Ecco la sentenza del Tribunale federale che ha riaperto il fronte penale nel caso Argo1. Il reato ipotizzabile è infedeltà nella gestione pubblica. Ma il punto centrale è la lesione degli "interessi ideali" di un ente pubblico
La sentenza a cui fa riferimento Marco Bertoli è del 28 novembre scorso. Imputato in quel procedimento era il capo dell'Ufficio appalti del Dipartimento di giustizia di Basilea-Città. Secondo il Tribunale federale ha leso in maniera evidente gli interessi ideali del Cantone, lasciando intendere che vi fossero strane prassi nell'attribuzione dei mandati
foto: TiPress/Francesca Agosta
BELLINZONA – Basandosi sulle valutazioni del perito Marco Bertoli il Consiglio di Stato ha deciso di costituirsi parte civile nel caso Argo1. Come ha rivelato liberatv, l’ex procuratore pubblico Bertoli ha ipotizzato il reato di infedeltà nella gestione pubblica.
. Lo ha fatto alla luce di una recente sentenza del Tribunale federale. Ecco su cosa e che cosa hanno deciso i giudici della massima istanza giudiziaria.
La sentenza a cui fa riferimento Marco Bertoli è del 28 novembre scorso. Si tratta di una sentenza non di principio, essendo stata emessa dal Tribunale nella composizione ordinaria di 3 giudici e non di 5 giudici.
Imputato in quel procedimento era il capo dell'Ufficio appalti del Dipartimento di giustizia e sicurezza del Cantone di Basilea-Città.
All'imputato erano contestati due comportamenti punibili, che hanno portato in via definitiva alla sua condanna a 90 aliquote giornaliere da 180 franchi, sospese condizionalmente per due anni.
Il primo fatto consisteva nell'acquisto di un Infomobile (ossia un furgoni per il posto comando mobile usati dalla polizia). Il funzionario ha fatto effettuare un lavoro in garanzia dalla ditta di fabbricazione affinché il veicolo rimanesse nella categoria B e non entrasse nella categoria camion (ha fatto semplicemente smontare dei pezzi per renderlo meno pesante).
Il secondo episodio riguarda l'acquisto di 620 giubbotti di protezione per il corpo di polizia: ha chiesto a una ditta di inoltrare direttamente un'offerta, escludendone un'altra nei confronti della quale era personalmente risentito. Aveva anche lasciando intendere ai dirigenti di quest’ultima che se avessero presentato l'offerta non avrebbe ottenuto la commessa e forse avrebbe perso anche futuri appalti cantonali. Il funzionario ha dunque favorito chiaramente una ditta concorrente rispetto ad un’altra.
L'articolo 314 del Codice penale, che rientra fra i reati contro i doveri di ufficio, punisce l'infedeltà nella gestione pubblica. La norma recita "i membri di un'autorità o i funzionari che, al fine di procurare a sè o ad altri un indebito profitto, recano danno in un negozio giuridico agli interessi pubblici che essi dovevano salvaguardare, sono puniti con una pena detentiva sino a cinque anni o con una pena pecuniaria. Con la pena detentiva è cumulata una pena pecuniaria".
L'atto punibile può consistere in un'azione ma anche in un'omissione, afferma il Tribunale Federale al considerando 2.2. Aspetto costitutivo del reato è l'esistenza di un negozio giuridico tra un ente pubblico e un privato (ossia un mandato o un appalto).
Sempre al considerando 2.2, il Tribunale ricorda che l'illecito dell'infedeltà nella gestione pubblica sta nel fatto che il funzionario nell'ambito di un negozio giuridico dello Stato dia la precedenza agli interessi privati anziché all'interesse pubblico. Questa norma non protegge gli interessi di terzi danneggiati, ma quelli dello Stato.
Il fatto che il funzionario si comporti male o in modo inappropriato, danneggiando così l'immagine dello Stato, non è però sufficiente perché sia condannabile dal profilo penale. Gli interessi pubblici che egli deve proteggere possono però essere non solo pecuniari, ma anche “ideali”.
Un danno degli interessi ideali si realizza quando la fiducia del cittadino viene scossa in maniera considerevole di modo che egli non creda più nell'integrità della pubblica amministrazione e nella parità di trattamento dei vari concorrenti. Certo, il funzionario o l'autorità dispongono di un potere di apprezzamento, e la norma penale entra in gioco soltanto se e quando il funzionario eccede manifestamente nel proprio potere di apprezzamento.
Il Tribunale federale applica questi principi al caso concreto, di Basilea, e conclude che non far valere i diritti di garanzia dell’acquirente (in questo caso il Cantone) in un contratto è punibile penalmente. Analogamente punibile è stato l'agire dell'imputato nell'ambito dell'acquisto dei giubbotti, perché egli ha leso in maniera evidente gli interessi ideali del Cantone, lasciando intendere che vi fossero strane prassi nell'attribuzione dei mandati.