Analisi sul ballottaggio di Bellinzona dopo il trionfo del sindaco uscente e la débâcle liberale radicale
di Andrea Leoni
Mario Branda si conferma il Borradori di sinistra. Non solo per forza elettorale ma per la capacità di essere uomo delle istituzioni, collante tra partiti e pezzi della società civile diversi, per l’empatia con il “suo” popolo, che non è solo la “sua” parte politica ma la cittadinanza nel suo complesso, il che lo rende davvero il sindaco di tutti i bellinzonesi.
La riconoscenza, e più ancora la gratitudine, sono merce rarissima in politica, eppure il ballottaggio di ieri è stato prima di tutto un attestato trasversale di stima per Mario Branda come persona e come politico. Lo scrivevamo all’indomani del primo turno: ripercorrendo il suo operato alla guida del Municipio di Bellinzona, non c’era una sola ragione concreta per disarcionarlo dopo nove anni dalla poltrona di sindaco. Al contrario erano diversi i motivi per confermargli la fiducia, anche da parte dei suoi avversari.
Se prendiamo l’ultimo anno, ad esempio, tra la storiaccia dei sorpassi di spesa e l’angosciante vicenda della casa per anziani di Sementina, su cui pende un’inchiesta penale, Branda ha fatto da parafulmine (e che fulmini!) all’Esecutivo, su dossier che non lo toccavano direttamente ma che interessavano soprattutto PLR e PPD. È stato un leader, uno di quelli che tutti vorrebbero avere nella propria squadra. Come è stato un leader quando ha dovuto battagliare e prendersi i fischi all’interno della sua stessa area politica - la faccenda Officine - accompagnando la sinistra dalle barricate al sentiero faticoso della realpolitick. Anche da questo punto di vista le similitudini con il sindaco di Lugano, non mancano.
La riconoscenza verso questo approccio, magari non sempre condiviso dall’elettorato, ma serio, coerente e affidabile, ha gonfiato il gap trasformando il successo in una vittoria schiacciante. Al momento decisivo tutte le chiacchiere se l’è portate via il vento, ed è rimasta la sostanza. Ha vinto il lavoro concreto, il merito. Mario Branda si è conquistato ieri un vantaggio che pochi politici riescono a guadagnarsi in carriera. Ora è padrone del suo destino: deciderà lui come e quando andarsene.
La sfida di Simone Gianini non è mai cominciata. Troppo ampia, oggi come oggi, la differenza nella statura politica tra i due contendenti: per esperienza, carisma, presenza e popolarità. Solo un forte progetto politico alternativo, poteva forse - forse! - colmare il divario di partenza (ammesso e non concesso che fosse possibile proporlo dopo nove anni di governo a braccetto con i socialsiti). Invece, sia detto con rispetto, ci siamo ritrovati a parlare di concerti, aree politiche, attenzione all’imprenditoria… Concetti astratti che in una contesa comunale diventano addirittura aria fritta. La politica di prossimità territoriale si pesa su questioni molto più concrete: quanto mi fai pagare d’imposte, per quali servizi e in quanto tempo mi ripari la strada o il tombino fuori di casa. Non c’è spazio per l’accademia. Come in un ballottaggio non c’è spazio per i buoni sentimenti. Il che non vuole dire non essere leali, ma durante la contesa si prendono e si danno e poi si fa il terzo tempo quando tutto è finito. In questa sfida, soprattutto da parte del candidato PLR, ha invece prevalso più la volontà di apparire come l’amico, talvolta quasi amoreggiante, del rivale anziché lo sfidante che voleva scalzarlo. Un cortocircuito insostenibile in una battaglia elettorale: così da finale di coppa la partita è diventata un’amichevole estiva, senza arte ne parte. Simone Gianini ha comunque affrontato la sconfitta con onore ed è il miglior presupposto per rialzarsi e costruire il futuro. La politica dà e la politica toglie, ma per chi sa perdere c’è sempre una nuova occasione. Non si abbatta.
Il PLR, tutto il PLR, commentando la sconfitta, ha rivendicato la scelta di andare al ballottaggio: non è stato un errore, hanno ripetuto all’unisono. Credo ci siano delle ragioni in questo ragionamento. Se per tre volte consecutive gli elettori - gli elettori, non i poteri forti - ti affidano la maggioranza relativa in Municipio e in Consiglio Comunale, è umano, e forse perfino necessario, provare a giocarsi la finale. Però bisogna giocarla…
Detto questo stupisce, benché ancora a caldo, l’assenza di capacità di analisi sui motivi della débâcle. Ieri tra il partito cantonale e la sezione comunale è stato un ritornello di “abbiamo fatto il massimo”, “non c’è un errore fatto durante la campagna”, e così via. Ma, a meno che il PLR non pensasse di prestare il coppino a una scoppola del genere, delle due l’una: o è stato sbagliato fate il ballottaggio oppure qualcosa di grosso è stato sbagliato nella sfida lanciata a Branda. Anche perché se questo è il risultato massimo senza errori, figurati se ne facevano quale sarebbe stato l’esito…
Il presidente del PS Fabrizio Sirica, che con Laura Riget supera il primo esame elettorale alla guida del PS, complimenti, ha parlato di atto di “arroganza” da parte dei liberali radicali. Non condividiamo, ma siamo certi che quell’esclamazione alla “Re Nudo” abbia gorgogliato nella pancia di una parte degli elettori. Detta male: il PLR ha lanciato il ballottaggio solo come un’operazione di potere per riconquistare la guida della Città. Sirica ha detto ciò che molti hanno pensato o hanno detto in maniera meno ruvida, ieri e nelle scorse settimane. Questo “sentire”, al di là che sia fondato o meno, ha probabilmente coalizzato le altre forze politiche in chiave anti PLR, mettendo il partito di Speziali all’angolo, solo contro tutti. Per non dire né sì né no, farei comunque un bagno di umiltà, che alla peggio non ha mai fatto male a nessuno.
Terminiamo questa analisi con un’altra sensazione, molto personale, che ci portiamo dietro da giorni. Quella che i primi a non credere nella vittoria siano stati proprio i liberali radicali, soprattutto a livello cantonale. Forse sarebbe andata addirittura peggio con un impegno massiccio da parte del PLR ticinese, ma non abbiamo percepito (al contrario dell’area che ha sostenuto Branda) un forte impegno pubblico da parte dei pesi massimi del partito. E dire che per i liberali radicali riconquistare Bellinzona sarebbe stato uno scacco mica da ridere, poiché sarebbero tornati a guidare tre dei quattro centri del Cantone. Una base fondamentale per le prossime elezioni. Questa nostra sensazione ci è stata smentita con forza sia da Simone Gianini, sia da parte del presidente sezionale di Bellinzona che di quello cantonale. Sarà che abbiamo visto male.