La denuncia del professor Urs Eiholzer, pediatra ed endocrinologo: "I genitori non possono più discuterne apertamente senza passare per trasnfobici. È un grande problema politico"
articolo a cura della redazione de ilfederalista.ch
Un tema delicato? Non c’è dubbio. Ma anche scomodo. Sì, soprattutto per chi, da studioso, intenda affacciare interrogativi critici sulle pratiche correnti. Sappia, costui, che si espone a immediate reazioni censorie. Ma anche a qualcosa di peggio.
Stiamo parlando delle pratiche di “transizione di genere” su bambini e giovani. E il riferimento è a Hilary Cass, la studiosa britannica che poche settimane fa ha dato alle stampe l’esito delle sue pluriennali ricerche in proposito, condotte su commissione dei Servizi sanitari del Regno Unito. La Cass ha rivelato al Times: "Al momento non vado più sui mezzi pubblici, seguendo i consigli dei servizi di sicurezza”, aggiungendo in perfetto stile british, “il che è molto scomodo”.
Inevitabile chiedersi che cosa avvenga nel nostro Paese. Sulla Rivista Medica svizzera il professor Urs Eiholzer, pediatra endocrinologo, direttore del Centro pediatrico-endocrinologico di Zurigo, è intervenuto nel dicembre dell’anno scorso esprimendo il suo parere sulle modalità dominanti di approccio alla questione. In sintesi: “Invece di indagare scientificamente sulle cause di questo aumento epidemico di giovani ragazze che si percepiscono come trans, vengono somministrati bloccanti della pubertà ed eseguite operazioni in età molto giovane”. In questo, siamo dunque europei. Mal comune mezzo gaudio?
Seguiamo l’argomentazione del professor Eiholzer. Egli fa riferimento a due articoli apparsi nello Swiss Medical Forum ("Dalla psicopatologizzazione a un approccio affermativo alla diversità di genere" e "Opzioni di trattamento di riassegnazione di genere per persone con incongruenza di genere"), a suo modo di vedere “acritici e unilaterali”. Per quali motivi?
Anzitutto perché non considerano che l'aumento esponenziale di persone transgender riscontrato negli ultimi anni “riguarda principalmente le ragazze di età compresa tra i 13 e i 17 anni, che pensano di essere del ‘sesso sbagliato’ per la prima volta quando raggiungono la pubertà”.
L'importanza del contraddittorio con i genitori
In passato erano soprattutto gli adolescenti maschi a soffrire di disforia di genere e il loro numero rimaneva relativamente costante. Oggi, l'80% di loro sono ragazze. Si può notare che solitamente hanno vissuto un'infanzia normale e hanno avvertito l'incongruenza di genere solo durante la pubertà. Interessante la nota che Eiholzer aggiunge a proposito del confronto intergenerazionale: “La pubertà è una fase in cui le persone devono naturalmente fare i conti con il loro ruolo di genere e con il loro corpo che cambia come risultato del loro sviluppo. Soprattutto durante la pubertà, affrontare il contraddittorio con i genitori o con altre figure di riferimento è una componente centrale per una maturazione sana”.
Purtroppo, rincara il professore, con riferimento al clima dominante, “le domande critiche sono poco gradite quando si tratta di questioni trans, anche se le cifre dovrebbero far riflettere. Il numero di minori che si fanno avanti perché soffrono a causa di un'incongruenza di genere percepita è aumentato in modo significativo, del 1000%, negli ultimi anni”.
Eiholzer fa notare che, proponendo un approccio terapeutico a priori affermativo, molti suoi colleghi non si preoccupano del fatto che il loro atteggiamento permette a queste giovani pazienti di accedere a cure mediche delle quali ancora non si conoscono le conseguenze.
“Secondo l'Ufficio federale di statistica, tra il 2018 e il 2021 dieci ragazze di età compresa tra i 10 e i 14 anni si sono sottoposte all'asportazione chirurgica del seno senza alcuna indicazione che non fosse la disforia di genere; e nello stesso periodo sono quasi quadruplicate le mastectomie per ragazze tra i 14 e i 18 anni, passate da 15 a 58”.
Per sovramercato, aggiunge l’endocrinologo pediatrico, “è stata eliminata l'età minima per la somministrazione di bloccanti della pubertà, ormoni cross-sex o interventi chirurgici di riassegnazione del genere. Ciò significa che se un bambino ha raggiunto lo stadio di Tanner 2, che può essere già a nove anni, ha diritto al trattamento”.
I media, la famiglia, la politica
Per Eiholzer, quello della fascia d’età è il principale problema; Scrive infatti:
“La pubertà è un periodo difficile. Molte cose cambiano, poche restano uguali. Cambiano il corpo, l'anima e le relazioni con chi ci circonda. Il corpo cambia di giorno in giorno e i giovani si chiedono continuamente se il loro sviluppo sia normale. Si confrontano con gli ideali femminili o maschili e spesso si sentono delusi. Il corpo che cambia ha bisogno di essere conosciuto di nuovo. In questa fascia d'età emergono continuamente nuove idee che diventano rapidamente certezze inconfutabili”.
È il tema della incidenza dei social: attraverso forum di chat, Instagram o TikTok, incontrano la possibilità di scambiare idee con persone che la pensano allo stesso modo, approdando a quella che il pediatra chiama “bolla trans affermativa” ovvero un ambiente, perlopiù virtuale, in cui trovano coetanei ed “esperti”, che in quella bolla sono già di casa.
“Tutto ciò che leggeranno e sentiranno da quel momento in poi confermerà la loro percezione di vivere in un corpo sbagliato, e li convincerà del fatto che si tratta di un’‘incongruenza’ relativamente facile da risolvere”. Di questa bolla faranno parte –si noti- anche gli psichiatri, gli endocrinologi e i chirurghi che incontreranno.
In questo nuovo contesto, si pone un fatto di enorme gravità: “Il vecchio ambiente, che relativizza e mette in guardia, soprattutto la famiglia, viene spesso tagliato fuori. I genitori che pongono domande critiche vengono etichettati come "transfobici" e quindi ulteriormente allontanati dai loro figli. I genitori in Svizzera riferiscono anche che tutto avviene troppo in fretta”.
La conclusione del dottor Eiholzer va a toccare un tasto inatteso, ma pertinente: "Si tratta di una questione di grande rilevanza politica, attualmente dominata dai cosiddetti esperti, senza che i politici e l'opinione pubblica abbiano realmente preso coscienza del problema”. È grave, sottolinea giustamente il professore, che terapeuti e medici –e si aggiungano genitori e media- “non possono più discutere e indagare apertamente con il bambino o il giovane le motivazioni alla base del ‘desiderio di transizione’” per il timore di essere etichettati come transfobici".