Il 'testamento' di Meinrado: "La politica, per cassetta elettorale, ha fatto dei frontalieri il capro espiatorio di scompensi che vanno addebitati a chi sfrutta e imbratta la libera circolazione. E il padronato è troppo tiepido sul fronte della responsabi
Il lucido intervento di Robbiani al congresso dell'OCST. "Difendiamo il lavoro. Non quello dei manager che, impomatati di avidità e supponenza, lo insozzano trascinandolo nel campo della speculazione. Nemmeno il lavoro diventato ostaggio della precarietà. Ma il lavoro operoso, ostinato...". Renato Ricciardi alla guida del sindacato
LUGANO – Renato Ricciardi è il nuovo segretario cantonale dell’OCST. Succede a Meinrado Robbiani, che per tanti anni ha guidato il sindacato, entrando anche in Consiglio nazionale. Il passaggio di testimone è stato ratificato questa mattina nel corso del congresso, al quale hanno preso parte, tra gli altri, il ministro Paolo Beltraminelli e il vescovo Valerio Lazzeri. Ecco il discorso pronunciato da Robbiani, il suo “testamento” etico, politico e sociale.
Quello odierno è un Congresso che respira storia. Viene a cadere in coda ai festeggiamenti per la nuova trasversale ferroviaria alpina.
Un’opera che è da un lato un inno grandioso al lavoro in un’era intossicata dalle allucinazioni della finanza fine a sé stessa, che ha soggiogato e contaminato anche ampi strati dell’economia reale.
Un’opera che d’altro lato incita a riconfigurare il ruolo, le relazioni e la traiettoria stessa del Ticino, che si ritrova oggi meno periferico (non solo dal profilo geografico).
Respira storia anche perché collocato a ridosso delle trattative con l’Unione europea sulla libera circolazione, attraverso le quali la Svizzera mira a preservare relazioni strutturate con l’UE e ad ottenere nel contempo una gestione più controllata dell’immigrazione. Il Ticino ne è coinvolto in misura acuta, poiché è la regione del Paese maggiormente esposta alle ricadute della libera circolazione.
Per la nostra Organizzazione, riunita in Congresso, si tratta perciò di un’occasione quasi irripetibile per agganciare la sua voce, il suo appello e le sue mete future a questi due avvenimenti decisivi per il cammino della nostra comunità e del nostro territorio. E’ impossibile prefigurare il futuro del lavoro e dello sviluppo senza considerare questi due fattori chiave.
Un momento storico che contrasta però visibilmente con le sofferenze aspre di un mondo del lavoro in palpabile degrado.
Da alcuni anni a questa parte, il mondo del lavoro ticinese è incessantemente sommerso dall’alta marea; l’alta marea delle pressioni che gravano sulle condizioni di lavoro.
Pressioni di natura economica in primo luogo. Dopo il terremoto finanziario di fine anni 2000, che ha portato a galla le deviazioni di una finanza scaduta in delirante speculazione, non sono mancate altre scosse:
- la susseguente crisi economica, che non ci ha risparmiato;
- la zavorra debitoria che inchioda al suolo l’economia di numerosi Paesi e che si riflette sul nostro poiché ampiamente dipendente dalle esportazioni;
- il duplice apprezzamento del franco (2011 e 2015) che ha inciso ed anche talvolta reciso la competitività delle imprese locali.
Sono alcuni dei contraccolpi che hanno fatto pagare e chiedono tuttora un pedaggio gravoso al lavoro e ai lavoratori.
Pressioni che si collocano in secondo luogo sull’onda della frenetica ricerca di flessibilità messa in atto dalle imprese. Invece di puntare sul lavoro quale risorsa strategica per contrastare le insidie del mercato numerose imprese non esitano a declassarlo e a svilirlo a fattore di costo, relegandolo a primo obiettivo di contenimento. Tendono anche a scaricare sulle sue spalle il rischio aziendale. Flessibilità che si traduce perciò per i lavoratori in precarietà, cioè incertezza di vita. Emblematico di questa tendenza il lavoro interinale, che giunge persino a dissociare la relazione di lavoro (tra impresa e lavoratore) dalla relazione contrattuale (tra agenzia interinale e lavoratore). In psichiatria si parlerebbe di schizofrenia; in economia la malattia è ormai diventata normalità.
