CRONACA
Traffico ferroviario in tilt. La rabbia sui social, il blackout nella comunicazione delle FFS... e il suicidio come tabù
Ma che problema c’è, nei grandi apparati, a voler sempre nascondere la verità? Verità che poi, alla fine, viene comunque a galla. Questa è la domanda di fondo
TiPress/Francesca Agosta
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LUGANO - Ieri mattina sulla linea Mendrisio-Lugano è scoppiato il caos. Centinaia di passeggeri attendevano treni che non arrivavano o non partivano. Sui social, i soliti social dove ognuno sfoga le frustrazioni del momento, si sono sprecati post virulenti contro le FFS. Idioti, incompetenti e cose simili.

 

Post, pieni di (comprensibile) rabbia, scritti da gente rimasta bloccata alle stazioni. Non solo bloccata: bloccata senza alcuna informazione. Se non una laconica comunicazione in burocratese: “Restrizione del traffico ferroviario tra Lugano e Mendrisio”.

 

Già il termine “restrizione” è tutto un programma. Non so chi e per quale motivo l’abbia inventato per definire quello che si potrebbe semplicemente spiegare come una interruzione del traffico sulla rete. Ma ammettiamo pure il termine “restrizione”. Poi, però, in ogni caso, bisognerebbe spiegare i motivi a chi ne subisce le conseguenze…

Tipo… È deragliato un treno? C’è stata una frana sui binari? O un’allarme bomba a una stazione? Un manipolo di manifestanti sta bloccando i convogli? C’è stato un black out elettrico? I macchinisti sono scesi in sciopero?

O, come viene da pensare in casi simili, c’è stato un incidente sulla linea? Che poi, incidente, può voler dire tutto: una persona travolta mentre attraversava i binari, un operaio investito da un treno… O un suicidio…

 

Parlare di incidente, dunque, era sufficiente, ieri mattina. Bastava dire così: c’è stato un incidente, abbiate pazienza. E gli animi si sarebbero calmati, e la gente avrebbe capito, riflettuto, e pensato che, tutto sommato, il disagio che stava vivendo era nulla, ma proprio nulla, a confronto della sorte toccata alla vittima.

 

Ma che problema c’è, nei grandi apparati, a voler sempre nascondere la verità? Verità che poi, alla fine, viene comunque a galla. Questa è la domanda di fondo: perché bisogna sempre aver paura di spiegare quello che sta succedendo o è successo? Perché questa omertà, questo continuo black out di comunicazione…

La seconda domanda è: perché i grandi apparati, che si esercitano per gestire le più immani catastrofi immaginarie, vanno in tilt quando si tratta di comunicare cose semplici e reali, per quanto drammatiche? Da dove nasce questa paura di dire, di raccontare?

 

Ecco: prendiamo atto che nell’era della comunicazione globale (la comunicazione di massa elevata alla massima potenza), un gigante pubblico come le FFS non sa comunicare (cosa di cui abbiamo del resto già avuto evidenza in altre occasioni)?

 

E su questo ha ragione il consigliere nazionale Marco Romano, che su Facebook ha raccontato la sua giornata oltre Gottardo “compromessa”. Ha osservato che “il dispiegamento di polizia a Paradiso lascia(va) intendere che non si tratti(trattasse) propriamente di un guasto”. E ha aggiunto: “Maggiore trasparenza nella comunicazione da parte delle FFS aiuterebbe a gestire meglio disagi/frustrazione/rabbia... specialisti di comunicazione pensateci, soprattutto se non é un problema di rete, ma un dramma...”.

 

Già, non ci vuole molto a capire che se di prima mattina il traffico ferroviario va in tilt per diverse ore è perché sui binari è successo qualcosa. Ed è dunque stupido e inutile inveire contro l’inefficienza delle FFS. Il che rimanda anche al deficit di intelligenza di chi parla e scrive senza ragionare (ma i social, sono nati per questo: per consentire a chiunque di scrivere senza ragionare).

 

“Se fosse quanto ipotizzabile – ha concluso Romano - un pensiero va a chi vive in prima persona questo dramma”.

E qui entriamo in uno dei grandi capitoli del Libro dell’Iposcrisia che la nostra società della comunicazione globale scrive ogni giorno. Del suicidio non si parla. È un tabù. Come nel romanzo di Chuck Palahniuk: “La prima regola del Fight Club è che non si parla del Fight Club. La seconda regola del Fight Club è che non si parla del Fight Club”.

 

A questo proposito ho detto cosa penso in una breve intervista alla collega Caroline Roth, che mi ha ospitato al Tg di TeleTicino.

 

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