Un anno esatto fa le prime chiusure. "Quella che doveva essere un’eccezione, una transitiva ingerenza statale nelle nostre attività, a distanza di un anno fa sì che non si vedano, non solo la luce, ma nemmeno le pareti del famoso tunnel"
di Massimo Suter*
Esattamente un anno fa, il 14 marzo, venne deciso quello che mai avremmo pensato si potesse ordinare: la chiusura totale di tutte le nostre attività per un periodo che, alla fine, durò la bellezza di 8 settimane.
Settimane di apprensione e totale smarrimento, che venivano scandite dagli annunci di continui contagiati con il numero dei morti che esplodeva in modo drammatico. A loro va il nostro pensiero commosso e alle famiglie il nostro sentimento di vicinanza. E a questo “dramma” sociale, condito da una disarmante sensazione di impotenza di fronte allo “sconosciuto”, si sommava l’incertezza sul destino delle nostre attività, dei nostri “bambini”, che con immensi sacrifici abbiamo fatto crescere, posizionandoci sul mercato con le nostre imprese, già, “nostre e basta”!
E lo Stato ce le ha chiuse con la giustificazione dell’emergenza nazionale e sociale, che le grandi guerre a confronto erano un’orticaria. Siamo davanti a un abisso in apparenza senza fine.
Con la fine di questo marzo si chiuderà, con ogni probabilità, l’ennesimo mese di chiusura per un settore che rappresenta, più di ogni altro, il nostro territorio. Quella che doveva essere un’eccezione, una transitiva ingerenza statale nelle nostre attività, a distanza di un anno fa sì che non si vedano, non solo la luce, ma nemmeno le pareti del famoso tunnel. In questo anno pandemico abbiamo dimostrato alto senso di responsabilità, rispettando le regole imposte dalle autorità e mettendo in atto tutte le misure restrittive, igieniche e di distanza sociale che ci
permettessero, perlomeno, di poter restare attivi e contenere l’erosione di capitali in atto.
Proprio per evitare di dover sopportare ulteriori conseguenze negative per i nostri posti di lavoro, per il nostro benessere e, non in ultima analisi, per le nostre vite, l’economia deve poter essere riattivata il prima possibile. Pensiamo anche alle pesanti conseguenze determinate dalle limitazioni, che tengono in ostaggio le giovani generazioni, impedendo loro di appropriarsi del loro futuro.
In un momento nel quale non è possibile dare certezze assolute, le aziende ticinesi hanno bisogno perlomeno di una prospettiva; è pertanto indispensabile che il Consiglio federale dichiari il prima possibile la riapertura per le attività che garantiscono il rispetto delle norme di sicurezza vigenti. L’attività economica necessita di una chiara visione e la riapertura va annunciata con un sufficiente anticipo per permettere alle nostre aziende di organizzarsi al meglio: è inaccettabile e irriverente l’ipotesi 19 marzo vs 22 marzo con un improponibile preavviso di 3 giorni, 2 dei quali festivi!
È fondamentale e imperativo, pertanto, che il Consiglio federale presenti, a più di un anno di distanza, una chiara visione per la ripartenza, nella quale l’attività economica non sia relegata in secondo piano, ma sia una componente essenziale, parallelamente alle puntuali valutazioni sanitarie, anche per le implicazioni sociali che certe “non decisioni” implicano. Ulteriori chiusure non suffragate da datti, cifre e dati comprovati e chiari, non sono pertanto né accettabili né sostenibili.
Chiediamo anche la massima velocità nel versare gli indennizzi legati ai casi di rigore e - come nazione tra le più ricche al mondo - di stanziare altri fondi e aiuti che possano assicurare la sopravvivenza delle nostre famiglie e aziende, fondamentali per l’economia e il turismo, senza dimenticare il nostro ruolo sociale quale punti di aggregazione e socializzazione. Da parte nostra vi garantiamo la massima attenzione e ricerca di soluzioni attuabili nel pieno rispetto delle nostre più che giustificate rivendicazioni, affinché ci si possa finalmente dedicare anima e corpo alle nostre attività, piuttosto che compilare incomprensibili scartoffie.
Ci sarà un giorno in cui potremo ritrovarci levando i calici e scambiarci amichevoli e rispettose pacche sulle spalle: non molliamo proprio ora e resistiamo per costruire in fretta le famose pareti del tunnel, così da uscire alla luce del sole, con rapidità. Le nostre attività, i nostri clienti e i nostri collaboratori non vogliono vederci gettare la spugna! Noi siamo più forti di qualsiasi virus e siamo pronti a combattere ogni avversità che ci si presenti davanti. Ognuno per sé e Dio per tutti!
*presidente di GastroTicino e vicepresidente di GastroSuisse