Pressioni alimentate in terzo luogo da una libera circolazione abbondantemente snaturata e diventata preda di speculatori e profittatori. L’occupazione è sì lievitata ma senza un parallelo beneficio per disoccupati e giovani in ingresso nel mondo del lavoro. I livelli salariali si sono incagliati nei parametri lombardi e nei fondali dello sfruttamento. E’ stata contaminata anche la cultura imprenditoriale; sono riapparsi, nel senso più deteriore, i padroni e i predoni. Il lavoro porta oggi lo sfregio di coloro - e non sono pochi - che interpretano la libera circolazione come regime di libertà senza regole, come terreno per scorribande e ruberie . Sono - mi tocca ripeterlo - i trafficanti della libera circolazione: una casta purtroppo prolifica.
Per il Ticino del lavoro è così acqua alta permanente.
Il ritardo colpevole della politica e dell’economia
Alle sofferenze del mondo del lavoro né il mondo della politica, né il mondo padronale hanno finora saputo dare risposte sufficienti.
La politica cantonale si è in buona parte lasciata irretire nella tentazione della barricata. Si è rivelata ampiamente incapace di abbinare sicurezza, che è sacrosanta e va giustamente garantita, con apertura, senza la quale è illusorio parlare di sviluppo. Ha sì colto il problema (le pressioni e distorsioni del mercato del lavoro) ma ha sbagliato bersaglio. Anche per scopi di cassetta elettorale, ha fatto del frontalierato il capro espiatorio di scompensi che vanno al contrario addebitati sia a chi sfrutta e imbratta la libera circolazione, sia all’insufficienza delle paratie che dovrebbero proteggere il lavoro e che rientrano proprio nella responsabilità della politica. Ed è qui che entra in gioco anche la colpevole mollezza della politica federale. Non ha attrezzato a sufficienza il mondo del lavoro con protezioni all’altezza del nuovo contesto di libera circolazione. E le sollecitazioni in tal senso non sono certo mancate (in primis l’OCST).
Se la politica si è rivelata carente nel varare efficaci strumenti legali di protezione dei lavoratori, l’economia non è da meno. Permane riluttante a punteggiare il mercato del lavoro con accordi e contratti collettivi che proteggano i lavoratori regolandone le condizioni minime di lavoro. La rete di protezione delle condizioni di lavoro – la rete dei contratti collettivi – è tuttora sfilacciata e fiaccata da abbondanti vuoti. Un padronato comprensibilmente impegnato sul fronte della competitività economica ma molto tiepido sul versante della responsabilità sociale, dimenticando che un’economia può essere vincente solo se si innesta su una società forte e partecipe dei suoi obiettivi.
Solo se stretto in questa duplice morsa – le leggi dall’alto e i contratti collettivi dal basso – il mercato del lavoro può ritrovare maggiore equilibrio.
Rilanciare il futuro, riparlare di sviluppo
Occorre perciò cogliere questo momento che fa i conti con la storia (attraverso la nuova trasversale alpina e le trattative dalle quali dipenderanno le future relazioni con l’UE ivi compresa la libera circolazione) per rilanciare il futuro, un futuro che sappia amalgamare apertura e sicurezza, sviluppo dell’economia e tutela del lavoro (sviluppo dell’economia non contro ma con il lavoro).
Un futuro inevitabilmente aperto
Alla luce della nuova trasversale alpina la tentazione di chiudersi su sé stessi si rivela ancora più sfasata. In un contesto di fitte relazioni e interdipendenze, che travalicano gli stessi confini delle nazioni, l’attaccamento al nostro (pur minuto) territorio e l’orgoglio per la nostra identità hanno vero senso se non si riducono a steccato ma diventano punto solido d’appoggio per confrontarsi e crescere con gli altri.
Da questo profilo, la NTFA sia apertura non solo dei monti ma anche delle menti.
