Le elezioni annullate in Romania. Tra accuse di manipolazione, finanziamenti sospetti e bot, la vicenda getta luce sulla fragilità delle democrazie occidentali e sul potenziale dirompente dei social media
a cura della redazione de ilfederalista.ch
TikTok, il celebre social cinese, è sotto indagine in Europa. Dieci giorni dopo l’annullamento delle elezioni presidenziali rumene, la Commissione europea ha avviato un’inchiesta sulla piattaforma di ByteDance per presunte interferenze elettorali. Il caso rumeno dimostra non solo il potenziale dirompente dei social media nel ridisegnare la comunicazione politica, ma anche il rischio che possano trasformarsi in strumenti di manipolazione.
Si sospetta che TikTok abbia violato il Digital Services Act (DSA) dell’UE, la legge sulla moderazione dei contenuti nelle reti sociali, in particolare riguardo ai rischi di disinformazione e manipolazione. “Stiamo verificando se TikTok abbia trasgredito il DSA non affrontando adeguatamente tali rischi”, ha dichiarato la presidente della Commissione Ursula von der Leyen.
L’indagine mira a stabilire se il sistema di raccomandazione di TikTok sia stato manipolato da profili automatizzati (i famosi bot) e se le politiche della piattaforma in materia di pubblicità politica siano adeguate. In risposta, un portavoce di TikTok ha dichiarato: “Non accettiamo pubblicità politiche a pagamento, rimuoviamo proattivamente contenuti che violano le nostre politiche e collaboriamo con la Commissione europea”. Ma secondo i documenti dei servizi di intelligence rumeni le cose sono andate un po’ diversamente.
La Commissione UE intende indagare sulle modalità di influenza del social sui processi elettorali e sul discorso pubblico nei Paesi europei e ha già per altro ordinato a ByteDance la conservazione di documenti e dati interni da qui al marzo venturo, ovvero il periodo durante il quale si svolgerà la campagna per le elezioni federali tedesche. Quella aperta ieri è la terza indagine su TikTok ai sensi del DSA; un’altra, sui rischi per la salute dei bambini, è ancora in corso.
Algoritmi, emozioni, cascate di dollari (e TikTok ci ha messo del suo)
Per tornare al caso rumeno, l’ascesa di Calin Georgescu, candidato alla presidenza dello Stato e vincitore del primo turno elettorale (poi appunto invalidato dalla Corte Costituzionale), esemplifica come TikTok e i suoi algoritmi possano plasmare il consenso elettorale.
La campagna di Georgescu non si è basata solo su messaggi politici, ma soprattutto su una strategia che, sfruttando l’algoritmo di TikTok, premia i contenuti che suscitano forti reazioni emozionali, allo scopo di massimizzare la visibilità. Si tratta, ad esempio, di video che alternano promesse di pace a momenti di vita quotidiana, come spavalde immersioni in laghi ghiacciati, i quali hanno catturato l’attenzione di milioni di utenti. Nonostante Georgescu sostenga di non aver speso denaro per le campagne online, la velocità della sua ascesa solleva dubbi sulla trasparenza del processo.
Secondo LeGrand Continent, i servizi segreti rumeni hanno identificato numerosi elementi critici. Documenti riservati giunti nella redazione della rivista geopolitica francese parlano di attacchi hacker per oscurare i candidati avversari, influencer pagati per promuovere Georgescu e profili all’apparenza legati alle istituzioni statali (in realtà, contraffazioni) impegnati nella diffusione dei suoi messaggi.
Tra il 13 e il 26 novembre, i contenuti video associati a hashtag (parole chiave) legati al candidato sono improvvisamente diventati virali, portandolo al nono posto delle tendenze globali di TikTok. Il rapporto dei servizi di Bucarest evidenzia una “viralità non organica”, ovvero una circolazione dei contenuti accelerata oltre la norma. Il dubbio è dunque che la piattaforma lo abbia favorito.
TikTok avrebbe inoltre ricevuto 381.000 dollari per promuovere i contenuti, una cifra che secondo i servizi rumeni include finanziamenti provenienti dall’estero (per esempio da fondazioni sudafricane), in violazione delle normative sulla trasparenza e dei limiti di finanziamento ai fini elettorali. Tali somme mettono in dubbio le affermazioni di Georgescu, il quale dichiarava di aver condotto una campagna a budget zero.
L’uomo del Cremlino
Georgescu, ex funzionario pubblico di alto livello nel settore della protezione ambientale (anche al servizio dell’ONU) ma senza alcuna esperienza politica, ha ottenuto il 22,94% al primo turno, superando candidati istituzionali come Elena Lasconi (centro-destra, seconda con il 19,18%) e il favorito della vigilia, il social democratico Marcel Ciolacu, fermo al 19,15%.
Ma chi è Georgescu? Distintosi per le posizioni controverse su temi delicati come quello vaccinale, è già sotto indagine per aver lodato due politici rumeni collaborazionisti del nazismo e facilitatori dell’Olocausto.
Ma quel che più impressiona è la sua sviscerata simpatia verso Putin, a suo dire “un uomo che ama il suo Paese” e “uno degli ultimi veri leader”; ecco perché Georgescu invita la Romania ad "abbracciare la saggezza russa", affermando che NATO e UE raramente rappresentano gli interessi della Romania.
Altro tema fisso di Georgescu, la retorica critica verso le istituzioni europee, con il suggerimento di un ritorno del suo Paese alla sovranità nazionale e a un'economia meno legata all'Occidente, strizzando l’occhio a Mosca.
La fragilità della democrazia digitale e il ruolo dei social media
La capacità di Georgescu di emergere come figura politica dominante, senza una rete partitica consolidata, evidenzia le vulnerabilità delle democrazie moderne. Il suo messaggio nazionalista, che affermava la necessità di un ritorno a una presunta “purezza storica”, ha trovato terreno fertile in un elettorato deluso dalla politica tradizionale. Molti sostenitori provengono da contesti rurali o classi meno abbienti, spesso lasciati ai margini dai benefici dell’integrazione europea.
L’uso di TikTok ha consentito al candidato di aggirare i canali tradizionali, costruendo una narrazione emotiva che ha conquistato giovani e cittadini insoddisfatti. I servizi rumeni ritengono che la Russia possa aver sfruttato l’occasione per destabilizzare la Romania, influenzando indirettamente il percorso democratico di un Paese membro dell’UE. I documenti parlano di “strategie deliberate per amplificare l’esposizione di Georgescu e deviare il discorso pubblico.”
La Corte Costituzionale rumena ha invalidato il primo turno elettorale, ritenendo che si fosse oltrepassato il limite tra una campagna legittima e una manipolazione orchestrata. Secondo il dossier presentato dai servizi segreti, le dinamiche osservate rappresentano un caso emblematico di interferenza esterna e di abuso dei social media per fini politici.
Questa dinamica però porta anche e soprattutto a riflettere sulla fragilità di opinioni pubbliche che si lasciano convincere da campagne fondate su brevi video postati su internet. La Romania è una democrazia giovane e fragile che si porta ancora sulle spalle i fardelli di un secolo di sottosviluppo, socialismo reale e guerre laceranti. Ma l’interrogativo è valido per tutte le democrazie occidentali.