POLITICA E POTERE
Bellinzona: un ballottaggio tra due ragioni
Da un lato il sindaco Branda che non merita di essere defenestrato, dall'altra la legittima ambizione del PLR a cui gli elettori hanno confermato la maggioranza relativa

di Andrea Leoni

Quel poco d’esperienza che gli anni da cronista politico mi hanno messo sulle spalle, suggeriscono di approcciare ai ballottaggi comunali con estrema prudenza. Le dinamiche locali, le sfumature storiche, le saghe famigliari e i patti non scritti, sono infatti un groviglio indecifrabile, e spesso neppure visibile, per i forestieri. Un ballottaggio non vale un pronostico, per chi ogni giorno non respira il paese o la città in cui si svolge.

Osservo quindi con sguardo miope, dunque forzatamente impreciso, la sfida tra Mario Branda e Simone Gianini per il sindacato di Bellinzona. Mi concentrerò quindi sulle evidenze macroscopiche di una contesa che interessa l’intero Cantone, non foss’altro perché concerne la capitale e per le conseguenze che la disputa potrebbe avere sullo scacchiere politico generale. Per dirne una: se il PLR dovesse vincere, tornerebbe a guidare tre delle quattro città-polo del Cantone. Un dato saliente per tutte le forze politiche.

Il ballottaggio tra Branda e Gianini è un duello tra due ragioni. Il sindaco di quindicina è alla guida di Bellinzona da un tempo non eccessivo (2012) e in un passaggio di straordinaria trasformazione (aggregazione) che resterà nei libri della nostra minuscola storia. Branda ha sempre guidato il Municipio con il piglio e il pragmatismo del governante svizzero: serio, mediatore, collegiale e per questo ha inevitabilmente dato più di un dispiacere alla sua area politica. Il nostro modello istituzionale, specie negli Esecutivi, non consente di soddisfare le pance più appassionate e radicali degli elettori. Le soddisfazioni sono poche e tocca accontentarsi, oppure andare a strepitare  all’opposizione. Non si pensi che Mario Branda abbia scontentato i tifosi rossoverdi, più di quanto negli anni non abbiano fatto Marco Borradori, Claudio Zali o Norman Gobbi con i leghisti. I rospi li hanno mandati giù tutti.

Branda ha dimostrato una notevole leadership nell’accompagnare il suo Municipio attraverso le note buriane che hanno segnato l’ultima legislatura e che non lo hanno investito personalmente. Al di là dei torti de delle ragioni, ha fatto da scudo al suo Esecutivo non abbandonando nessun collega al proprio destino, indipendentemente dal partito. Ha affrontato a viso aperto anche le critiche più aspre ed eccessive. Ci ha sempre messo la faccia e quando gli è toccato si è preso anche i fischi. Tutto questo gli è costato dei consensi, ma se fossi nella squadra municipale di Bellinzona, sarei felice di avere un capitano così.

Nel curriculum del sindaco di quindicina - una brava persona, il che non guasta mai - non vi sono macchie o mancanze tali da giustificarne una prematura defenestrazione. Assolutamente. Sono anche tante le cose buone realizzate e i cantieri avviati dall’intera compagine municipale. Forse oltre Ceneri non si percepisce ma a Lugano inizia a serpeggiare una certa ansia da competizione per il dinamismo di Bellinzona.

Ma accanto alle ragioni di Branda, vi sono anche quelle del PLR bellinzonese. È umano, e del tutto comprensibile dal profilo politico, che il partito di maggioranza relativa nell’Esecutivo e nel Legislativo bellinzonese, rivendichi il sindacato. Già per due volte consecutive i liberali radicali hanno rinunciato al ballottaggio a favore del sindaco socialista. Farlo una terza volta sarebbe stato quasi una sconfessione del ruolo che gli elettori hanno deciso di assegnargli. Soprattutto dopo essere riusciti a riconfermare tre seggi in Municipio, dopo la brutta vicenda dei sorpassi di spesa che li ha direttamente investiti, e senza l’apporto di ben due uscenti. C’è poi la storia cittadina che chiama i nuovi liberali radicali a raccogliere il testimone di una tradizione secolare.
 
Simone Gianini inoltre ha i numeri. Non parlo di quelli elettorali, che pure sono brillanti e non vanno sottaciuti, ma di un profilo che appare politicamente ricco di talento e non da oggi. L’età è quella giusta per un arrembaggio consapevole e per essere una guida credibile, l’esperienza nell’Esecutivo non gli manca. Credo si sia trovato di fronte ad uno di quei bivi difficili che la politica ogni tanto propone a certi candidati, non più enfant prodige ma neppure consacrati. Tra l’ambizione di provare a cogliere il treno che passa, con il rischio di bruciarsi, e la prudenza di aspettare il prossimo convoglio, con il timore però che non si ripresenti.

Ma le ragioni di partito - che non sono solo di potere, ma anche d’investitura democratica e perciò devono godere della massima considerazione - non possono e non devono bastare. L’altra sera ho assistito al primo duello televisivo tra Mario Branda e Simone Gianini (60 minuti, RSI) e francamente mi è mancata la differenza dei sapori. Non tocca certo al sindaco condire la sua minestra, che conosciamo da un decennio. Spetta quindi allo sfidante dire con quali ingredienti la renderebbe migliore. Simone Gianini ha parlato di “visione politica”, “d’impostazione personale”, di “direzione della città”, di “sviluppo liberale”, di “una diversa vitalità e dinamismo”. Boh, io non ho capito. Sarà che sono forestiero, ma spero che nelle prossime settimane l’aspirante sindaco liberale saprà spiegarsi meglio e con maggiore concretezza.

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