L’apertura non è tuttavia un altare sul quale sacrificare la sicurezza. Apertura e sicurezza devono potere camminare appaiate. Per il mondo del lavoro l’apertura verso l’esterno deve cioè andare di pari passo con l’adozione di misure a protezione dei lavoratori. In caso contrario si pregiudicano le condizioni stesse di uno sviluppo solido. Si generano d’altronde reazioni di rigetto e di ripiegamento (il 9 febbraio 2014 ne è la prova tangibile).
Nessuno si illuda. Sulle rovine del mercato del lavoro è impensabile fare sbocciare lo sviluppo.
Un’apertura protetta è cioè condizione ineludibile per dare ossigeno allo sviluppo futuro di questo territorio.
Cosa chiediamo e cosa offriamo
Alla politica chiediamo perciò la capacità di costruire contemporaneamente strade di apertura e muri di protezione (muri che corrano paralleli alla strada a protezione dei viandanti e non muri che la intersecano riducendola a via a fondo cieco). Alla politica si chiede una ritrovata passione per il futuro e per lo sviluppo (uno sviluppo che produca benessere diffuso). Si chiede di uscire dalla trincea e valorizzare con autentica convinzione il ruolo strategico del Ticino quale ponte tra il nord e il sud.
All’economia e al padronato chiediamo volontà e capacità di regolare capillarmente il mercato del lavoro. Una società complessa non può affidarsi solo ai suoi estremi: lo Stato da una parte e i soggetti individuali dall’altra (individui, imprese). Ha bisogno di corpi intermedi (associazioni padronali e sindacati in particolare) capaci di accorpare gli interessi dei singoli, incanalandoli verso obiettivi collettivi. Al padronato chiediamo di riempire questo spazio intermedio tessendo reti di aggregazione delle imprese e spazi di collaborazioni con il sindacato.
Sindacato di denuncia e di contrattazione
Come sindacato ci siamo. Siamo convinti di potere contribuire a dissodare il futuro di questo Cantone. Ne possediamo gli attrezzi.
In primo luogo poiché innestati sul lavoro, fulcro primario di sviluppo e di benessere. Non il lavoro dei manager che, impomatati di avidità e di supponenza, lo insozzano trascinandolo nel campo della speculazione. Nemmeno, all’altra estremità, il lavoro diventato ostaggio della precarietà e amputato di dignità. Ma il lavoro operoso, ostinato, anche faticoso di chi contribuisce a creare con impegno, intelligenza e competenza il benessere di questo Paese.
In secondo luogo poiché forza sociale fortemente ancorata a questa terra. A questa terra ci lega un forte senso di origine (la storia di questo Cantone che l’OCST, da un secolo a questa parte, ha contribuito a plasmare) e di destino (lo sviluppo del Cantone quale tessuto che nasce dall’intreccio tra la trama della storia con l’ordito della solidarietà).
In terzo luogo poiché orientati alla costruzione. Qualche altra forza sindacale si è definita una “forma organizzata del conflitto sociale”. Noi preferiamo essere una forma organizzata di costruzione sociale, che non esclude per nulla – anzi le esige – la denuncia vigorosa ed anche la lotta. Mai come oggi si rilevano situazioni di arretramento e di distruzione delle conquiste faticosamente acquisite nel tempo. Denuncia e lotta sono irrinunciabili. Devono però rispondere non tanto ad una logica di contrapposizione irriducibile con la controparte padronale (altre forze vi fondano ed esauriscono la loro ragion d’essere e la loro identità) ma ad una linea di progettazione di una società più equa. Una logica dove lo scontro ci sta ma come mezzo e non come fine con l’intento di dare forma ad una società dove il lavoro sia fonte di benessere ma anche perno di dialogo, di collaborazione e di comunità (poiché il lavoro è valore che sorregge e unisce e non semplice luogo o strumento di conflitto).
Per il bene di questo territorio - sacra terra del Ticino come canta un’opera nota -, dei lavoratori che la coltivano e la fecondano quotidianamente, della popolazione che la abita e la vivifica – un bene per il quale l’OCST di oggi si batte e l’OCST di domani continuerà a battersi -.
* segretario cantonale OCST