POLITICA E POTERE
Di male in peggio... Sergio Morisoli tasta il polso al Ticino: "Ecco come funziona il mio Welfare Index. Urgono riforme!"
Il deputato: "Contrariamente a quanto sperato, i dati 2019 confermano che siamo sempre in una fase di malessere sociale”

BELLINZONA - Il MWI, acronimo di Morisoli Welfare Index, è una sorta di bussola socio-economica e politica basata su 90 indicatori che il deputato Sergio Morisoli aggiorna costantemente in collaborazione con Paolo Pamini, presidente di Area Liberale. Proviamo a capire come funziona questa bussola (o termometro) e quali indicazioni può fornire per leggere l’evoluzione (o l’involuzione) della situazione ticinese.

Iniziamo da qui Morisoli, da una descrizione del MWI, ma semplice, mi raccomando.

“È concepito per una veloce comprensione. Dato l’anno 2011 come anno “zero” il totale dei punti per i 90 indicatori è di 15'000, pari a un indice uguale a 100. Più l’indice supera la soglia del 100 significa che la situazione sociale (welfare) peggiora, più l’indice scende sotto la soglia del 100 significa che migliora”.

E quali sono gli indicatori?

“Si tratta di 90 indicatori singoli osservati di anno in anno che coprono la socialità, l’educazione, la sicurezza, la giustizia, la demografia, il lavoro. Il metodo di miscelazione dei dati, come pure la scelta degli indicatori e la loro fusione in un unico indice sono certamente soggettivi”.

Intende dire che è un indice poco oggettivo?

“Non è questo il punto: siccome tale soggettività è la stessa applicata dal 2011 a oggi, l’indice diventa rappresentativo perché misura sempre la stessa realtà con lo stesso metodo di osservazione e di calcolo. Si potrebbero creare migliaia di indicatori e di sistemi di analisi diversi; a noi interessa il nostro perché mette in luce tutta una serie di dati e circostanze che ci sono ma non si vedono palesemente; ma che tuttavia in forma diretta o indiretta e aggregata influenzano il nostro benessere o impediscono a molti di raggiungerlo. La provenienza dei dati è rigorosamente pubblica e ufficiale; tutti i 90 indicatori sono reperibili nei documenti dello Stato”.

Insomma, un indice basato su dati oggettivi e soggettivi al tempo stesso. Lo definirerebbe così?

“Più o meno… L’indice ha in effetti due radici. Quella diciamo così oggettiva, razionale e misurabile, cioè i 90 indicatori rilevati annualmente e ufficialmente; e quella soggettiva, irrazionale e non misurabile cioè le percezioni partendo dai pregiudizi, le paure, le opinioni, le sensazioni, le intuizioni. La formula tiene conto di entrambe, questo è il segreto della ricetta; gli ingredienti sono noti, i condimenti pure, ma la loro miscelazione è l’index. La matematica e le sue formule statistiche impiegate per l’indice – e sono parecchie - hanno un ruolo importante ma relativo: servono solo come rappresentazione parziale e impropria della realtà sociale; per avere una visione più compiuta non bastano le formule, anche le più raffinate; le formule devono essere strapazzate. Strapazzate nel senso che non bastano a loro stesse e devono essere impastate con altro”.

Lei diceva che più la curva sale e più il Ticino sta male. Ma la curva sta salendo o scendendo?

“L’Index aveva presentato una crescita importante dal 2011 al 2017 passando da 100 punti a 118,26 punti. Nel 2018 abbiamo assistito ad una inversione di tendenza dell’indice, infatti si abbassò a 113,39 punti. Quando presentammo i dati l’anno scorso ci chiedemmo se questa fosse un’inversione di tendenza, un miglioramento della situazione, oppure solo un assestamento temporaneo”.

E oggi avete una risposta?

“Presentando nei giorni scorsi l’aggiornamento dell’indice con i dati del 2019, possiamo affermare che si trattò di un “fuoco di paglia”. Contrariamente a quanto sperato, i dati di quest’anno confermano che siamo sempre in una fase di malessere sociale. Non solo, ma gli indicatori che compongono i sei sottoindici, in particolare quelli relativi alle famiglie, alla delinquenza e ai comportamenti, ci dicono che il peggioramento è pesante e l’indice globale ha raggiunto i 123,04 punti. Per il 2019 siamo di 23,04 punti superiori all’anno base, ma a preoccupare è il fatto che siamo saliti di ben 9,65 punti rispetto all’ultima misurazione dello scorso anno”.

