.
E ha aggiunto: “L'indecorosa vicenda della nomina del nuovo procuratore generale, che evidentemente risponde a criteri di idoneità partitocratica (io dò un sedia a te, tu dai una sedia a me) e non qualitativa, scredita sia la giustizia che il Parlamento”.
Che la storia dell’assessment commissionato dall’Ufficio presidenziale del Gran Consiglio all’istituto Zhaw di Zurigo e in seguito ‘secretato’ sia stato all’origine del pasticciaccio lo abbiamo scritto più di una volta. Ma per dovere di chiarezza vanno dette alcune cose.
La prima è che nell’Ufficio presidenziale del Gran Consiglio siedono rappresentanti di tutti i gruppi politici. La seconda è che i risultati dell’assessment, ufficialmente secretato, giravano tra diversi deputati. Quindi erano un classico segreto di Pulcinella.
La terza è che parte del gruppo parlamentare della Lega, dopo aver ‘audito’ i candidati alla guida della Procura, era a favore di Pagani. E lo è rimasto fino a ieri, quando si è trattato di votare, nonostante alcuni “endorsement” dell’ultima ora in favore di Emanuele Stauffer.
Ci sfugge quindi il senso delle cannonate di Quadri contro la “partitocrazia” che avrebbe brigato per eleggere Pagani… Se vogliamo parlare di “mercato del bestiame” dobbiamo dire che all’asta per aggiudicarsi vacche e buoi hanno partecipato tutti.
Il risultato finale è stato che Pagani è stato eletto con 34 voti, Perugini ne ha ottenuti 28, Stauffer 23, e 2 il quarto candidato, Moreno Capella.
Facciamo un passo indietro. Sappiamo che Perugini è stato giudicato “particolarmente idoneo” dalla Commissione di esperti che valuta i candidati alla Magistratura per conto del Parlamento (Commissione che, nonostante si definisca ‘indipendente’ è espressione delle aree politiche), che comunque riteneva idonei tutti i candidati in corsa.
Stauffer era invece “raccomandato senza riserve” dalla Zhaw, la quale per contro ha giudicato “non raccomandato” Pagani. La principale critica al neo procuratore generale era la scarsa propensione alla leadership.
Il Parlamento ha dunque scelto senza tenere in stretta considerazione i pareri degli “esperti”. E forse, al di là delle polemiche sull’assessment “secretato”, va messo in luce un altro dato: il Parlamento ha di fatto pensionato i “Senatori della Giustizia” (avvocati ed ex magistrati), che con i loro pareri e consigli hanno finora condizionato le nomine, rivendicando il proprio diritto di decidere liberamente. Di decidere politicamente.
Nei giorni precedenti il voto parlamentare il PS ha fatto sapere che avrebbe sostenuto Stauffer, di area socialista. Il PLR ha espresso sostegno a Pagani, e il PPD a Perugini.
Quindi, se la nomina del successore a John Noseda è stata viziata da ragionamenti “partitocratici”, al di là dei pareri “esterni”, il problema accomuna tutti i partiti e non solo il PLR. Anche perché il PLR, che ha “solo” 24 deputati (alcuni dei quali sostenevano Perugini, a quanto ci risulta), da solo non avrebbe potuto fare eleggere Pagani, che ha ottenuto, appunto, 34 voti.
Il nuovo procuratore generale ha ottenuto (come i suoi concorrenti) sostegni trasversali. E nei prossimi due anni (quando ci sarà il rinnovo delle cariche) sarà sotto esame e dovrà dimostrare di saper guidare il Ministero pubblico e di avere (per dirla con il ministro Norman Gobbi) “una visione chiara e condivisa della politica giudiziaria”.
Insomma, Pagani oggi è un po’ come Rino Gattuso, sul quale molti tifosi avevano all’inizio pesanti riserve (e che probabilmente gli esperti della Zahw avrebbero bocciato), ma che sta dimostrando di aver preso saldamente in mano le briglie del Milan.
Chiusa la metaforica parentesi calcistica, torniamo alla politica…
“Ogni gruppo – ha dichiarato al Corriere del Ticino il capogruppo liberale Alex Farinelli – ha creduto nelle qualità del proprio candidato. Alla fine è stata premiata la completezza del profilo di Pagani: starà a lui ora sfruttare questa credenziale”.
Il capogruppo del PPD Maurizio Agustoni ha invece detto: “Eleggendo un procuratore generale con un terzo dei voti del Gran Consiglio non si rende un gran servizio al candidato stesso. Sarebbe stato preferibile un sostegno più ampio. Questa elezione ha palesato l’assenza di un chiaro percorso parlamentare nella nomina”.
Agustoni ha ragione. Avevamo scritto anche questo: che l’elezione del Procuratore generale avrebbe richiesto, per l’importanza della carica, una maggioranza ampia e chiara, al di là della “quota politica” dei singoli candidati. Ma è il Parlamento che ha pasticciato. Dall’inizio alla fine.
Il capogruppo leghista Daniele Caverzasio ha detto, sempre al Corriere, che l’elezione del procuratore generale “è stata uno spettacolo che lascia l’amaro in bocca. Tutte le belle parole della vigilia hanno lasciato spazio agli interessi di parte. Non a caso si è preferito non mostrare gli assessment, mettendo la testa sotto la sabbia come gli struzzi”.
La Lega ha poi preso la palla al balzo per rilanciare l’idea dell’elezione popolare dei magistrati, ma questo è ancora un altro tema.
Anche il capogruppo socialista Ivo Durisch si è detto amareggiato: “Soprattutto per come è stata gestita la questione degli assessment. Mostrarli ai deputati forse non avrebbe modificato gli equilibri, ma non mi è piaciuto come si è arrivati al voto”. Ha ragione pure lui. E sulla stessa linea è anche il capogruppo dei Verdi, Francesco Maggi.
Però, qui sembra che ognuno parli come se vivesse su un altro pianeta. Possiamo capire le dichiarazioni di circostanza, ma dobbiamo pur ricordare che dell’Ufficio presidenziale del Gran Consiglio (che ha deciso di commissionare l’assessment e poi di non distribuirlo al plenum), fanno parte: Walter Gianora e Alex Farinelli (PLR), Daniele Caverzasio (Lega), Claudio Franscella e Maurizio Agustoni (PPD), Pelin Kandemir Bordoli e Ivo Durisch (PS), oltre a Francesco Maggi (Verdi) e Gabriele Pinoja (La Destra).
L’unica cosa che possiamo sperare adesso è che la figura del procuratore generale non diventi un tema di scontro politico in vista dell’imminente avvio della campagna elettorale. La decisione è stata presa dalla maggioranza del Parlamento, istituzionalmente deputato a eleggere il capo della Procura. Le regole democratiche vanno rispettate, anche se non si condividono le scelte. E se non si condividono le regole, non resta che cercare di cambiarle. Altrimenti sì che si apre la porta agli interessi di bottega.