Il Consigliere Nazionale PLR: "Non sarebbe altro che una concretizzazione del principio di solidarietà confederale (“Unus pro omnibus, omnes pro uno”) sancito dalla Costituzione svizzera"
di Giovanni Merlini*
Roma non locuta est in merito all’Accordo sulla fiscalità dei frontalieri parafato il 22.12.2015. Neppure la decisione del governo ticinese di rinunciare - in caso di firma dell’Accordo da parte italiana - all’obbligo per i frontalieri italiani di presentare un estratto del loro casellario giudiziale è valsa a sbloccare la situazione. Il che dimostra per altro ciò che ho sempre sostenuto, e cioè che l’Accordo è tutto sommato più vantaggioso per la Svizzera che per l’Italia, anche se consente a quest’ultima di incrementare a medio e lungo termine il suo gettito fiscale.
Ma il traccheggiare delle autorità italiane pregiudica gli interessi del Ticino. Primo perché con l’Accordo in vigore il Cantone dovrà continuare a riversare a Roma - quale compensazione a favore dei Comuni italiani della fascia di confine - il 38.8% delle imposte alla fonte prelevate dai frontalieri italiani, anziché il 30% previsto dal nuovo Accordo. Secondo perché la quota di ristorno fiscale attualmente dovuta all’Italia è significativamente superiore a quella dovuta, per esempio, all’Austria.
Con l’entrata in vigore della libera circolazione delle persone (ALC) Berna aveva modificato l’accordo sui frontalieri con l’Austria, stornandole da allora solo il 12,5% delle imposte incassate alla fonte dai suoi frontalieri. Il vantaggio del nuovo Accordo con l’Italia, se mai entrerà in vigore, consiste nella facoltà del Ticino di incassare il 70% delle imposte alla fonte invece dell’attuale 62.2% (ca. tra i 12 e i 20 mio. in più all’anno). Inoltre i lavoratori italiani saranno tenuti a dichiarare anche in Italia il reddito da lavoro conseguito in Svizzera, deducendo l’imposta ivi pagata. Le ben più elevate aliquote marginali in Italia (pari al 43% per i redditi superiori ai 75'000.- Euro) potrebbero indurre un certo numero di lavoratori frontalieri, quantomeno quelli nelle fasce di reddito superiore, a riconsiderare la loro scelta di lavorare in Svizzera, il che allevierebbe in certa misura la pressione sui salari e sulle infrastrutture in Ticino.
Una forma di compensazione finanziaria a favore del nostro Cantone – che per le note ragioni storiche era stato penalizzato dall’Accordo del 1974 – è già stata ipotizzata nel 2017 dallo stesso Consigliere federale Ueli Maurer, nella sua veste di responsabile del DFF, in un incontro con la Deputazione ticinese, se non si fosse sbloccata la situazione con l’Italia. La compensazione potrebbe essere adottata nel quadro della revisione della Perequazione finanziaria della Confederazione o in altri ambiti: non sarebbe altro che una concretizzazione del principio di solidarietà confederale (“Unus pro omnibus, omnes pro uno”) sancito dall’art. 44 cpv. 1 della Costituzione svizzera.
Un nuovo atto parlamentare promosso con i colleghi Fabio Abate e Rocco Cattaneo sarà quindi depositato all’inizio della prossima sessione parlamentare affinché sia ripreso il filo di quel discorso e si riporti l’attenzione del Consiglio federale sul prezzo che il nostro Cantone si è accollato in tutti questi quarantacinque anni per volontà della Confederazione. È tempo di fare un po’ di conti a Berna e di ottenere un equo indennizzo.
*Consigliere Nazionale PLR