L'economista rivolge solidarietà ai proprietari degli esercizi pubblici, ai proprietari di palestre o di bar, a coloro che organizzano eventi o vivono dell'indotto turistico: "Tra le vittime della pandemia ci saranno queste piccole realtà"
BELLINZONA - La foto, postata sui social, di un ristorante, chiuso, come lo sono ormai dal 22 dicembre, senza ancora una data di riapertura. Parte da lì, l'economista Amalia Mirante, per esprimere la sua solidarietà a una categoria in crisi. "Magari proprio adesso qualcuno sta seduto nella penombra del suo ristorante. Chiuso. Contempla il vuoto nel locale e il vuoto dentro di sé. Al chiuso in un posto dove ha investito risparmi, passione, sogni", scrive.
"Certo, (il ristoratore, ndr) ha ascoltato i motivi per cui le autorità ritengano che questo luogo debba rimanere chiuso. E li rispetta. Ma si chiede con angoscia quando finirà. Tenere chiuso il locale che gli dà da vivere, che gli ha riempito la vita di gioie e preoccupazioni: è davvero questa l'unica soluzione praticabile?", l'economista ripropone le domande che a suo avviso passano nella mente della categoria dei ristoratori.
Come vive il ristoratore, secondo lei, in questo momento? Mirante prosegue: "Non si considera un egoista. Anzi, non vorrebbe essere condannato come tale solo perché il suo cuore è pieno di angoscia. La pandemia finirà, lasciandosi dietro una scia di dolore e lutti. E tra le vittime della pandemia ci saranno anche tante realtà imprenditoriali, non di lusso, non di alto livello, non di privilegio. Ma di lavoro, di fatica, di passione".
L'economista lancia un appello: "Prima di crocifiggere ristoratori e proprietari di esercizi pubblici (o i loro rappresentanti) per il grido di dolore che hanno elevato, guardiamoci dentro: cerchiamo di non stilare classifiche nel dolore e nell'angoscia. Chi ha un lavoro solido, che non dipende dalle aperture e dalle chiusure imposte dall'autorità, difficilmente può capire cosa prova chi, invece, non sa se mai riaprirà".
Lei desidera esprimere la sua solidarietà a "queste persone che oggi pagano un prezzo diretto per una scelta di pubblico beneficio. Solidarietà! Perché chi vuole vivere e lavorare non va trattato da egoista. Mai. Nemmeno se appartiene a categorie che alcuni trovano meno degne di altre: i ristoratori, i proprietari di palestre o di bar, quelli che organizzano eventi o vivono dell'indotto turistico. Non sono egoisti perché vogliono quello che vogliamo tutti. Lavorare. E vivere".