CRONACA
I danni della prigionia digitale
I social network causano nei giovani la diminuzione della capacità di astrazione e di linguaggio. E nei paesi industrializzati si registra per la prima volta un abbassamento del quoziente intelletivo

di Luca Robertini e Beniamino Sani - Contributo de ilFederalista.ch

Davvero internet e i social network ci friggono il cervello? Una preoccupazione cui il Federalista ha dato spazio a più riprese. E con ragioni fondate, se è vero com’è vero che studiosi autorevoli (come il neuro scienziato francese Michel Desmurget) a partire dalle loro ricerche cliniche non cessano di ribadire che l’immersione nei social e nella rete ha conseguenze negative sull’evoluzione cerebrale, specialmente nei giovani.

Oggi rincareremo la dose, e ce n’è ben donde. Ma non prima di porre una premessa. Non si tratta di demonizzare scioccamente internet come tale ma piuttosto di mettere in guardia dalle modalità di approccio scellerate che oggi, in assenza di contesti adulti realmente educativi e di un briciolo di vigilanza istituzionale, consentono ai potenti mercanti della rete (e forse anche a regimi politici senza scrupoli) di incatenare i più giovani utenti a consumi compulsivi di determinate applicazioni che possono provocare disfunzioni cognitive e comunicative gravi e destinate a segnare negativamente il loro sviluppo.

Non si tratta perciò di cedere a un precipitoso allarmismo. Stiamo forse assistendo, per certi aspetti, a una rivoluzione simile ad altre già avvenute. Le rivoluzioni tecnologiche che riguardano la comunicazione hanno sovente portato a cambiamenti delle capacità cognitive. Socrate - racconta Platone- si trovò a mettere in guardia il giovane Fedro dall’imparare a scrivere, perché la scrittura gli appariva come una tecnica pericolosa: poteva far perdere la memoria. Forse non aveva tutti i torti. Ma oggi c’è qualcosa di peggio.

“Macchine per strutturare la distrazione nel cervello”, così Desmurget definiva  le piattaforme social, e in particolare TikTok. Ricorderete forse che le nostre preoccupazioni erano state riprese, attraverso un atto parlamentare, dal Consigliere nazionale Marco Romano, al quale il Consiglio federale aveva  diligentemente risposto in perfetto burocratese, rimandando in conclusione la palla nel campo delle autorità cantonali. 

Qualche giorno fa il New York Times riportava le considerazioni di alcuni esperti (e non è la prima volta che l’autorevole quotidiano statunitense dedica spazio alla questione), tra i quali lo psicologo delle dipendenze David Greenfield che dava descrizione della tecnica utilizzata dai social per tenere incollati gli utenti. Si tratta del “rinforzo intermittente”, un meccanismo simile a quello delle slot machine, poiché induce il fruitore alla costante attesa di una ricompensa di qualche tipo (un apprezzamento, un’informazione interessante, un like), senza però permettergli di prevedere quando questa realmente si presenterà. 

Secondo gli esperti ripresi dal NYT, “i contenuti dei social e delle piattaforme internet giocano con i nostri impulsi e schemi neurologici”, rendendo difficile uscire dal “flusso delle informazioni in arrivo”. E se è vero che pure gli adulti “sono suscettibili” di soccombere a tali meccanismi, “sono i giovani ad essere particolarmente a rischio, poiché le regioni cerebrali coinvolte nella resistenza alla tentazione e alla ricompensa non sono così sviluppate nei bambini e negli adolescenti come negli adulti”.

Adolescenti svizzeri, sempre più ore in rete

Ma quali social utilizzano i giovani svizzeri, e con quale frequenza? Esiste una ricerca nazionale che monitora queste occorrenze. La responsabile per la Svizzera italiana, Eleonora Benecchi, docente all’USI, ci offre un veloce ritratto dei risultati raccolti da queste indagini statistiche. 

Lo studio “James” si occupa dei giovani tra i 12 e 19 anni e rivela che “il 99% di essi possiede un cellulare”. Lo smartphone è utilizzato per accedere alle reti sociali: “Instagram è il social più utilizzato, oltre l'80% dei giovani lo usa quotidianamente; ma va detto che TikTok ha avuto negli ultimi anni una forte crescita passando dall'8% del 2018 al 67% di oggi”. L’indagine ripetuta ogni due anni, ci indica che sta gradualmente lievitando “il tempo che i giovani passano in rete: oltre 3 ore nei giorni feriali e 5 ore nel weekend. Una tendenza in crescita dal 2014”. 

