Dai riti secolari ai cyberspazi, dalla carne di capra agli algoritmi più complessi: come le organizzazioni criminali italiane sfruttano la tecnologia in Svizzera. Il libro del giornalista, edito da Dadò, verrà presentato mercoledì 26 febbraio all’USI
di Francesco Lepori*
Dai riti secolari ai cyberspazi, dalla carne di capra agli algoritmi più complessi. In un misto di modernità e tradizione, le mafie italiane hanno imparato a cogliere le opportunità offerte dalla tecnologia. “Mafiadigitale.ch” (edito da Dadò) prova a spiegare come e perché le cosche lo fanno anche in Svizzera.
La comunicazione chiusa
Lo studio, basato sull’esame sistematico del materiale giudiziario a disposizione, è diviso in tre capitoli. Il primo riguarda la comunicazione chiusa. Il linguaggio mafioso è sempre stato criptico. Pensiamo al lessico in codice, alle frasi allusive, a informazioni che circolano in maniera frammentata, all’interno e all’esterno dei gruppi (celebre l’espressione di Tommaso Buscetta, che definì Cosa Nostra “il regno dei discorsi incompleti”). Gruppi abituati a incontrarsi in contesti sicuri, e dal forte valore simbolico. Come le “mangiate” di ‘ndrangheta, tutt’altro che folkloristiche. Queste riunioni sono essenziali per rafforzare il senso di appartenenza. La “società di Frauenfeld” prendeva le sue decisioni strategiche alla bocciofila di Wängi. Il 30 maggio 2020 gli esponenti della cellula di Fino Mornasco si ritrovarono in un insospettabile, anonimo orticello di Winterthur.
Lo sviluppo della tecnologia ha garantito ovviamente altre possibilità. A cominciare dall’impiego dei telefonini criptati. Nel corso degli anni sono apparsi modelli vieppiù evoluti. Da Phantom – scardinata nel 2018 – si è passati a piattaforme come EncroChat, SkyEcc e No1BC, tuttora inaccessibile agli inquirenti. I dialoghi scambiati con i criptofonini sono espliciti e genuini. Spesso vengono inoltre allegate le foto della merce trattata. “Cavalli di razza”, l’inchiesta che portò all’arresto dei “ragazzi di Winterthur”, ha svelato le immagini dei traffici promossi nei Cantoni di Zurigo e San Gallo. Cocaina, armi. Persino esplosivi… Le fattispecie legate alla Svizzera erano note, sì. La decriptazione delle chat ha permesso però di conoscere meglio i contorni del fenomeno. Di avere sia un ordine di grandezza più preciso dei volumi mossi, sia una mappa puntuale delle relazioni esistenti tra i vari personaggi.
La comunicazione aperta
Il secondo capitolo è dedicato invece alla comunicazione aperta. Le mafie sanno manifestarsi, se necessario. Soprattutto all’estero, dove hanno bisogno di tessere contatti per avviare e gestire le loro attività. E come si manifestano? Nel Novecento si rendevano visibili attraverso quelle caratteristiche (dalle pose all’abbigliamento) che cinema e letteratura hanno consegnato all’immaginario collettivo. Oggi sono piuttosto i mafiosi stessi ad autorappresentarsi, sfruttando il palcoscenico dei social network. Prima si è assistito a una sorta di “fase sperimentale”. A un uso ingenuo di Facebook, che anche in Ticino – accadde a Savosa nel 2010 – costò la cattura dei latitanti più imprudenti. Poi la conquista. Post dopo post i clan sono riusciti a occupare la rete alla stregua di un qualsiasi altro territorio. La tastiera ha sostituito la pistola, per ostentare potere e raccogliere consensi. Banconote svolazzanti, abiti firmati, auto sportive, locali alla moda. Sono i canoni dell’estetica criminale, di cui dava sfoggio pure uno dei principali referenti elvetici del boss Rocco Anello, caduto nelle maglie dell’operazione “Imponimento”.
Tecnologia e affari
Il terzo capitolo si concentra infine sul mondo degli affari. La finanza digitale è l’ultima frontiera del crimine organizzato. Valga l’esempio delle criptovalute, che le consorterie adoperano regolarmente per riciclare i capitali sporchi. Il profilo dell’‘ndranghetista è insomma cambiato (almeno tra le nuove generazioni). Attenti comunque a non esagerare. Per quanto cresciute, le sue competenze restano pur sempre molto limitate. Di qui l’importanza dei “facilitatori”. Categoria nella quale, dopo gli avvocati, i fiduciari e i consulenti bancari, sono entrati a pieno titolo gli esperti in informatica. Il darkweb pullula ormai di manuali d’istruzione e di hacker pronti a mettersi al soldo di chiunque li paghi. È il “crime-as-a-service”, come lo chiamano le autorità europee. L’indagine “Glicine-Acheronte”, condotta contro la cosca Megna di Papanice, potrebbe esserne l’emblema. Più pentiti hanno descritto una serie di transazioni milionarie, a cui la Svizzera non sarebbe stata estranea. Si va dalle finte garanzie bancarie alla manomissione degli apparecchi per la lettura delle carte di credito, dalle piattaforme di investimento clandestine fino al coinvolgimento dei servizi segreti italiani. Tutto vero? Le sentenze lo diranno.
Il libro verrà presentato mercoledì 26 febbraio (18.00) all’USI di Lugano (Aula A11, Palazzo rosso, Campus Ovest). Interverranno Annamaria Astrologo (professoressa titolare IDUSI e responsabile accademica O-TiCO), Francesco Lepori e Nicolas Tagliabue (collaboratore scientifico Servizio informatica forense SUPSI).
*Giornalista RSI e responsabile operativo dell’Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata (O-TiCO) dell’USI