POLITICA E POTERE
Il 'sermone' di Capodanno di Sergio Morisoli: "Fermiamo il declino: stop alle politiche di sinistra. Il socialismo non è scomparso e non è meno pericoloso di quello del secolo scorso. È solo mutato geneticamente e si è diffuso negli altri partiti. È un so
Il presidente di Area Liberale: "I liberalconservatori sono forse rari, ma facili da individuare: sono quelli che conoscono e sanno fare la differenza tra ciò che può cambiare e ciò che invece non deve cambiare"
foto: TiPress/Pablo Gianinazzi
BELLINZONA - Capodanno 2018

di Sergio Morisoli *

Fermiamo il declino: stop alle politiche di sinistra... Il titolo non è uno slogan elettorale, bensì la prima misura necessaria e concreta per iniziare l’inversione di tendenza. Ad inizio anno è giusto darsi qualche traiettoria da percorrere per provare a tirarsene fuori. Come uscirne?

La prima cosa da fare per risolvere i problemi è chiamarli con il loro nome, senza perifrasi o neologismi. La seconda è quella di attenersi alla realtà, senza far finta e illudersi che le cose stiano meglio di come le vediamo. Di fronte a questa realtà: da una parte i problemi creati con scelte politiche  di sinistra e  dall’altra lo statalismo quale soluzione; noi riteniamo che un nuovo equilibrio e un miglioramento della situazione possa essere raggiunto solo con una sana politica liberalconservatrice: una politica liberale in economia e conservatrice nei valori, nelle tradizioni svizzeri. Libertà di commercio e  industria abbinata alla difesa della sovranità nazionale e del modello federalista svizzero.

Perché questa necessità? Perché nulla accade per caso, e la situazione attuale ha un’origine, una causa verificabile. Il socialismo non è scomparso e non è meno pericoloso di quello del secolo scorso. E’ solo mutato geneticamente e si è diffuso negli altri partiti.

Come? Per cominciare i socialisti hanno abbandonato la lotta di classe, avendo capito a) che i proletari vogliono diventare borghesi e b) che l’economia capitalista è utile e serve a riempire le casse dello Stato e quindi per finanziare i loro propri piani. Hanno cambiato obiettivo: ora vogliono abbattere i valori e le regole del gioco che hanno prodotto benessere individuale e prosperità per tutti in Svizzera e altrove.

Perde il pelo ma non il vizio: quello di abbattere per ricostruire. Prima era l’uomo vecchio che doveva essere abbattuto per far posto al super uomo, poi il capitalismo per far posto al comunismo. Tentativi andati a vuoto. Ora il bersaglio, da un paio di decenni a livello continentale, è chiaro, o la va o la spacca: far saltare ciò che tiene assieme il popolo e che lo difende dalle neo ideologie sposate con il potere statale.

Allora si fanno saltare prima i confini tra Paesi, poi si fanno circolare merci, capitali e persone con un caos programmato a tavolino; poi si attacca, sgretolando i legami, l’unica cellula anarchica naturale: la famiglia; poi si ficcano le mani nei laboratori della genetica umana tentando di schiavizzare, producendolo selettivamente, l’ultimo baluardo di libertà: l’uomo stesso, nato dal caso e dall’amore; poi l’indottrinamento gender prepara il terreno diabolico del nulla nel quale si va infine a maneggiare le terribili finte libertà auto deterministe di inizio e fine vita.

Questo lo chiamano progresso, guai a chi non segue! Ci hanno purtroppo convinti e abituati a che il capriccio è un bisogno, che un bisogno è un diritto, che un diritto è una legge, che la legge è politica, che la politica è lo Stato, e infine che lo Stato è libertà. J.K Chesterton già nel 1910 scriveva: “Il caos attuale è figlio di un generale oscuramento dello scopo a cui gli uomini originalmente tendevano. Nessuno chiede ciò che desidera; ognuno chiede ciò che immagina di poter ottenere”.

Il socialismo trasversale e diffuso in tutti i partiti ora si caratterizza per “buonismo-tollerismo-relativismo-nichilismo-autodeterminismo-egualitarismo-ateismo” da produrre attraverso lo statalismo e il centralismo. Questo concetto è più sdoganabile e esportabile oltre i confini del classico Partito socialista. Questo  fenomeno nuovo, la catena di “non valori” sommata allo statalismo,  sono i due veri nemici del benessere, della libertà, della responsabilità individuale, dell’economia e del sistema istituzionale svizzero.

