Ecco il commento dell'editore per il numero di maggio della rivista il Ceresio: "Beltraminelli è piacevole, è simpatico, di grande calore umano, sa parlare e animare le feste. Ma non tutte le ore della giornata possono concedersi il lusso di far ballare i polpastrelli sulle tastiere dei telefonini. Bertoli intelligente ma con un carattere non facile. Vitta suscita stima e simpatia"
Una domenica pomeriggio di cinquant’anni fa mi trovavo sulla piazza di Cevio. A pochi metri di distanza, all’albergo Basodino, si svolgeva un incontro dei liberali valmaggesi. La manifestazione era pubblica e improvvisamente mi punse vaghezza di andare ad ascoltare: può darsi che ci sia sempre qualche cosa da imparare. Mi fermai in fondo alla sala, in piedi, un quarto d’ora: stava parlando Marco Pessi, allora direttore delle Fart, deputato al Gran Consiglio e municipale di Locarno.
Il lunedì successivo, quando mi capitò di dare un’occhiata alle pagine del «Dovere», ebbi modo di leggere un testo di cronaca che suonava più o meno così: «Magnifica manifestazione a Cevio. Grande adunata di amici. Alti ideali ed entusiasmo alle stelle. Unico neo: la presenza del signor Armando Dadò, il quale, strisciando come un rettile, con il fare delle spie, così come si addice ai suoi pari, si era inoltrato in fondo alla sala».
Cito questo episodio che ho avuto modo di vivere in prima persona per rendere l’idea di quale fosse il clima politico di allora, che era fra altro costantemente nutrito e fomentato da articoli di giornali che Plinio Martini definiva «semine d’odio».
Il mondo di oggi
A distanza di mezzo secolo, per certi aspetti, sembra che – da questa realtà – ci si trovi lontani anni luce. Il mondo di allora era in gran parte il risultato del passato. Ci si muoveva con schemi ripetitivi e la vita politica del Paese rispecchiava i duri conflitti del secolo precedente.
L’Ottocento ticinese è descritto con particolare chiarezza ed eleganza di esposizione da Raffaello Ceschi, lo storico che ha curato la nuova Storia del Canton Ticino e che ci ha purtroppo lasciati, ancora in giovane età, quattro anni or sono. L’Ottocento è stato un periodo di aspri confronti fra liberali e conservatori; confronti che degenerarono spesso in scontri violenti, in risse, in omicidi: un clima difficile oggi da immaginare e nel quale si sommavano ragioni di carattere ideologico, religioso, rivendicazioni di potere, l’odio si tramandava spesso da famiglia a famiglia.
Chi ha avuto modo di leggere il discorso che Gioachimo Respini, il leone della Rovana, tenne in occasione del trasporto della Madonna del Sasso nella Piazza Grande di Locarno davanti a 30’000 persone, può farsi un’idea dell’atmosfera che caratterizzava il nostro passato, determinata anche dal risentimento per la soppressione dei conventi e la confisca dei beni ecclesiastici.
Nella prima parte del Novecento, i rapporti fra i due partiti maggiori erano estremamente tesi: regnava un clima di odio reciproco o, comunque, di tale avversità da far vedere l’antagonista come un nemico. Questo contrasto, pur modificatosi negli anni, soprattutto dopo l’introduzione della formula Cattori in base alla quale nessuno poteva avere la maggioranza in Consiglio di Stato se non la deteneva nell’elettorato, venne esasperato nel 1947, quando si formalizzò in Governo un’alleanza fra liberali e socialisti e per prima cosa si tolse il Dipartimento della pubblica educazione al conservatore Giuseppe Lepori. Così, per lungo tempo, anche dopo la fine dell’alleanza radico-socialista, il clima non mutò granché.
«Come ben sai – mi diceva recentemente l’avv. Pierfelice Barchi – il Partito liberale deteneva tutto il potere a livello cantonale e nazionale. In Governo e in Gran Consiglio la maggioranza era nostra. Le città e i maggiori Comuni erano in mano nostra, come lo erano l’economia, le banche, la finanza, buona parte degli enti statali e parastatali».
L’avvento della Lega
Le cose sono poi ancora mutate con la nascita e l’affermazione della Lega dei ticinesi, con il mutamento della società in generale, la globalizzazione, l’avvento della televisione e di internet, il cambiamento della mentalità e dei costumi, i progressi della scienza e della tecnica.
