Uno: l’Islam è una grande religione e una grande cultura di una parte importante del Mondo, ma non è una grande religione e una grande cultura dell’Europa (quella vera, non questa appiattita e sciapa). Di conseguenza libertà di culto, ovvio, fa parte dei nostri valori irrinunciabili, ma nulla di più.
Regole volte da una parte a disinnescare proposte assurde ed islamofobe, dall'altra ad evitare di continuare a farci uccidere in casa nostra dai terroristi dell’Isis o di essere la loro fucina di reclutamento e addestramento di jihadisti.
Uno: l’Islam è una grande religione e una grande cultura di una parte importante del Mondo, ma non è una grande religione e una grande cultura dell’Europa (quella vera, non questa appiattita e sciapa). Di conseguenza libertà di culto, ovvio, fa parte dei nostri valori irrinunciabili, ma nulla di più. Nessun tipo di parificazione con le religioni e con il pensiero politico e culturale su cui è stato edificato l’Occidente. Integrazione ma nelle differenze e con le distinzioni che ogni società che non si vergogna della propria storia e del proprio codice indennitario deve saper fare: ognuno al posto suo. Discriminazione? No, semplice rispetto delle regole antichissime di questa casa non islamica. Né più e né meno di quanto già fanno i Paesi musulmani più avanzati - e fanno benissimo - che consento la libertà di culto delle altre religioni ma ne limitano la sfera pubblica e politica. In questo senso, sarebbe molto opportuno, un divieto sostanzialmente preventivo, come quello che fu fatto con i minareti, che proibisca sin d’ora l’istituzione di partiti di ispirazione islamica. Così facendo risolveremmo solo parzialmente il problema perché, come ben spiegato da Stefano Piazza nei suoi scritti, si segnalano scalate da parte di fondamentalisti all’interno di partiti già esistenti. Ma almeno si porrebbe un primo argine invalicabile.
Due: tutti i movimenti, le associazioni, i gruppi, anche solo in odor di radicalismo vanno sciolti seduta stante. E i responsabili e gli aderenti espulsi dalla Svizzera. E se sono svizzeri a cuccia, e se non gli va bene, in gabbia. Con carcere duro all’italiana, però. Considerato il pericolo va abbassata la soglia della tolleranza: non possono essere più accettate ambiguità da chi, giochicchiando con concetti e parole, approfitta delle larghe maglie della nostra democrazia. Basta farci perculare! È una limitazione della libertà di espressione? Sì lo è. D’altra parte la libertà di espressione è sempre stata modellata dall’attualità e sui pericoli con cui di volta in volta ha dovuto confrontarsi (anche il Mein Kampf è stato a lungo fuorilegge in diversi Paesi). Personalmente sarei pure un po’ più drastico: siccome la Shari’a è incompatibile, anzi in aperto contrasto, con i nostri valori cardini e con la nostra Costituzione, chi la sogna, o la elogia, o chi ne fa un’apologia, si trova nel Paese sbagliato. Saluti, baci e fö di ball. Oppure, se svizzeri, in Procura. D’altra parte è incomprensibile come nel nostro Paese siano puniti i reati legati alle discriminazioni e non debba esserlo chi elogia un testo che comprende delle leggi che, secondo la nostra cultura, sono discriminatorie nei confronti di nostri molti concittadini: donne, omosessuali, etc
Tre: chiunque online inneggi, strizzi l’occhio, flirti, anche solo per gioco e o per scherzo, con gruppi estremisti, fila fuori. In questo caso, nel dubbio, meglio espellere. E chi è dei nostri, come i terroristi nati e cresciuti in Europa, pena e se persevera, poiché è impossibile controllarli tutti, al gabbio. Sempre con carcere duro all’italiana. Chi sceglie di andare a combattere nelle file del Califfo - svizzero o no - non deve più poter rientrare nel Paese. Punto.
Quattro: gli Imam per predicare in Svizzera dovrebbero conoscere, e bene, cioè sia scritto che parlato, almeno una delle lingue nazionali della regione in cui predicano. La predica (non la preghiera), altresì, dovrebbe essere tenuta nella lingua locale, anche come contributo all’integrazione dei fedeli. I nuovi non capiscono? Un input per imparare più alla svelta. Di più: il predicatore islamico dovrebbe risiedere nel nostro Paese da un bel po’ di anni, proprio per essere pienamente integrato e per scongiurare quel trotterellare da una moschea all’altra in giro per l’Europa di questi “sacerdoti”. Non sarebbe una brutta idea quella di creare una lista degli Imam a livello nazionale autorizzati alla predicazione dallo Stato, accessibile soltanto a chi soddisfa precisi criteri. Gli altri, nisba.
Cinque: tutte le associazioni, i centri culturali e le moschee, devono fornire annualmente allo Stato i bilanci. Da dove arrivano i soldi e come vengono spesi. E se qualcosa puzza, abbassare le serrande. Nessun possibile finanziamento dall’estero, né direttamente né indirettamente.
Sei: vietare qualsiasi attività pubblica di proselitismo, in primis la distribuzione del Corano per strada. Se qualcuno desidererà convertirsi troverà la strada della moschea o della libreria per leggersi il Libro. E divieto assoluto di aprire scuole islamiche, ca va sans dire.
Sette: fare una seria politica di urbanizzazione, di alloggi e di assegnazione degli stessi, che impedisca sul nascere la creazione di quartieri islamici, come purtroppo ne osserviamo in varie capitali europee.
Otto: qui è Occidente, la simbologia islamica o alcuni suoi comportamenti (tipo non dare la mano alle femmine) non fanno parte delle nostra cultura e delle nostre tradizioni. E come viene chiesto giustamente alle nostre donne di indossare il velo quando viaggiano nei Paesi islamici che lo pretendono, chi è qui deve (deve) adeguarsi ai nostri costumi. È una semplice regola di buon senso e di ospitalità che dovremmo mutuare dalle nazioni islamiche.