Lo statalismo pianifica la vita dei cittadini e delle imprese in ogni ambito dalla culla alla bara,  e il centralismo burocratico la dirige. Purtroppo questa tentazione di perseguire dall’alto il perfettismo sociale e economico è molto attrattiva per troppi non socialisti, per questa ragione le politiche di sinistra crescono  trovando terreno fertile trasversalmente nel Governo e in Parlamento. Non è facile accorgersi a) della mutazione genetica del socialismo e b) della sua efficacia nel diffondersi oltre al classico terreno dell’economia.

Per capire il mutamento in atto, eccovi qualche esempio di cosa il socialismo geneticamente modificato produce: diritti illimitati senza doveri e deresponsabilizzazione individuale, ingerenza e ostacoli all’economia, iperegolamentazione, eccesso di controlli, permessi e certificazioni a go’ go’, prestazioni sociali “à la carte” e a pioggia, moltiplicazione di imposte, tasse e balzelli, consumismo pubblico, clientelismo partitico, servizio pubblico carente e costoso, immigrazione libera e incontrollata, assorbimento automatico del diritto UE in moltissimi campi, centralismo decisionale e dirigismo burocratico dall’alto, spendere malamente i soldi degli altri o quelli che non ci sono, libertinaggio dei comportamenti, relativismo etico e perdita di senso civico, caos culturale e identitario,  integralismo ecologico. “Se non disponiamo degli insegnamenti di qualche uomo divino, tutti gli abusi possono essere giustificati, perché l’evoluzione può trasformarli in usi”. (J.K. Chesterton)

Lo statalismo e il centralismo che promuovono queste politiche hanno superato di gran lunga, per attrattiva e rendimento, la lotta di classe tra “padroni e operai”. Il socialismo, in queste forme nuove, sta prendendo il sopravvento culturale nel modo di ragionare in molti campi della politica, nel modo di fare le Leggi e nel rapporto cittadino - stato.

E’ un socialismo deviato; invece di difendere i più deboli, i bisognosi e il lavoro; si è messo a promuovere politiche libertine negli usi e costumi culturali e sociali. Sta spingendo per rompere la tradizione, siccome il buon senso non esiste più se la prende con il senso comune. Vorrebbe democratizzare tramite diritti assurdi fino all’eccesso, la soddisfazione dei libertinaggi che furono già delle élite, prima aristocratiche poi borghesi.  Ancora Chesterton ci avvertiva: “Il dio degli aristocratici non è la tradizione: è la moda, che è all’opposto della tradizione. (…)Soltanto la plebe ha tradizioni. Per farla breve: i ricchi sono sempre moderni, esserlo è il loro mestiere”.

Le conseguenze, di questo spostamento del campo di battaglia politico dei socialisti dalla lotta al capitalismo (l’hanno persa) alla demolizione dei valori tradizionali portanti (sperando di battere il capitalismo attaccandolo con il progressismo), si vedono chiaramente perfino alle nostre latitudini: lavoro precario, famiglie tradizionali penalizzate, aziende serie demonizzate, contribuenti strizzati, ceto medio dimenticato, proprietà privata punita, bilaterali subiti, stato costoso e deficitario.

John Lukacs scrive: “Il mondo intero è socialista, almeno nel senso che lo Stato sociale, o lo Stato che provvede, è stato accettato, quanto meno in linea di principio, e secondo modalità pratiche certo diverse, da un capo all’altro del pianete. In questo senso che un governo si dichiari oppure no socialista è quasi irrilevante.”

In generale riteniamo che lo statalismo è diventato la soluzione facile, comoda, costosa e irresponsabile ai problemi;  il suo sviluppo è molto più pericoloso del socialismo. Quest’ultimo è ben identificabile attorno al 15%, mentre lo statalismo è distribuito abbondantemente trasversalmente in Governo, in Parlamento e in tutti i partiti, e su molti temi è addirittura maggioritario!

Queste politiche del “laissez faire “ di sinistra, supportate dalla  “mano visibilissima” dello Stato, hanno ormai preso piede anche  in Ticino e stanno creando problemi enormi. Ora ci vogliono politiche liberalconservatrici per risolverli. Ci vuole la ricostruzione di quelle catene di produzione di valori aggiunti che vanno ben oltre alle leggi della domanda e dell’offerta (liberiste o marxiste che siano). Wilhelme Röpke oltre 50 anni fa ci veniva già incontro: “per quanto sia essenziale l’economia di mercato non può bastare; occorre risolvere alcuni problemi che si pongono al di fuori del problema dell’ordine economico. (…)

Questo ordine economico deve integrarsi negli altri, più ampi, più alti, ordini da cui dipende il successo dell’economia di mercato e che a loro volta lo presuppongono.”