Lei parlava di elementi soggettivi, ma finora ha snocciolato solo numeri…

“Tutti sappiamo che la realtà non è fatta solo di ciò che è misurabile, purtroppo la deriva scientista del nostro tempo, e la cultura dominante ci sta inculcando un dogma terrificante: esiste solo ciò che è misurabile, possibilmente in soldi…! Per questa ragione invece di scartare le soggettività nella rappresentazione della realtà sociale, facciamo il contrario: la soggettività è usata a piene mani, ci spingiamo ad utilizzarla per ponderare singolarmente i 90 indicatori ufficiali. In altre parole, invece di farci violenza per lasciar fuori qualcosa, agiamo in controtendenza, prendiamo la libertà di buttarci dentro tutto ciò che ci pare utile. A volte la ponderazione dei singoli indicatori è fatta con il senso comune, a volte con il buon senso, a volte con un pregiudizio, a volte con una percezione personale, a volte con vox populi, a volte con paura, a volte con euforia”.

Ma possiamo considerare scientifico il vostro indice di misurazione del polso al Ticino?

“Guardi, vale il principio che senza la fantascienza non ci sarebbe il pensiero scientifico. Per questo l’indice non è scientifico, ma molto di più: descrive ciò che si vede e ciò che non si vede, come direbbe Frédéric Bastiat. Ad ogni modo, se si prende l’indice solo con i dati crudi “scientifici” e l’indice con i dati ponderati “percepiti”, la sorpresa è che le due curve nel tempo non si discostano molto una dall’altra!”.

Alla fine a che serve il vostro Indice?

“L’indice è necessario e utile per esprimere qualche giudizio e indirizzo sul tema della socialità e dello Stato sociale in Ticino. E per questo è necessario un approccio nuovo all’analisi del fenomeno; un approccio pluridisciplinare e trasversale, nonché longitudinale nel tempo. Non tanto sulle cifre finanziarie, ma per provocare quel dibattito finora assente, che il tema merita”.

Più concretamente?

“Lo scopo di questo nostro lavoro annuale è quello che sollecitare il Governo, e la politica più in generale, a decidersi di verificare e di mettere in luce, da una parte, l’efficacia (il raggiungimento degli obiettivi) e l’efficienza (l’impiego di mezzi e risorse) delle varie Leggi e regolamenti Dipartimentali che coprono il campo della socialità. Dall’altra per tracciare successivamente delle linee guida per riformare lo stato sociale del nostro Cantone”.

E come sta il nostro stato sociale?

“Sappiamo tutti che il cosiddetto stato sociale, o welfare state, è in crisi un po’ ovunque. Essenzialmente per tre ragioni: col passare del tempo non copre più le necessità e non aiuta più le categorie di persone per le quali era nato nei decenni del dopo guerra; col passare del tempo diventa molto costoso e tendenzialmente non più finanziabile senza creare ingiustizie tra chi paga e chi riceve; col passare del tempo il sano principio della solidarietà trasversale dal basso si è snaturato diventando un unico principio imposto dall’alto: quello della socialità statale”.

Insomma, il tempo ci è nemico…

“Esatto, e considerate le proiezioni demografiche - meno figli e più anziani -, nonché l’aumento costante di complesse e nuove casistiche di malessere sociale, è il momento per rivedere anche in Ticino le politiche e gli interventi di welfare. Come detto dal 2011 raccogliamo dati statistici ufficiali per cercare di capire la situazione sociale in Ticino. Vogliamo mettere in luce le dinamiche che caratterizzano il vivere di quelle persone che sono bisognose, marginali e “escluse” dal ciclo produttivo in senso stretto; e che però sono dipendenti dall’intervento dello Stato. E non solo il vivere degli “esclusi” dal nostro sistema economico e sociale, ma anche i sempre dimenticati, i cosiddetti “reclusi” di questo sistema. Cioè i cittadini e le cittadine del ceto medio che dipendono totalmente dal buon funzionamento e/o dal mal funzionamento del sistema economico senza avere voce in capitolo per influenzarlo”

Cioè?

“Cioè quelli che non hanno vie di fuga: sanno che non saliranno più tra i ricchi - tra gli “inclusi” del sistema – ma hanno paura di finire tra gli esclusi”.

In conclusione cosa si attende?

“Di essere ascoltato dalla politica. Accanto a questo intervento generale, non meno importante sarà il modo con il quale si inciderà direttamente sulle scelte politiche che possono, quelle sì, avere un impatto concreto sulle casistiche che compongono il MWI. Segnatamente, le dinamiche e le urgenze dei sottoindicatori dell’indice globale ci impongono, se non una inversione a “U”  nell’ambito delle politiche per l’educazione, l’istruzione, la cultura, il lavoro, il finanziamento sociale, certamente un ripensamento strutturale di fondo. Alla fine, si tratterà anche di decidere per la modernizzazione del ruolo dello Stato, nel senso che dal “welfare state” ci si dovrà avviare verso una sorta di welfare society”.

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