CRONACA
No Billag: Pedrazzini risponde a tutto (punto per punto)! Dalla rottura con Lega (con retroscena...) ai privilegi dei dipendenti RSI e agli stipendi dei direttori. Dalle accuse di faziosità, al servizio di Falò su Argo 1 che ha fatto infuriare il PPD. Fin
Intervistona a tutto campo al presidente della CORSI: "Pagare il canone non è un sacrificio fine a se stesso o legato al solo consumo dei contenuti radiotelevisivi, ma un atto in favore della Svizzera e dei suoi valori fondativi"
di Andrea Leoni

 

Luigi Pedrazzini, in una recente intervista a Liberatv, Sergio Morisoli, ha affermato che le dimissioni immediate e in blocco del Consiglio della CORSI, favorirebbero la bocciatura dell’iniziativa No Billag in Ticino. Questo perché, secondo Morisoli, le vostre dimissioni verrebbero percepite come un primo segnale concreto di volontà di cambiamento da parte da parte della RSI. E ciò disinnescherebbe quel voto di pancia stuzzicato dall’associazione RSI-partitocrazia. Cosa risponde? 

“Francamente non credo che le eventuali dimissioni in blocco del Consiglio della CORSI avrebbero un’influenza sull’esito del voto dell’iniziativa No Billag. Noi esistiamo e lavoriamo in base alle competenze stabilite dalla Legge federale sulla radiotelevisione e dagli statuti SSR. E crediamo di esercitare correttamente i compiti che ci sono affidati, in modo serio. Dopodiché si può sempre migliorare e sono sempre pronto a discutere dei risultati del nostro lavoro con chiunque sia seriamente interessato, quindi anche con Sergio Morisoli. Ma non credo, come lui afferma, che il Consiglio della CORSI possa essere ritenuto responsabile di una presunta disaffezione da parte del pubblico verso la RSI. Dico “presunta” perché non è dimostrata, se non ci riferiamo a un normale e corretto rapporto critico fra l’azienda e il suo pubblico” .

 

Morisoli, come dato concreto di disaffezione, cita la bocciatura popolare in Ticino del nuovo sistema di riscossione del canone.

“All’indomani di quella votazione commissionammo un’inchiesta all’Osservatorio della vita politica regionale della Svizzera italiana che opera sotto il cappello dell’Università di Losanna. Si trattava quindi di una ricerca condotta in modo indipendente. Da quello studio, pubblicato nel gennaio 2016, emerse che il voto ticinese non era da leggere come un segno di disaffezione nei confronti della RSI, ma come una scelta di merito rispetto a una nuova un’imposta che è stata giudicata negativamente dagli elettori ticinesi. I risultati di quel sondaggio indicavano come elevato il grado di apprezzamento degli Svizzero italiani verso l’offerta radiotelevisiva del servizio pubblico.

Non esiste quindi una “prova” che permetta di misurare la “disaffezione” verso la RSI e di darla per scontata. Ma nemmeno, aggiungo subito, occorre pensare che tutto vada bene e che non ci siano problemi. Segnalo, comunque, che i dati d’ascolto restano positivi. La televisione continua a tener bene il mercato, malgrado una forte concorrenza, e le radio lo tengono benissimo. In termini quantitativi il pubblico c’è, anche se poi va subito detto che la qualità del servizio pubblico non va misurata principalmente con gli indici d’ascolto…”

 

Riformulo. Matteo Pelli ha dichiarato ai nostri microfoni che una buona domanda da porsi in questo momento sarebbe: perché siamo arrivati a questo punto? Tradotto: per quale motivo l’iniziativa No Billag rischia di passare in Ticino a causa, anche, di una disaffezione del pubblico verso la RSI o di una critica severa per come è stata condotta negli anni passati?

“Per rispondere a questa domanda credo che sia necessario fare una riflessione più ampia. Oggi, per una serie di cause che non sto ad elencare, tutte le istituzioni – Consiglio Federale compreso - vivono un momento di difficoltà. E la RSI viene sicuramente percepita come un’istituzione. Il livello di fiducia dei cittadini verso il pubblico e il parapubblico è mutato, non necessariamente a causa di errori legati all’operato di questi enti. Io sono cresciuto in un tempo in cui quando si parlava di “servizio pubblico”, nessuno più osava fiatare, da destra come da sinistra. C’era una sorta di sacralità verso le istituzioni e le relative aziende, che venivano considerate come veri e propri gioielli di famiglia. Oggi questo sentimento è cambiato. C’è una maggiore espressione critica e tutto sommato si può anche considerarlo un fatto positivo. Questa nuova situazione, questo modo più libero del cittadino di valutare l’offerta dei servizi pubblici, deve però spingere gli stessi servizi pubblici, anche la RSI, a cercare di motivare meglio il pubblico, a cercare di spiegare meglio le scelte e, se del caso, a ascoltare le critiche, a farne tesoro ! Qui c’è sicuramente un margine di miglioramento. Sono passati i tempi di “l’ha dì la radio !”.