Non c’è dubbio, la ripartenza prima ancora che economica dovrà essere umana. Ma cosa significa? Significa individuare e ricuperare l’essenzialità di quegli elementi che da una parte tengono assieme la società e dall’altra ne sono anche i motori che producono benessere, prosperità e progresso. Il mondo è complesso, molto complesso e non occorre renderlo ancora più difficile con soluzioni complicate. Anziché aumentare e aggiungere ipotesi e soluzioni (statali), che poi sono ridondanti tra loro, dovremmo invece procedere in senso inverso: ridurre.

Appunto ridurre all’essenziale, fino alle “cellule” di base, e partire da lì: azienda, famiglia e scuola. Se riuscissimo a far capire alla politica che anziché allargare il campo di azione dovrebbe restringerlo per rinforzare e promuovere questi tre elementi; si può star certi che si genererebbe una reazione a catena positiva. La politica deve tornare ad avere come target, come scopo della sua azione dei soggetti concreti, non delle tematiche; quelle vengono dopo.

Dobbiamo perciò ricuperare quello che è vitale, e di vitale ci sono solo gli organismi viventi della società civile, fatti da persone: azienda, famiglia e scuola; e non i temi nei quali buttarcele dentro, quelli possono diventare sepolcri imbiancati (ideologie terribili). Con la presunzione fatale che poi gli organismi si adatterebbero da soli all’ambiente che la politica gli creerebbe attorno.

No, propongo con forza un approccio diverso, conservatore, un ritorno a quelle  evidenze che se “rimesse in buono stato” possono produrre miracoli per il nostro bisogno di identità e crescita (occidentale ma anche elvetica). Semplifico, come non si può far altro in un articolo. Dall’azienda si genera lavoro e scambio; dalla famiglia si genera carità e democrazia; dalla scuola si genera educazione e sapienza.

O se volete al contrario: non c’è scambio senza lavoro e senza azienda; non c’è democrazia senza carità e senza famiglia; non c’è sapienza senza educazione e senza scuola. Ridurre all’essenziale, andare fino al nucleo costitutivo e al senso di azienda, famiglia e scuola è più dura che aggiungere e dilatare questi tre organismi. Le varie politiche settoriali stanno infatti danneggiando e manipolando geneticamente questi organismi basilari. I neo concetti di aziende sociali, di famiglie allargate e di scuole liquide supportati a ripetizione da scelte politicaly  correct che ne rafforzano i loro difetti; fanno certamente raccogliere più voti a chi le propone ma danneggiano la ripresa economica e indeboliscono il processo identitario e culturale necessario a sorreggerla.

Ricuperare l’originalità e la missione iniziale dei ruoli di azienda, famiglia e scuola è l’azione politica più urgente per gettare le fondamenta necessarie ad affrontare: invecchiamento della popolazione, denatalità, immigrazione/emigrazione, rivoluzioni tecnologiche 4.0, mobilità e precarietà del lavoro, meticciato culturale e valoriale, nomadismo dei grossi contribuenti. Il lavoro lo si apprende e lo si moltiplica solo facendolo (azienda); la carità la si apprende e la si applica solo sperimentandola (famiglia) e la sapienza la si raggiunge e la si trasmette solo educandosi a vicenda (scuola).

Ecco, certo, sono elementi basici molto conservatori (azienda, famiglia, scuola) che attraverso comportamenti virtuosi di  lavoro, carità e educazione  perseguono valori molto conservatori scambio, democrazia e sapienza; si tratta senza nascondimento di una catena di produzione di conservatorismo. Se proprio vogliamo completare il quadro delle necessità, aggiungiamo anche l’importanza di ricupera le sequenze di: Patria identità e indipendenza; società civile sussidiarietà e Stato; chiesa cristianesimo e Dio.  Non scordiamocelo il liberalismo a volte va promosso, a volte moderato e a volte difeso con un sano conservatorismo.

“Il collettivismo che ha ricevuto dal pensiero societarista un grande apporto,ha indebolito i legami fra le persone promuovendo forme impersonali di assistenza, ma anche tramite l’erosione del concetto di responsabilità diretta a tu per tu, o con l’incoraggiamento dell’impunità per l’irresponsabilità individuale, o la svalutazione della capacità di autoregolarsi fidando in modo eccessivo nelle normative dello Stato. Tutti questi elementi hanno contribuito a indebolire notevolmente e a inaridire i rapporti interpersonali.” Questo è il pensiero di un esperto come Matthew Fforde.

