CRONACA
Sulla vicenda di Lisa Bosia Mirra. La disobbedienza civile spazio di libertà irrinunciabile in una democrazia, ma è questo il caso? Alcune obiezioni politiche alla deputata PS
L'ANALISI - Non intendo aggiungermi alla folta fila di coloro che chiedono le dimissione della deputata Lisa Bosia Mirra dal Gran Consiglio. Anche perché mi scapperebbe da ridere ripensando ad alcuni casi del passato, per i quali la parola “dimissioni” non è mai stata neppure immaginata. Ma lei dovrebbe decidere se restare o andarsene dal Parlamento indipendentemente dalla condanna (che avrebbe dovuto accettare): o si è disobbedienti o non lo si è
© Ti-Press/Carlo Reguzzi
di Andrea Leoni

Confesso: ho un debole per i disobbedienti. Per tutti i disobbedienti. Cioè per coloro che non prestano ascolto a chi gli sta dinnanzi, richiamandoci all’etimo del verbo latino obbedire. Quando il soggetto è il potere costituito e impone un ordine contrario ai propri valori più profondi, ai propri ideali più autentici, è giusto disobbedire.

 

Confesso pure che non ho per contro alcuna simpatia per i legalisti, per i manettari e più ancora per i moralisti. Sempre e comunque, però. E soprattutto in politica: quando si tenta di misurare e giustificare attraverso un raffronto con le colpe, o presunte tali, degli altri, o con le politiche degli avversari, la propria pulizia e il proprio spessore morale. Per poi utilizzare questa morale come un vangelo grottesco da impartire urbi et orbi. La Costituzione e le leggi sono parole di uomini scritte per gli uomini: tocca adeguarsi se si vuol far parte di una comunità, genuflettersi e contemplare in adorazione è invece un’altra cosa.

 

Non intendo quindi aggiungermi alla folta fila di coloro che chiedono le dimissione della deputata Lisa Bosia Mirra dal Gran Consiglio. Anche perché mi scapperebbe da ridere ripensando ad alcuni casi del passato, per i quali la parola “dimissioni” non è mai stata neppure immaginata.

 

Il Gran Consiglio e il Consiglio di Stato si sono dati delle regole, una volta emanata la sentenza definitiva, per valutare la compatibilità della carica rispetto alle azioni illegali compiute dai singoli membri dei consessi. Per quanto mi riguarda, come cittadino, fatti salvi i reati violenti o più odisi, ça va sans dire, i peccati capitali per un politico restano due soltanto: la corruzione e non rubare. Nelle varie accezioni legislative. Per tutto il resto ci sono le elezioni (i casellari giudiziali vengono pubblicati apposta prima del voto affinché il cittadino possa valutare). Mentre esiste il tema dell’opportunità politica anche quando un’azione non sfocia nel codice penale. Ma questo è un altro discorso.

 

Fatta la premessa, tuttavia, vi sono alcune obiezioni di tipo politico e intellettuale - e come tali opinabili - che si possono muovere alla deputata socialista. In primo luogo proprio sul principio di disobbedienza civile, che in una società democratica resta uno spazio di libertà irrinunciabile. Uno spazio che in Ticino è stato sfruttato da destra come da sinistra (Carovane della Libertà e autogestione, ad esempio) e perfino dal Consiglio di Stato quando bloccò i ristorni dei frontalieri, in un’edita disobbedienza istituzionale. Secondo chi scrive il Governo fece bene, ma certo sul piano strettamente politico un’istituzione che disobbedisce alle regole è di certo meno giustificabile di quando lo fa una forza politica o una persona. 


 

Ma torniamo alla disobbedienza civile e alle obiezioni a Lisa Bosia Mirra. Sono tre gli elementi cardine di questo genere di opzione politica. La prima è la piena consapevolezza di violare una legge ritenuta sbagliata. La seconda è che questa violazione sia pubblica, dichiarata, affermata. La terza è la piena accettazione della condanna - eventualmente con allegata promessa di ripetersi - che infondo non è altro che lo scopo ultimo: la rivendicazione del proprio atto per fornire la prova che si tratta di una legge ingiusta.

 

Lisa Bosia Mirra è stata scoperta dalle Guardie di Confine. Non ha annunciato il suo gesto, e questo si poteva capire volendo lei portarlo a termine, ma neppure lo ha dichiarato pubblicamente dopo averlo fatto (e lo ha fatto più di una volta, da quel che emerge dall’inchiesta). Non si è costituita. È stata beccata. Ed è un po’ come quando uno va alle manifestazioni con il volto coperto. 


 

La deputata socialista non accetta la condanna: la procuratrice Margherita Lanzillo ha confermato il decreto d’accusa e se lo stesso faranno i tribunali ticinesi, Bosia Mirra intende portare fino ai giudici di Losanna il suo caso. Avendo ammesso i fatti, il problema non è più dunque la legge ma la pena: la Gran Consigliera intende affermare tramite il percorso giudiziario la preminenza delle ragioni umanitarie rispetto al suo agire illegale. Il che renderebbe non punibile il suo gesto. Il punto, quindi, a suo avviso, se ben interpretiamo, è trovar uno spazio di "legalità" per se stessa e per quelli che hanno compiuto azioni analoghe alle sue.