 

Sempre Pelli ha detto che se passasse l’iniziativa Teleticino, seppur con fatica, non chiuderebbe. Si sente di condividere questa analisi di mercato? Per la RSI invece non ci sarebbe alcuna speranza?

“Non conosco a sufficienza la realtà di Teleticino per potermi esprimere e mi guardo bene dal farlo. Colgo invece l’occasione per dire che ho apprezzato lo stile da galantuomo con il quale Pelli si è espresso sulla RSI nella vostra intervista. Tornando alla domanda. A livello della Svizzera tedesca c’è chi dice che, teoricamente, un’azienda come la SSR potrebbe comunque stare in piedi anche senza il canone. La risposta è chiara ed è scritta nell’iniziativa: non c’è nessun canone. Dunque ci sarebbero solo televisioni e radio private. Chi ha i mezzi acquista le frequenze e paga strutture e programmi. Con la logica conseguenza di dipendere da investitori e mercato pubblicitario. Quello che vale per la regione più grande è ancora più evidente da noi: è categoricamente escluso che potrà stare in piedi la RSI. Se passasse la No Billag non avremmo mai più un servizio pubblico radiotelevisivo nella Svizzera italiana capace di competere con le reti estere e nazionali, capace di farsi sentire anche oltre il San Gottardo e di legarci al resto della nostra Confederazione. Alla fine, noi italofoni, saremmo (insieme ai Romanci e forse anche ai romandi) i grandi perdenti della Svizzera”.

 

Un’altra opzione è che l’iniziativa venga bocciata a livello nazionale, ma approvata in Ticino. Se ciò si verificasse, lei che conosce bene la SSR, sarebbe scontato un taglio della chiave di riparto del canone verso il Ticino? In pratica: arriverebbero molti meno milioni da Berna?


“Se le rispondo di sì poi mi dicono che faccio “terrorismo mediatico”. Ma le rispondo lo stesso perché è un dato di fatto: sì è così. E le dico di più: al di là dell’esito della No Billag, è prevedibile che in un prossimo futuro sarà ridiscusso il perimetro del servizio pubblico, con un conseguente ridimensionamento delle risorse per le antenne regionali. La partita sulla ridistribuzione dei proventi del canone all’interno della SSR non finisce certo il 4 marzo, anche qualora l’iniziativa venisse bocciata. E se in questo contesto la Svizzera italiana dovesse accogliere la No Billag, sarebbe matematica una revisione della chiave di riparto sfavorevole per la RSI. Se la Svizzera italiana – che oggi ne versa il 4.5 % - dichiara di non volerlo, perché dovrebbe comunque ricevere il 20% del canone come sinora?”. 

 

Cosa si sente di dire a quelle persone che, facendo fatica sbarcare il lunario nonostante numerosi sacrifici, preferirebbero risparmiare sul canone o investire quei soldi altrimenti?

“Ho grande rispetto per quelli che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. Quello che vorrei far capire, però, è che in un Paese complesso come la Svizzera, il servizio pubblico gioca un ruolo essenziale per il funzionamento della democrazia, per garantire la coesione nazionale, per la tutela delle nostre identità locali e delle nostre tradizioni. Pagare il canone, quindi, non è un sacrificio fine a se stesso o legato al solo consumo dei contenuti radiotelevisivi, ma un atto in favore della Svizzera e dei suoi valori fondativi . E la difesa della Svizzera in cui vogliamo continuare a credere passa anche attraverso un sacrificio finanziario individuale. Senza dimenticare che la chiusura della RSI comporterebbe una perdita importante di posti di lavoro qualificati”.

 

Non le chiedo un pronostico. Però vorrei sapere che clima sente in Ticino intorno alla votazione. Insomma: che aria tira?