La situazione odierna
Intanto, si deve dire che in un mondo in crisi e in difficoltà un po’ dappertutto, le ripercussioni ovviamente si sono fatte sentire anche da noi. Si parla sovente delle difficoltà dei partiti nel nostro tempo. È certamente vero ma la crisi, le incertezze, le problematicità ci sono un po’ ovunque. Siamo di fronte a grandi rivolgimenti, a una società in costante trasformazione nella scuola, nell’economia, nella finanza, nella stampa, nel contatto con le altre culture, con gli altri popoli, fra le diverse religioni. Ci troviamo – per dirla con Baumann – in una «società liquida». Non dimentichiamo infine l’aria contagiosa che ci arriva dalla vicina Repubblica: più che valori culturali e artistici, ci vengono trasmessi quotidianamente messaggi di ben altra natura.
Il Partito liberale radicale
Il PLRT ha perso un seggio in Governo. Ha perso il sindacato di Lugano, di Bellinzona e di Mendrisio. Si è ridimensionato, ma in compenso ha consentito a esponenti delle nuove generazioni di farsi avanti e di agevolare il dialogo politico. È stata abbandonata una certa qual arroganza, ancora viva non molti anni fa… Rocco Cattaneo, un uomo di economia prestato alla politica, ha avuto il merito di smussare gli attriti tra le due anime del partito, determinati negli anni più da conflitti e interessi personali che da vere divergenze ideologiche.
Vitta e Farinelli suscitano stima e simpatia; sanno esprimere pareri equilibrati, lontani dai vecchi fanatismi; sanno – e non è poco – ascoltare. Il nuovo presidente Bixio Caprara è appena entrato in attività, ma sembra godere della simpatia di gran parte del partito. Insomma, il PLR di oggi è parecchio diverso da quello di ieri e secondo me è cambiato in meglio.
A meno di nostalgici rigurgiti, sembra siano state messe da parte le anticaglie, le diatribe di antico pelo, per abbracciare una visione più attuale della realtà, che abbia una percezione più vasta, più attuale, più vera.
Il Partito popolare democratico
Come per molti movimenti storici, anche il PPD ha perso negli ultimi anni parecchi elettori. Il nuovo ufficio presidenziale, composto da tre giovani – Dadò, Fonio, Passalia – ha ricevuto dal congresso una specie di cambiale in bianco ma è confrontato con problemi non indifferenti. Qui si tratta di rivoltare le maniche ed occorre ricostruire un po’ tutto. Occorre saper dare un’immagine più viva e attraente al partito. Occorre riorganizzare le sezioni locali, sistemare le finanze e trovare una soluzione efficace di comunicazione con la gente. Nel partito ci sono belle forze giovanili che andranno coinvolte e responsabilizzate al meglio, con un risveglio degli ideali, dell’etica, dell’amore verso il Paese.
Parlando del PPD, non si può non accennare al caso Beltraminelli. Il suo nome viene coniugato in tutte le direzioni a dipendenza delle situazioni. L’uomo è piacevole, è simpatico, di grande calore umano, sa parlare e animare le feste. Si direbbe che si trova a suo agio in tutte le situazioni, ma – detto questo – occorre aggiungere che è un po’ superficiale. Infatti non tutti i momenti permettono di essere sempre con il sorriso sulle labbra e non tutte le ore della giornata possono concedersi il lusso di far ballare i polpastrelli sulle tastiere dei telefonini.
La Lega dei ticinesi
La storia della Lega è conosciuta. Nessuno avrebbe scommesso un franco sul movimento di Bignasca e Maspoli, che ora si trova con la maggioranza in Governo. Ma per certi aspetti è proprio ora che le difficoltà possono farsi più concrete. Per anni il «Mattino» ha gridato contro tutto e contro tutti. Ha sbeffeggiato a destra e a manca, ha fatto caricature di ogni genere, ha anche insultato in abbondanza e trasformato frequentemente il fuscello in una trave. Ora, con la maggioranza in Consiglio di Stato, le cose sono cambiate. La Lega si trova a dover gestire quelle stesse situazioni che prima venivano denunciate senza pietà. Ma se prima era facile accusare gli altri di «partito delle tasse», chi è ora che promuove le nuove tasse? E anche tenere il piede in due staffe non è sempre agevole. Né è facile svolgere nel medesimo tempo il ruolo del ladro e del derubato: fino a quando?
A suo interno la Lega è ora fatalmente divisa. Boris Bignasca, figlio del fondatore e finanziatore del «Mattino», non è d’accordo di cambiare la strategia stabilita da suo padre Giuliano perché altrimenti i leghisti non sarebbero più la Lega ma finirebbero con l’accodarsi agli altri partiti.
