L'associazione che rappresenta le tre aziende che hanno sottoscritto il contratto con il neonato sindacato prende posizione: "Preservati i posti di lavoro e tutti i salari in vigore"
LUGANO - Ticino Manufactoring, l’associazione che rappresenta le tre aziende del Mendrisiotto che hanno sottoscritto il contratto collettivo con Tisin, ha preso posizione oggi con un lungo comunicato stampa. Al centro della nota vi sono le accuse mosse, principalmente da UNIA e OCST e da una parte del mondo politico, al CCL e al neonato sindacato, presieduto da Nando Ceruso. Accuse che, secondo Ticino Manufacturing, “sono in gran parte privi di fondamenta e ignorano realtà che meritano di non essere dimenticate, poiché contribuiscono da decenni al benessere del nostro cantone”.
“Grazie al CCL - scrive l’associazione - si conferma che nessun lavoratore si trova in una situazione peggiorativa. Al contrario, il contratto prevede diversi benefit, un concetto meritocratico che tiene conto della formazione e dell’anzianità e un’indennità di residenza per i lavoratori residenti. Visti i tempi dell’introduzione della legge sul salario minimo e la concomitanza con la pandemia, sarebbe stato inevitabile procedere a licenziamenti di massa che avrebbero coinvolto non solo la minoranza dei collaboratori senza qualifiche, ma anche quei profili qualificati o altamente qualificati direttamente legati all’attività delle imprese”.
Quindi, Ticino Manufactoring, entra nel merito del CCL, che tante polemiche ha sollevato: “Nel rispetto della legge e nello spirito del partenariato sociale, la soluzione trovata, definita dopo un intenso dialogo con le parti interessate, è stata raggiunta al fine di:
1. Preservare a medio - lungo termine la produzione in Ticino, ciò che con l’entrata in vigore del salario minimo nei tempi e nei modi previsti – e la situazione COVID che ha eroso le riserve delle aziende – sarebbe stato semplicemente impossibile per aziende che hanno storicamente una determinata componente di lavorazioni manuali in fabbrica e che non possono essere automatizzate;
2. Preservare tutti (!) i salari attualmente in vigore (art. 15 cpv. 2 CCL) e permettere adeguamenti verso l’alto in base a qualifiche, anzianità, indice dei prezzi e situazione sui mercati. Da notare che delle 12 soglie minime contemplate dal CCL la metà si trovano al di sopra il salario minimo cantonale, mentre la maggior parte dei collaboratori delle aziende sono già oggi sopra la soglia minima.
3. Garantire una clausola moderna e innovativa, relativa all’indennità di residenza (art. 4 cpv. 9 CCL), ciò che attualmente nessun altro CCL contempla. Questa permette di tenere conto delle particolari necessità dei dipendenti residenti.
4. Rispettare i regolamenti aziendali delle singole aziende che aggiungono ulteriori prestazioni a quelle previste dal CCL, definite singolarmente da ogni azienda. Tra queste si possono citare il servizio mensa, un contributo maggiore di cassa pensione, ulteriori giorni di vacanza e congedi e altre prestazioni extralavorative".
Come aveva già fatto Nando Ceruso nell’intervista rilasciata alla Domenica (vedi articolo correlato), anche l’associazione punta il dito contro una sorta d’ipocrisia da parte del mondo sindacale rispetto alle accuse mosse al CCL contestato: “Attualmente sono diversi i CCL – firmati da altri sindacati – che contemplano salari minimi inferiori alla soglia definita dal Gran Consiglio. Il CCL sottoscritto da Ticino Manufacturing, però, prevede soglie diverse a seconda del livello di formazione e di anzianità del dipendente. Il primo livello riguarda unicamente attività manufatturiere svolte da collaboratori senza qualifica e privi di una formazione professionale. Le condizioni di tutte le altre mansioni qualificate rientrano in soglie superiori al salario minimo, considerano una scala salariale meritocratica e prevedono diversi elementi migliorativi rispetto alla situazione attuale”.
“Ticino Manufacturing - termina la nota - ha preso atto con grande preoccupazione delle reazioni del mondo sindacale nei confronti delle attività e dell’operato dei suoi associati. Questi ultimi sono attivi sul territorio ticinese da molti anni (tra 40 e 70!), garantiscono numerosi impieghi sopra la soglia minima e si sono sempre adoperati, con non poche difficoltà, per il mantenimento di tutti questi posti di lavoro in Ticino, in molti casi occupati dalle stesse persone per decenni (talvolta con un’età media relativamente alta) se non addirittura per generazioni. Esse generano inoltre un importante indotto per altre imprese situate in Ticino, a loro volta datori di lavoro. La possibilità di indennizzare determinate attività manifatturiere ai salari orari definiti politicamente non è al momento data, come peraltro evidenziato a più riprese nella fase parlamentare da approfondimenti accademici. La sola alternativa è quella di delocalizzare parte della produzione o interi settori. Una delocalizzazione delle attività senza qualifica – spesso verso paesi che non conoscono un’adeguata protezione dei lavoratori – metterebbe però a rischio numerosi altri impeghi in seno all’azienda, così come le loro famiglie, ciò che toccherebbe tutte le categorie professionali e la formazione professionale in senso all’impresa. Ticino Manufacturing invita ad affrontare il legittimo dibattito legato alle attività manifatturiere in Ticino con i dati alla mano, senza cadere in gravi accuse e senza alcuna base nella realtà”.