Il Consiglio di Stato è sempre più solo. Si ha quasi vergogna oggi a dirsi filo governativi. E dopo l'annuncio di Gobbi sulla ricandidatura, il domino elettorale è già cominciato
di Andrea Leoni
Siccome l’ipotesi di un Governo stanco l’avevamo avanzata un mesetto fa (vedi articolo correlato), per coerenza non possiamo oggi che assecondare questa tesi. C’è stata però molta confusione sul tema, dopo che il presidente del PLR Alessandro Speziali ne ha fatto abilmente argomento di dibattito. Il punto non è certo la condizione psicofisica dei singoli ministri e neppure la loro dedizione alla causa. Per stanchezza di Governo s’intende la prestazione della compagine, con riferimento in particolare al fatto che tre quinti dell’Esecutivo hanno alle spalle più anni di servizio di quanti ne faranno ancora.
Al termine della legislatura, infatti, Christian Vitta avrà concluso un ciclo di 12 anni, Claudio Zali di 14, raggiungendo peraltro l’età della pensione, Norman Gobbi di 16, con l’annunciata intenzione di ricandidarsi e di arrivare a quota 20, in zona “castrismo”. Dopo tutti questi anni di attività nella stanza dei bottoni, è fisiologico un calo d’intensità e di brillantezza per un “mestiere” totalizzante come quello del Consigliere di Stato. Questo anche a causa del fatto che, di regola, un ministro trascorre il suo intero servizio nello stesso Dipartimento. Un male per sé stesso, perché non si confronta con nuovi stimoli e nuove sfide, e un male per l’istituzione perché contribuisce ad alimentare quel morbo tremendo che è il “dipartimentalismo”. E non è un caso se molti ex ritengano che tre legislature, nello stesso dicastero, siano il tempo giusto per un Consigliere di Stato.
La stanchezza di Governo si manifesta in maniera palese nei documenti che più di altri segnano l’azione dell’Esecutivo, il preventivo su tutti. Un preventivo fotocopia di quello precedente, come accaduto nel ’24 e nel ’25, per stessa ammissione di due ministri. Un documento di bilancio privo di scelte e di guizzi politici in grado di aprire un vero dibattito sul risanamento delle finanze e sui compiti dello Stato, e zeppo di contabilità.
Ma la spossatezza governativa emerge anche dall’incapacità del Collegio di esprimere una leadership in grado di creare e catalizzare quel consenso necessario a convincere il Paese della necessità - se non della bontà - di alcune riforme. Al netto della frammentazione politica e sociale, che non può essere imputata al solo Governo, oggi vediamo un Consiglio di Stato sempre più solo, abbandonato dai comuni e dal Parlamento, dal mondo dell’economia e dai sindacati. Si ha quasi vergogna oggi a dirsi filo governativi.
La stanchezza di oggi, è già proiezione per il futuro. Non siamo neanche a metà legislatura e già i pensieri di molti sono rivolti ai prossimi appuntamenti elettorali. Norman Gobbi, spiazzando tutti, ha dichiarato di volersi ricandidare, escludendo ogni velleità di presentarsi per il Consiglio degli Stati nel 2027, quando Marco Chiesa lascerà con l’obbiettivo del sindacato di Lugano. Immaginiamo che la novella abbia allietato non poco Christian Vitta e il suo partito. Il ministro delle finanze è infatti il candidato in pectore del PLR per riacciuffare il seggio in Senato. Un po’ perché i liberali hanno voglia di cambiare cavallo a Bellinzona, un po’ perché Vitta ha sempre avuto ambizioni federali. In quest’ottica l’incastro sarebbe perfetto. Occhio però a Claudio Zali. Anche il ministro leghista, che lascerà il Governo, sta riflettendo sull’opzione Stati. Certo risulta difficile immaginarlo come candidato di area Lega-UDC, ma nella destra ticinese ci sarà una bella girandola di poltrone sull’asse Lugano-Bellinzona-Berna. Lasciamoci sorprendere. Il domino, intanto, è già cominciato.
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