La delusione per il piano ticinese, la metafora di Giorgio Merlani e le responsabilità di Governo e Gran Consiglio
di Andrea Leoni
Questa volta il Mattino ha ragione. Il foglio leghista ha pubblicato stamane una paginata, firmata dal direttore Lorenzo Quadri, dove si critica duramente il piano ticinese volto ad applicare la strategia dei test di massa voluta dalla Confederazione. Quadri parla di “un mostro burocratico che neanche a Palermo” e di un vero e proprio “sabotaggio” volto a scoraggiare l’utilizzo di questo nuovo strumento, soprattutto nelle aziende. Confessiamo di aver avuto la stessa sensazione negativa, venerdì scorso, quando il progetto è stato presentato dal Consiglio di Stato. L’impressione, in effetti, è che si sia voluto mettere alla strategia federale ogni laccio e lacciolo possibile, e che su questa nuova “arma” per fronteggiare la pandemia prevalga un pregiudizio ostile irragionevole, piuttosto che la fiducia di utilizzarla sul serio.
Purtroppo ci si appella al concetto, scivolosissimo, della “falsa sicurezza”. Lo stesso che ha ritardato di mesi l’introduzione delle mascherine. Lo abbiamo scritto tante volte e tocca ribadirlo: il meglio è nemico del bene in circostanze straordinarie come quelle che stiamo vivendo. Se aspettiamo di avere il test perfetto, o che tutti lo utilizzino perfettamente, non li implementeremo mai. Occorre invece una ponderazione d’interessi, assai pragmatica, e credo ci siano pochi dubbi nel sostenere che testare il più possibile - ovvero cercare il virus capillarmente, caso per caso - sia meglio che non farlo. Innanzitutto perché non pone alcuna controindicazione e secondariamente perché non l’abbiamo mai fatto, non avendo a disposizione gli strumenti che oggi invece abbiamo.
L’idea di spegnere le fiammelle virali, prima che diventino focolai, ci pare una strategia di assoluto buonsenso, per spezzare sul nascere le catene di contagio laddove si manifestano: nelle case e sui posti di lavoro. Tanto è vero che la Confederazione ha deciso d’investirci un miliardo. E occorrerebbe che questi denari venissero spesi nel modo più semplice possibile, ovvero facendo più test possibili, ovunque e dovunque.
Invece si è creato un castello burocratico (aziende A e B, iscrizioni, moduli, ponderazioni, conteggi etc) sulla cui utilità ci permettiamo di dubitare. Anche perché il principio cardine della strategia è piuttosto solido: chiunque sia positivo a un test rapido, dovrà poi sottoporsi al tampone PCR. Sicché non andrebbero mischiati i due obbiettivi e i due conteggi. I nuovi test si possono anche non contare - a patto che vengano svolti regolarmente - e non devono fungere da fotografia epidemiologica: servono a cercare il virus. Per contro, occorre semplicemente proseguire con la “statistica classica” per quanto attiene i positivi al PCR, per seguire l’evoluzione della pandemia sul territorio. Dov’è la difficoltà? Che bisogno c’è d’inventare processi e lungaggini?
Sappiamo che il medico cantonale ha manifestato sin da subito il suo scetticismo verso la strategia dei test di massa, soprattutto se la stessa dovesse portare ad allentare le restrizioni. L’altro giorno, per spiegarsi, ha usato questa metafora: “Non è che se introduciamo la cintura di sicurezza, poi si possono superare i 120 Km/h”. Il parallelismo è improprio, in quale l’attuale società, a dipendenza dei settori, viaggia lontano dal limite: c’è chi va a 80 e chi è fermo del tutto. I test sono quindi una misura di accompagnamento per rimettersi in moto, esattamente come le mascherine. Non si può accedere a un negozio senza coprirsi naso e bocca e, se non avessimo questa difesa, i commerci resterebbero chiusi.
Se i vaccini, e siamo d’accordo, rappresentano l’elemento risolutivo, i test di massa rappresentano una protezione in più per riaprire la società. Lo abbiamo visto plasticamente a Barcellona dove, grazie a questa precauzione, e alle mascherine, si è tenuto un concerto con oltre 5’000 spettatori. Il presidente della Conferenza dei direttori cantonali della sanità (CDS) Lukas Engelberge è tornato sul tema oggi, dicendo che occorre varare progetti pilota per autorizzare i grandi eventi per le “persone vaccinate o risultate negative al tampone”. “I test fai da te - ha aggiunto - hanno il potenziale per cambiare radicalmente la situazione". Siamo d’accordo e vale la pena verificare l’effettiva potenzialità di questo nuovo strumento.
A proposito dei “test fai da te” . Sabato, Alain Berset, ha promesso che saranno disponibili dal 7 di aprile. La Confederazione ne pagherà a tutti i cittadini cinque al mese: per ottenerli sarà sufficiente presentare il tesserino della cassa malati alle farmacie. Gli stessi potrebbero essere utilizzati anche nelle aziende (senza bisogno di contorti requisiti o di stressare i laboratori...), o per aprire un cinema, o un teatro, o una partita di hockey o di calcio.
L’unico elemento su cui dissentiamo da Quadri, è quello di dare la colpa del “piano ticinese” a Giorgio Merlani e al farmacista cantonale Giovan Maria Zanini. Troppo facile puntare il dito contro i funzionari. È il Governo che decidea. C’è anche un Gran Consiglio che ha tutto il diritto e le facoltà per promuovere un approccio diverso. Forza, fatevi sotto.
La terza ondata si combatte con i test e con i vaccini.