“È un clima difficile. Questa votazione viene percepita a vari livelli dagli elettori. C’è la questione di principio - per me fondamentale, ma posso capire che non lo sia per tutti – sull’importanza del del servizio pubblico per la coesione, la democrazia, la cultura del nostro Paese. Poi c’è l’aspetto delle ricadute finanziarie, che abbiamo toccato poc’anzi. E poi, fatalmente, c’è anche il giudizio sui contenuti: alcuni percepiscono questa votazione come una sorta di referendum sui singoli programmi della RSI. Tutto questo insieme di fattori rende la votazione più difficile. Ma vorrei sottolineare che non andremo a votare né per esprimere un giudizio sulle trasmissioni che ci piacciono o non ci piacciono, e neppure per dare un segnale, il cosiddetto “schiaffone”, all’azienda. Il 4 marzo i cittadini della svizzera italiana dovranno decidere se la RSI continuerà a esistere sì o no, senza possibili vie di mezzo”.

 

I leghisti dicono che se in Ticino perderete sarà solo colpa vostra e che non potrete imputare alcuna responsabilità alla Lega. Lorenzo Quadri, in particolare, ha affermato che quando i due rappresentanti del Movimento hanno abbandonato il Consiglio della CORSI, lei ha detto che non era un fatto importante. “E se non eravamo importanti allora, non si capisce perché dovremmo esserlo diventati oggi”, ha chiosato il direttore del Mattino. Come replica?

“Innanzitutto voglio ricordare che quando io ho assunto la presidenza della CORSI, mi sono battuto affinché la Lega avesse 2 posti su 7 nel Comitato del Consiglio regionale, proprio perché ritenevo importante, alla luce del consenso elettorale, un maggiore coinvolgimento del Movimento nella cooperativa. Quando Michele Foletti e Paolo Sanvido, con i quali peraltro stavamo lavorando bene, si sono improvvisamente dimessi sono stato preso completamente in contropiede dalla notizia. Si figuri che solo la sera prima non ne sapevo nulla. Ho appreso delle loro dimissioni mentre ero in viaggio su un pullman verso Marignano, per le celebrazioni della storica battaglia. A quel punto ho scritto un comunicato con l’iPhone e l’ho inviato alle redazioni. A ragion veduta posso comprendere che quella presa di posizione possa essere stata mal interpretata o, peggio ancora, strumentalizzata. Non intendevo certo dire “ce ne freghiamo della loro partenza”, ma piuttosto affermare che la CORSI avrebbe continuato ad assolvere i suoi compiti. Se quelle mie parole possono aver generato dei fraintendimenti, mi dispiace perché questo non era nelle mie intenzioni”. 

 

Cosa si sentire di dire agli elettori leghisti, che sono i più critici nei vostri confronti? Non ai politici, agli elettori.

“Li invito a riflettere sul fatto che ci stiamo giocando qualcosa di davvero importante per noi svizzeri italiani, per il nostro peso in Svizzera. Un eventuale vittoria dell’iniziativa porterebbe, tra le altre cose, anche a un inforestierimento del mercato mediatico svizzero e di quello regionale. E aggiungo che sono sempre disponibile a un confronto sulla qualità dell’offerta della RSI, a condizione che la RSI possa continuare a esistere…

 

E veniamo a un’altra critica emersa in queste settimane. Fabio Regazzi ha parlato di “casta” riferendosi all RSI e si è scagliato contro i privilegi di cui godono i dipendenti della radiotelevisione pubblica. Il Consigliere Nazionale PPD ha citato ad esempio il fatto che la RSI paga il canone ai suoi dipendenti, con gli stessi soldi del canone pagati da tutti gli altri cittadini. Come ribatte? 

“Mi rifaccio ancora una volta al sondaggio 2016 dell’Università di Losanna. Effettivamente da quella ricerca emerge che un certo numero di intervistati percepisce come dei privilegiati i dipendenti della RSI. Questi privilegi, tuttavia, non hanno messo al riparo i collaboratori dalle ondate delle misure di risparmio che, come si ricorderà, hanno portato anche a dei licenziamenti. E verosimilmente anche in futuro i dipendenti della RSI potranno essere toccati da ulteriori decisioni sul loro stato contrattuale. Tutto questo per dire che se dei privilegi esistono non avranno comunque vita lunga. Sull’esempio concreto posto nella domanda (canone gratis per i dipendenti RSI) rispondo che si tratta di un retaggio del passato, un benefit anacronistico. Una volta era consuetudine che chi lavorava per un’azienda, nel pubblico come nel privato, godesse di determinati vantaggi sui servizi prodotti dall’azienda stessa. Oggi queste cose non sono più tollerate. E quindi anche il pagamento del canone da parte della RSI ai suoi dipendenti, dovrà essere rimesso in discussione. I membri della CORSI e del Consiglio di Amministrazione SSR lo hanno già fatto: noi paghiamo il canone”.  