Il «Mattino» rimane la forza della Lega ma costa un sacco di soldi e la strategia da promuovere ora è più difficile: non bastano quattro caricature un po’ sguaiate.
Il Partito socialista ticinese
Il socialismo è in crisi in tutta Europa. Le masse operaie sono in gran parte emigrate verso altri lidi, non hanno più fiducia nel vecchio socialismo, anche perché gli slogan si sono sbiaditi e sovente non si è riusciti a trovare leader autorevoli e convincenti. Nel PS ticinese esiste da tempo un forte conflitto interno; alle volte si ha l’impressione di uno stato permanente di guerra intestina. Bertoli è uomo intelligente ma di non facile carattere e contestato da una parte del partito. La stessa riforma per «Una scuola che verrà» sembra trovare molti oppositori e poche voci consenzienti. Recentemente ha dovuto chiudere anche «Confronti», il mensile della sinistra, in calo di abbonati e di lettori. Molti aderenti vedono più che altro nell’attività del partito molta burocrazia, uno strumento per sistemarsi nei posti statali e parastatali, pochi ideali autentici per essere di richiamo alle giovani generazioni.
I Verdi
Il movimento dei Verdi avrebbe potuto avere un ruolo importante nel nostro Cantone. Ma avrebbe dovuto occuparsi dei problemi reali del territorio, della natura, della salvaguardia delle zone pregiate, insomma di tutto quanto è contenuto idealmente nel nome stesso del movimento. Le cose però sono andate molto diversamente. Sergio Savoia ha acciuffato il partito, si è imposto in modo autoritario, litigando un po’ con tutti ed in particolare con Greta Gysin, che sembrava essere la vera briscola da giocare. Il movimento ha finito per essere coinvolto in mille dispute, non si è più capito in quale misura fosse rimasto fedele al programma iniziale e ha fatalmente finito con l’uscire con le ossa rotte. L’ingombrante Savoia se n’è infine andato alla RSI, accucciato sotto le ali del suo amico Canetta e il Movimento è rimasto lì: chi vivrà vedrà.
L’Udc e gli altri
Nonostante gli aiuti di Blocher, l’Udc ticinese non è mai riuscita a sollevarsi veramente da terra, giacché la presenza della Lega non glielo ha consentito. Nel passato ha avuto fra le sue file una forza della natura come Gianfranco Soldati, ma il carattere non facile dello scomparso dottore non gli ha probabilmente permesso di cogliere i frutti sperati. Oggi rimane una voce, numericamente non molto consistente, che comunque si deve ascoltare nel panorama cantonale. Rimane da dire qualche cosa dei partiti minori. Morisoli, pur avendo pochi alleati, è capace di farsi udire. Sull’altro fronte, Pronzini è onnipresente in ogni circostanza. C’è poi il caso Mattei, che è un caso a sé stante e non può essere trattato in poche righe.
In conclusione
Guardando al Ticino, si possono dire molte cose. C’è chi lo vede come un quartiere di Milano, una minuscola realtà che cerca di mostrarsi molto più grande di quanto sia (ritorna alla mente «La repubblica dell’iperbole», fresco di stampa3). Ma lo si può vedere anche in modo diverso: come Svizzera italiana, una parte essenziale della nostra nazione. Ed allora, se la prospettiva è questa, le cose cambiano. Allora ci soccorrono la storia, la cultura, la letteratura, le arti, l’Università. E poi l’artigianato, l’economia, i nuovi arrivati e quanti arrivano da noi ogni giorno per darci un colpo di mano o per trovare rifugio.
Forse varrebbe la pena rispolverare qualche pagina dei nostri uomini migliori. Nella vita civile i vari Dalberti, Franscini, Pioda, Celio, Cotti. Nelle lettere, Francesco Chiesa, Giuseppe Zoppi, Guido Calgari, Piero Bianconi e qualche altro. Quanti hanno scritto sulla nostra identità. Non solo parole retoriche, ma anche riflessioni profonde che meritano di essere riportate alla luce.
A questo punto, qualcuno chiederà: «Siamo nell’era della robotica e della post-verità e tu mi vieni a parlare degli scrittori del secolo scorso?».
Certo, è così: in un mondo come il nostro, affollato e confuso, gli scrittori del passato possono essere molto utili. Ma se taluni non si accontentano, leggano il grande Todorov, scomparso di recente. O, per rimanere fra noi, prendano in mano le quaranta pagine di Mauro Baranzini che introducono «La Svizzera il paese più felice del mondo». Ci troveranno il meglio di quanto ci si possa aspettare.
*editore - Editoriale numero di maggio della Rivista Il Ceresio