Per questa ragione, dopo decenni passati a trovare concordanze partitiche e di comodo (elettorale) su progetti e programmi socialisti ridondanti e perfino in antitesi tra di loro (Linee direttive copia incolla) pur di comandare, è tempo e ora che chi ha punti di riferimento liberalconservatori, trasversali, si concentri su una solo obiettivo comune.  Fermare il declino: stop alle politiche di sinistra.

Potrebbe essere questo il terreno comune di alcuni Partiti che fra qualche mese si presenteranno per le elezioni cantonali 2019, uniti nelle elezioni e complementari sui temi, grazie i loro DNA specifici.

Nel concorrere a favorire benessere personale e prosperità economica, potrebbero far valere e far propri alcuni valori non negoziabili e alcuni strumenti operativi fondamentali.

Valori svizzeri non negoziabili: neutralità, democrazia diretta, federalismo, sovranità del popolo e dei Cantoni, politica di milizia, certezza e sovranità del diritto nazionale, difesa nazionale e esercito di milizia, principio di sussidiarietà, indipendenza dall’UE, pace sociale, laicità dello stato e libertà religiosa, condizioni attrattive per la piazza economica e finanziaria, rispetto del territorio. Strumenti operativi fondamentali: iniziativa individuale, ruolo attivo della società civile, economia libera di mercato, proprietà privata, libertà di educazione, buon Governo, parsimonia e rigore nella spesa pubblica, concorrenzialità e bassa pressione fiscale, bilateralismo nei rapporti con altri Stati, competitività e solidarietà, proposte e iniziative assunte dal basso e dalla realtà anziché soluzioni e modelli imposti dall’alto.

I liberalconservatori sono forse rari, ma facili da individuare: sono quelli che conoscono e sanno fare la differenza tra ciò che può cambiare e ciò che invece non deve cambiare.

Ci sono tempi in cui in politica si ha il previlegio di poter costruire, sognare, crescere; altre volte invece prima di poter costruire positivamente occorre fermare le storture. Noi ci troviamo in questa seconda realtà.

Dobbiamo bloccare il declino impedendo al consociativismo di sinistra di continuare a spingerci dentro. Ci è chiesto di fare il contrario di quello che da anni fanno loro.

E ci sono solo poche cose adatte e subito efficaci a breve termine per ottenere questo risultato:

1) Controllare il potere di chi governa

2) Spingere il Parlamento a fare il legislatore e il Governo l’esecutore

3) Far rispettare le regole del gioco e le decisioni democratiche

4) Dare voce ai cittadini in Parlamento e con la democrazia diretta

5) Impedire le decisioni che vanno a scapito del ceto medio, delle famiglie e delle aziende sane

6) Imporre la parsimonia allo Stato e frenare la spesa dei soldi dei cittadini

7) Togliere i bastoni dalle ruote di chi vuol fare, intraprendere, produrre e creare lavoro

8) Decentralizzare per ridare speranza e fiducia alla società civile in tutte le sue forme.

Poi ci vorrà certamente il tempo e il modo per accordarsi ed attrezzarci per affrontare tre nodi cruciali di riforme: quella scolastica educando alla competitività; quella istituzionale modernizzando lo stato; e quella sociale ridisegnando il welfare.

Vediamo queste tre riforme come indispensabili per affrontare le sfide del prossimo decennio: invecchiamento della popolazione; denatalità e nomadismo giovanile; manipolazione genetica e della vita umana; importazione di persone e esportazione di lavoro, immigrazione – emigrazione; meticciato culturale e valoriale; crisi del finanziamento dello stato sociale e scontri intergenerazionali; concorrenza «sleale» in casa e barriere d’entrata sui nuovi mercati; neo-protezionismo e default dei Paesi sviluppati; iper-regolamentazione nei mercati saturi e far west in quelli emergenti; trasformazione, mobilità e precarietà del lavoro; industria 4.0; digitalizzazione.

Ma ogni politica, ogni slancio nuovo, ogni programma tecnico, ogni pretesa di cambiamento volgono verso l’insuccesso se la domanda che occorre porsi prima di muoversi non è quella di chiedersi: Per chi lo facciamo? 

