Il giornalista: "La relazione transatlantica come l’abbiamo conosciuta è ormai finita. La rottura è compiuta ed è permanente"
LUGANO - Bruno Giussani, giornalista, specialista di questioni geopolitiche e tecnologiche, ex-direttore europeo della piattaforma TED.
Bruno, i vertici dell'amministrazione americana, fra cui il Vicepresidente e i ministri degli Esteri e della Difesa, hanno condiviso documenti militari classificati - i piani operativi dell'attacco contro gli Houthi nello Yemen di due settimane fa - su una chat di un app civile (Signal) e, come se non bastasse, hanno incluso per errore un giornalista, senza che nessuno se ne sia accorto, neppure quando il collega ha abbandonato la conversazione. Questo, in sintesi, il Signal-gate. Domanda banale: come è stato possibile? E cosa ci svela questa vicenda?
"Penso che l’inclusione del giornalista sia stato il frutto di un semplice errore nella creazione della chat. Ma nel calderone bollente della politica contemporanea le spiegazioni ovvie non sembrano mai sufficienti. Per cui nel circuito mediatico della destra americana sono già sorte varie teorie. Per esempio, che sia stata intenzionale - e cito il titolo di un sito chiamato National Pulse - per mostrare come "il team Trump sia attento, competente e spietato".
La vicenda ha sollevato un polverone sulla gestione delle informazioni sensibili, sull’uso di canali di comunicazione non protetti (mentre i membri del governo hanno a disposizione apparecchi criptati e, i ministri, anche locali specialmente attrezzati per queste bisogne), sul fatto che alti responsabili della sicurezza nazionale americana abbiano festeggiato il bombardamento usando degli emoji, come degli adolescenti. Ed è vero che la falla è enorme. Basta pensare alle conseguenze possibili se il numero di telefono erroneamente aggiunto alla chat fosse stato quello di un giornalista meno coscienzioso. A Mosca e Pechino probabilmente stanno ancora ridendo. Mentre nelle capitali occidentali "alleate" c’è molta preoccupazione sullo scambio di informazioni di "intelligence" sensibili con gli Stati Uniti, vista la leggerezza con la quale vengono trattate. Non credo, fra l’altro, che si tratti soltanto di incompetenza. L’uso di una piattaforma privata consente (quando non li si condividono con un giornalista) di rendere i messaggi più volatili, di non sottostare alla legge che prevede la conservazione di tutti gli scambi fra membri dell’esecutivo. Su Signal le comunicazioni possono essere impostate anche per cancellarsi automaticamente dopo un certo periodo. Comunque, la controversia s’è sviluppata soprattutto attorno al metodo. Del fondo di quelle conversazioni, invece, a parte i commenti di JD Vance e Pete Hegseth sull’Europa, non si è parlato. È la vicenda politica forse più seguita degli ultimi dieci giorni, ma mentre improvvisamente milioni di persone hanno appreso l’esistenza di un app che non conoscevano, Signal, cosa sappiamo di più oggi degli Houthi, della guerra civile nello Yemen, o di quante persone sono morte a seguito dei bombardamenti americani? Che sono state più di cinquanta, fra cui cinque bambini".
Il Governo americano ha reagito con menzogne - puntualmente smentite dai fatti - e insulti al giornalista protagonista dello scoop. A tuo avviso ci saranno conseguenze di qualche tipo per i principali protagonisti coinvolti e che segnale è quanto avvenuto per la democrazia americana?
"Credo che sia necessario anche per i più ottimisti iniziare a mettere perlomeno delle grosse virgolette attorno alle parole "democrazia americana". In realtà gli Stati Uniti stanno vivendo un cambiamento di regime molto rapido, verso un sistema autoritario, brutale, intollerante, che disprezza chi non si allinea o non si sottomette. Come tanti altri, sono molto esitante ad utilizzare la parola "fascismo", che porta con sé consonanze storiche specifiche. Ci vorrebbe una parola nuova per descrivere quel che sta avvenendo, ma ciò che scorre ogni giorno sotto i nostri occhi è una marcia rapida in quella direzione, o forse ci siamo già arrivati. Da un lato la spinta dell’"America First" populista di Donald Trump, che si traduce in dazi all’importazione, espulsione di stranieri senza nessuna forma di processo, minacce agli alleati di ieri e blandizie ai dittatori e criminali di guerra, attitudini imperiali ed estrattive, concessioni a chi si sottomette e punizioni a chi resiste, bullismo. Dall’altro l’allineamento ideologico: la purificazione e stravolgimento del linguaggio, la negazione della scienza e la presa di mira delle università, il rifiuto di rispettare le decisioni delle corti di giustizia, il bollare la stampa critica come "illegale", la messa al bando di diritti umani e questioni di uguaglianza, gli arresti di studenti per reati d’opinione, la retorica dei "nemici del popolo", e naturalmente la scelta del personale politico sulla base non delle competenze, ma della lealtà al capo. Dall’altro capo ancora, la "motosega" di Elon Musk che punta ad un indebolimento radicale dell’amministrazione e ad una privatizzazione della governance, ad un futuro dove le grandi multinazionali, in particolare della tecnologia e dell’energia, non dovranno più sottostare a regole, controlli e tasse. Aggiungi la natura affarista di Trump, che vede tutto come un progetto immobiliare (trasformare Gaza in una "Riviera di lusso del Medio Oriente") o territoriale (le assurdità nelle proposte di "contratto" per l’estrazione di minerali in Ucraina). Questo non è un contesto dove un partito ora al potere semplicemente cambia le politiche o il personale del partito che era precedentemente al potere. È ingenuo continuare a pensarlo. Qui l’obiettivo è di smantellare i pilastri sui quali si regge il sistema politico americano (legge, amministrazione pubblica, separazione dei poteri, "checks and balances", rappresentatività, libertà d’espressione, diritti civili, educazione) per sostituirlo con qualcosa di totalmente diverso, con un potere molto più centralizzato nella figura di un presidente-CEO.