 


Altra critica mossa in particolare dal centrodestra: la RSI pende troppo a sinistra. Un mito o c’è del vero?

“Credo che per quanto riguarda l’informazione e l’approfondimento non c’è uno sbilanciamento a sinistra. Mentre per quanto concerne l’informazione politica, qualche criticità era emersa dallo studio citato ed è già stata oggetto di discussione anche con i responsabili dell’azienda. Negli ultimi tempi, però, ritengo che ci sia stato un migliore controllo a favore di una maggiore equidistanza. Mi pare di poter dire che nel complesso il prodotto tende all’oggettività. Recentemente ho seguito al Telegiornale un servizio sul primo anno della presidenza Trump. Ha raccolto correttamente pareri critici ma anche positivi, a differenza dei quanto hanno fatto la maggior parte delle reti televisive. Poi è vero che storicamente, nel mondo dell’informazione , di tutta l’informazione (come in quello della scuola), c’è sempre stata una percentuale di collaboratori maggiormente schierati a sinistra. Ma come diceva lo stesso Sergio Morisoli, un giornalista può essere “di sinistra” e al contempo svolgere con grande indipendenza il proprio lavoro se riceve delle direttive corrette e le rispetta. La CORSI ha verificato da vicino e a più riprese queste direttive e posso assicurare che esistono e sono valide. E il Consiglio del pubblico CORSI è molto attento ad accertarne e farne valere il rispetto. Si può ancora aggiungere che determinati “prodotti” giornalistici, si pensi a Falò o a Patti chiari, vengono considerati “di sinistra” già solo per il fatto che spesso pongono domande scomode. Ma questo non è un buon motivo per rinunciare alle inchieste, o peggio ancora per censurarle! ”.   

 

A proposito di giornalismo di inchiesta: il suo partito si è molto risentito per il famoso servizio di Falò sullo scandalo Argo 1. Lei cosa ne pensa?

“Le rispondo schiettamente ribadendo quanto ho già detto al responsabile dell’informazione della RSI: nel complesso del contenuto mi sembra che quel servizio abbia posto delle domande importanti alle quali è necessario dare delle risposte. Poi personalmente non amo molto lo stile giornalistico che vuole creare effetti e sensazioni proponendo ritratti dei protagonisti o filmati più o meno veritieri per “raccontare” i fatti. Ma questo è un altro problema. Ciò che conta è che nell’offerta del servizio pubblico possa trovare spazio il giornalismo d’inchiesta anche quando può dare fastidio (e anche a me ne ha qualche volta dato quando ero in Consiglio di Stato e approfondiva i temi del mio dipartimento, ma ne ho sempre comunque difeso l’utilità)”.

 

Ancora due questioni. La prima: alcuni hanno sollevato critiche rispetto all’attivismo sui social nella campagna contro la No Billag (qui il nostro dossier) da parte di alcuni dipendenti della RSI. 

“C’è anche una sentenza del Tribunale Federale che afferma che, se i lavoratori sono preoccupati per il loro futuro professionale, possono esternare pubblicamente la loro preoccupazione. Dopodiché questi collaboratori devono essere consapevoli che quando scrivono sui social network, non necessariamente le loro affermazioni vengono lette per il loro significato originale. Possono essere interpretate, manipolate e creare effetti controproducenti: si giustifica allora un richiamo alla prudenza”.  
 

Seconda questione. A suo avviso è giusto, in nome della trasparenza, che gli stipendi, almeno della direzione della RSI, siano resi pubblici?

“La SSR pubblica già il salario del direttore generale, la somma dei salari dei direttori e i salari di riferimento delle varie figure professionali. L’intento è quello di parificarsi al modello che già viene applicato dalle grandi società private in Svizzera, che rendono pubblici i salari dei loro top manager. Personalmente sono quindi sostanzialmente d’accordo che venga data questa indicazione generale, perché essendo salari che tutti i cittadini contribuiscono a pagare, è giusto che siano conosciuti”. 

 

Se la No Billag vincerà in Ticino lei si dimetterà dalla CORSI?

“Credo di averlo già dimostrato un paio di volte nella mia vita: le dimissioni si danno, non si promettono, né tanto meno si minacciano Ma mi lasci dire che noi lavoriamo per vincere anche nella Svizzera italiana questa battaglia contro il canone e il servizio pubblico. E puntiamo quindi a convincere la maggioranza dei ticinesi a bocciare l’iniziativa No Billag”.  

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