L’uso del cellulare è in aumento anche tra i giovanissimi, secondo i sondaggi dello studio “Mike”, che invece si occupa dei bambini tra 6 e 12 anni, “a usarlo almeno una volta la settimana è il 40% dei bambini di età inferiore ai 10 anni, mentre a 12-13 anni l’utilizzo raggiunge già l'81%”. In questa categoria d’età, TikTok è nettamente il social preferito.

Se foto e video social rimpiazzano la scrittura

Il tempo passato sulle reti sociali però non è senza conseguenze. Una delle funzioni più toccate nel contesto di una fruizione smodata dei social è la capacità di linguaggio, unitamente alla connessa capacità di astrazione. È ciò che sostiene per esempio Mauro Croce, professore alla SUPSI e all’Università della Valle d’Aosta, psicologo, psicoterapeuta e criminologo, autore di un manuale sulle dipendenze digitali. 

Il bombardamento di video e immagini, infatti, ‘spegnerebbe’ nei giovani la facoltà immaginifica, stimolata invece dalla lettura. L’immagine starebbe insomma surclassando la parola e la narrazione. E ciò comporterebbe una significativa diminuzione del generale repertorio verbale o narrativo, nonché difficoltà nella gestione e comprensione della punteggiatura (ciò che ad esempio può rendere più difficoltosa la lettura di grandi poeti come Leopardi, facili all’uso di periodi ipotattici).

Tale impoverimento potrebbe essere una delle cause della diminuzione del QI generale registrata negli ultimi anni e -si noti- per la prima volta nella storia dei Paesi industrializzati (una tesi che Croce ha esposto nel corso di un seminario clinico sulle dipendenze da internet organizzato venerdì scorso a Mendrisio dall’ ASI-ADOC).

Indebolite anche attenzione e ragionamento

I video brevi che si susseguono uno dietro l’altro, tipici di TikTok e ora presenti su tutte le piattaforme concorrenti, degraderebbero inoltre la capacità di concentrazione, favorendo l’impulsività e ultimamente attentando all'abilità di sviluppare riflessioni complesse. 

Cosa pensa Croce della metafora della slot machine (vedi sopra) o di quella simile utilizzata da Michel Desmurget che paragona l’utente social a una scimmia da laboratorio in attesa di noccioline? “Esiste certamente un marketing tecnologico molto aggressivo”, spiega al Federalista, “che sfrutta proprio i meccanismi della ricompensa. I social identificano i nostri interessi, le nostre fragilità, proponendoci continuamente immagini e contenuti in grado di captare la nostra attenzione”.

“La ricezione di una tale ricompensa induce la produzione di dopamina, il neurotrasmettitore del piacere. I circuiti cerebrali si riempiono continuamente di dopamina, a discapito della serotonina, responsabile invece di una sensazione di felicità più duratura che potremmo chiamare 'serenità'. Il risultato è anche quello di una minore stabilità dal punto di vista emotivo". 

È dunque giusto affermare che i social siano pericolosi per i giovani nelle fasi di sviluppo? “Che questi meccanismi siano più pericolosi per i giovani è chiaro, e lo è per una ragione molto semplice: il giovane sta vivendo un periodo di evoluzione durante il quale il suo cervello è più plasmabile”.

La differenza la fanno (soprattutto) genitori presenti

Ciò di cui hanno bisogno i giovani e soprattutto i giovanissimi, ci dice il professor Croce, “è di essere accompagnati da un adulto. A mio avviso non esiste davvero un’età adeguata per entrare in contatto con il mondo virtuale. Il primo contatto può avvenire in qualsiasi momento, la funzione dell’adulto dovrebbe essere quella di fornire i corretti strumenti”.  

Quanto ad un eventuale abuso, per Croce, di certo non può essere ‘curato’, al contrario della dipendenza da sostanze, con il ricorso all’astinenza assoluta, poiché è praticamente impossibile proporre a una persona di sottrarsi totalmente al flusso di informazioni che viene dalla rete, una realtà in cui oggi siamo completamente immersi: “Internet non è più solo uno strumento ma un ambiente”, ci dice lo stesso Croce.

Per Eleonora Benecchi non è neanche possibile stabilire a priori quale sia il tempo adeguato da impiegare in rete: “Per qualcuno tre ore al giorno è un tempo corretto di utilizzo, per altri è troppo… o troppo poco”.

Bisogna anche dedicare attenzione al tipo di contenuti ricercati, interessarsi a “cosa fanno i giovani quando sono in rete e prendere atto del fatto che sempre più attività vengono svolte online”:

“I dati delle nostre ricerche ci dicono che i giovani che godono di un forte sostegno da parte dei genitori passano meno tempo su Internet (e hanno tra l’altro meno probabilità di essere vittime di sexting o molestie sessuali) (...) Anche l’integrazione scolastica aiuta, se supporta lo sviluppo di un utilizzo della Rete moderato e competente”.

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