È in questo contesto che s’inserisce la vicenda della "fuga di notizie". Il fatto di negare l’evidenza, di affermare senza ritegno delle contro-verità, di ripeterle, di insultare la stampa, di abbracciare l’ipocrisia, è uno dei meccanismi tipici della scivolata verso il fascismo. "Non ammettere mai i torti" è d’altronde una delle regole cardinali di Trump.
Penso valga anche la pena ricordare che il giornalista in questione, Jeffrey Goldberg, si è comportato in modo ineccepibile. Ha raccontato la storia dopo averla verificata, senza rivelare alcun dettaglio "sensibile" (dal punto di vista della sicurezza nazionale americana) dei contenuti della discussione. Soltanto dopo il fuoco di sbarramento di Trump e dei suoi (che hanno negato tutto e l’hanno etichettato come "screditato"), e dopo che le operazioni militari erano finite, il giornale, The Atlantic, ha pubblicato il testo completo della chat. Ciò detto, non credo che ci saranno grandi conseguenze per i protagonisti. Forse fra qualche settimana Michael Waltz (consigliere per la sicurezza nazionale, colui che ha creato la chat, probabilmente l’anello debole del gruppo) sarà sostituito. Ma non credo. Normalmente, d’investigare una questione di questo tipo si sarebbe dovuto occupare l’Ispettore generale del dipartimento della Difesa. Ma Trump lo ha licenziato pochi giorni dopo essersi insediato alla Casa Bianca. Come ha licenziato gli Ispettori generali di tutti gli altri dipartimenti.
In quella chat emerge ancora una volta l'odio e l'insofferenza di questa amministrazione verso l'Europa. È l'ennesima conferma di un prossimo disimpegno americano sul nostro Continente? E ti ha stupito che nessun leader europeo abbia reagito con fermezza agli insulti di Vance & co?
"Credo he la relazione transatlantica come l’abbiamo conosciuta sia ormai finita. La rottura è compiuta ed è permanente. Lo sappiamo da un po’. Perlomeno da quel discorso di JD Vance alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza in febbraio, che colse tutti di sorpresa. Ma da allora ci sono state molteplici conferme: i "negoziati" diretti fra USA e Russia per costringere l’Ucraina alla resa accettando le condizioni dettate dal Cremlino, senza che l’Europa possa interloquire; i dazi sui prodotti europei; le minacce sulla Groenlandia; la messa in discussione degli impegni NATO; eccetera. Le frasi scambiate in quella chat non fanno che confermarlo. Quando JD Vance dice "Odio salvare di nuovo l'Europa" e Hegseth risponde "Condivido pienamente il tuo odio per gli scrocconi europei. Sono patetici", rivelano un’attitudine di disprezzo profonda. È un risveglio brusco per l’Europa, dopo anni di compiacimento nel "dividendo della pace": la realizzazione che gli USA non sono più un alleato, non sono più neanche un amico poco affidabile, ma sono diventati attivamente ostili, e che per molti versi i principi dell’UE (sistema internazionale basato sulle regole, commercio libero, integrità territoriale, stato sociale, regolamentazione delle piattaforme "social") sono in antitesi con quelli dell’America trumpiana. L’UE sta ora cercando di trovare una risposta al contempo forte e coesa. Il che non sarà facile e prenderà del tempo, e dei soldi: si tratta di reinventare un assetto che dura da tre generazioni ed è stato fortemente influenzato proprio dagli Stati Uniti. Io penso che l’Europa abbia la capacità di rispondere a Trump (anche se molte forze politiche all’interno di vari paesi tendono a volersi piuttosto allineare, o - vista la tentazione imperiale del presidente americano - sottomettere). Bisognerà vedere se ne avrà`anche il coraggio. Lo stesso discorso, naturalmente, vale per la Svizzera".