E così facendo vengono a cadere due principi protagonisti della vicenda: la disobbedienza civile, che a questo punto non è più tale, e la battaglia sulle politiche  troppo restrittive adottate dalla Svizzera e dal Ticino nei confronti degli immigrati. I migranti, infatti, escono di scena, e sul palco resta soltanto la tutela o meno di coloro che li hanno fatti sconfinare illegalmente per ragioni umanitarie e più in generale delle organizzazioni che si occupano dell'accoglienza dei migranti (i cui interessi, in pochi casi circoscritti, sono messi pesanetemente in discussione negli ultimi tempi). Bah….

 

Con questo tipo di architettura di pensiero, piuttosto scricchiolante, si può forse intuire perché Bosia Mirra abbia messo in stand by la decisione sul suo futuro in Parlamento. Dice che si dimetterà in caso di condanna definitiva. E anche qui facciamo una gran fatica a seguire il suo discorso. Essendo i fatti accertati, è dunque davvero la pena l’elemento dirimente per dire resto o vado? Cioè il tipo di condanna o eventualmente la non punibilità? Questi tecnicismi, questi sofismi, hanno un respiro troppo corto per reggere un ideale.

Un disobbediente o lo è o non lo è. E se lo è deve andare fino in fondo, in un senso o nell’altro, quale che sia la condanna (che, ribadiamo, dovrebbe già essere stata accettata e anzi esibita come una medaglia, nella logica della disobbedienza civile). In concreto: o si dimette accettando il giudizio - o indipendentemente dal giudizio - o resta a prescindere, lasciando eventualmente ai suoi colleghi la responsabilità di cacciarla perché non degna di sedere in Parlamento. E se fossimo deputati non voteremmo a favore della sua espulsione, se non emergessero fatti nuovi. Che decida il PS (se ricandidarla) e il popolo (se rieleggerla).

 

Invece la strategia adottata dalla Gran Consigliera fa un po’ acqua dal punto di vista della coerenza (non è un valore assoluto, per carità), soprattutto a fronte della determinazione, talvolta dell’esibizionismo (che comunque è proprio di ogni politico), con cui Bosia Mirra procede. Perché questa strategia annacqua per finire quel sincero disinteresse personale che dovrebbe accompagnare questo genere di lotte. Un sincero disinteresse che non si misura solo con l’assenza di un tornaconto in denaro, ma anche con il rifiuto di altri benefici più astratti ma comunque rilevanti. Sennò tutto il castello perde di credibilità e crolla.

 

C’è un ultimo punto che merita di essere affrontato. Ed è quello della violazione della legge per ragioni umanitarie a cui s’appella la deputata e che la Procura ticinese invece respinge. C’è chi da quando è iniziata tutta questa vicenda ha più volte azzardato paragoni storici un po’ troppo tirati per i capelli. Si cita il caso degli ebrei accolti in Svizzera durante il nazifascismo oppure quello del pastore luganese Guido Rivoir, che fu processato per aver fatto entrare illegalmente nel Paese gli esuli cileni che fuggivano dalla dittatura di Augusto Pinochet. Il religioso venne mandato assolto per aver agito per questioni onorevoli rispettose della tradizione svizzera.

 

Le differenze tra questi casi e il caso Bosia Mirra sono mastodontiche. Non tanto perché Rivoir era un pastore e non un deputato. Quanto perché le persone fatte entrare illegalmente in Svizzera da Bosia Mirra stavano in Italia. Vale a dire in uno Stato democratico, a sua volta membro dell’Unione Europea: una nazione e una comunità che si sono date delle regole (discutibili ma democratiche) volte a tutelare gli immigrati. Non sostavano quindi in un Paese dove la loro vita era in pericolo o era minacciata dallo Stato.

 

In secondo luogo sono più d’uno i paesi di provenienza di queste persone: tante culture e tante esperienze di vita diverse. E anche le motivazioni per cui sono approdati in Europa sono più d’una: chi ha causa delle guerre armate ed economiche scatenate dall’Occidente, chi per sfuggire da una dittatura o dal terrorismo, chi per fame, chi per il sogno di una vita migliore, chi perché vittima inconsapevole delle mafie che lucrano sull’immigrazione.

 

Questo scenario così complesso e così variegato, richiede un’aggiunta di responsabilità nel valutare le possibili conseguenze sulla comunità di un’entrata illegale. Aumentano infatti esponenzialmente i rischi - di per se sempre possibili anche con chi viene accolto legalmente - che oltre ai migranti fatti transitare e poi lasciati al loro destino, si esportino anche fenomeni che potrebbero rivelarsi pericolosi. In tal senso emerge un altro punto cardine che regge la disobbedienza civile: quello che non deve arrecar danni (danni non fastidi) agli altri ma solo all’autore o agli autori.

 

Diceva Ghandi: “La disubbidienza per essere civile dev'essere sincera, rispettosa, contenuta, mai provocante, deve basarsi su principi bene assimilati, non dev'essere capricciosa e soprattutto non deve nascondere rancore e odio”. Nel caso di Lisa Bosia Mirra sono dati tutti questi elementi? 

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