La politica da tempo ha dimenticato il soggetto della sua azione e ha ridotto tutto al cosa e al come fare, e ci litiga anche ! Non per cosa lo facciamo, ma per chi lo facciamo deve essere la domanda che non deve mai lasciarci tranquilli. Con le idee di cui sopra e con chi le condivide  vogliamo, senza complessi, essere identificati come quelli che difendono in primis gli interessi dei cittadini e non quelli dello Stato. Infatti vogliamo produrre politica e soluzioni per coloro che da anni subiscono impotenti le scelte politiche sbagliate di chi ha il potere. Il nostro target sono il lavoratore indigeno e residente, gli imprenditori e gli artigiani seri con i loro commerci e le loro aziende, le famiglie tradizionali, il contribuente tartassato,  i piccoli e medi proprietari, i cittadini che non chiedono nulla allo Stato.

Quel ceto medio, non quello astratto secondo i livelli di reddito, ma quello che in carne ed ossa  che ha paura di diventare povero e ha capito che ricco non lo diventerà mai, i giovani smarriti e senza sbocchi professionali, i bisognosi veri: quelli quantificati in mille salse nelle lunghe liste di criteri sociali, ma senza un volto e dimenticati.

Per finire occorre tornare a fare politiche settoriali efficienti ed efficaci; occorre avere il coraggio politico di verificare e ammettere obiettivi mancati o insufficienti; quel coraggio per dire che abbiamo speso troppo, sacrificato altri bisogni e dimenticato le priorità, l’onestà di confessare che abbiamo continuato ad investire mezzi e risorse esponenziali per mantenere sotto controllo gli effetti anziché   combattere le cause del  il declino.

Occorre finalmente ammettere che siamo imperfetti e che l’ottusità per l’inarrivabile ottimo sociale, annienta il buono personale, che è molto più a portata di mano. Sergio Ricossa è maestro nel contrapporre perfettismo e imperfettismo: “Quale è il comportamento ottimo? Chi è il migliore? Quale è l’ottima distribuzione dei redditi e delle ricchezze, ossia la vera giustizia distributiva? Quale è il piano migliore? Quale è il governo migliore, la miglior costituzione politica? Ponendoci domande del genere quasi non ci accorgiamo di aver già aderito a una tesi o principio o criterio particolare di decisione; quello perfettistico appunto, come se fosse l’unico o se rendesse inutile discutere gli altri. E’ un criterio ovvio. Ma qualunque criterio così modellato, così aderente a un ideale che esiste a priori, restringe il campo di scelta, se non altro perché taglia fuori l’impostazione imperfettistica.(…) Non cercando l’ottimo, l’imperfettista cerca di inventare il meglio, anzi un meglio; preferisce il verbo “to satisfice” a “to optimise”, e qualche volta si accontenta del meno peggio o del diverso.”

Ma su tutto ci vuole fede, speranza e carità a cui la sinistra non può, non sa e non vorrà mai riferirsi. Ossia accettare laicamente tre cose: credere che la persona possa farcela autorevolmente unendosi con altri dal basso, senza sistemi autoritari e perfetti pilotati dall’alto; mantenere la certezza che l’uomo ha un destino comunque buono grazie  a quelle leggi non scritte ma impresse nella sua coscienza morale; riconoscere il limite e l’imperfezione umane (antiperfettismo) quali  punti di forza e di libertà anziché di debolezza. Umanamente mettiamoci in una posizione di abnegazione e sacrificio smettendo di fare e consumare come se fossimo l’ultima generazione, per provare a ragionare, operare e costruire come se invece fossimo la penultima.

Se a Chesterton si chiedesse: cosa non va nel mondo? Ci risponderebbe, a cento anni di distanza, ancora una volta: “ciò che non funziona, ciò che è sbagliato, è che non ci domandiamo che cosa sia giusto !”

Insomma dobbiamo produrre una politica, non di sinistra, che possa mettere ognuno di noi  in condizione di raggiungere  congiuntamente due risultati: condurre una vita buona e una buona vita. Il che ci obbliga ad imboccare la strada del chiederci cosa sia bene e cosa sia male, cosa sia vero e cosa sia falso e dover scegliere tra l’essere e il nulla. Ma soprattutto siamo obbligati a risanare il processo logico di causa-effetto quando ormai con l’acculturamento di sinistra questo è stato rovesciato. Percorso difficile, perché come disse il compianto arcivescovo di Bologna cardinal Giacomo Biffi: “hanno sostituito il bene con il benessere, e la verità con le opinioni.”

Auguro a tutte e a tutti un eccellente 2018, e soprattutto che possiate arricchirvi di tempo per voi.

* presidente Area Liberale

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