Tutto quello che non dovreste mai fare ai vostri figli e che non avreste mai dovuto subire dai vostri genitori. Kathya Bonatti: "Così madri e padri possono ferirci e rovinarci la vita. Ecco le violenze e le manipolazioni più comuni e come lasciarsele alle
Piccola guida sulla violenza quotidiana in seno alla famiglia. E su come curare le ferite e tornare all'armonia
Foto: TiPress/Pablo Gianinazzi
“La cosa che amo di più di mia mamma è che sia morta”. La cantante irlandese Sinead O’Connor ha raccontato recentemente in tivù come i suoi disturbi psichici siano il frutto avvelenato degli abusi subiti da bambina: “Mia madre stava molto male. Aveva una stanza della tortura, lei sorrideva e godeva mentre mi feriva. Mi costringeva a dire ‘Io non sono niente’ mentre mi picchiava. La cosa che amo di più di mia mamma è che sia morta”.
Sul tema dei genitori che maltrattano, feriscono, umiliano i figli, Kathya Bonatti (nella foto), ha scritto un saggio dal titolo ‘Madri e padri manipolatori’.
“Ho scritto il libro che avrei sempre voluto leggere – dice Bonatti, life coach con studio a Lugano, psicologa e psicoterapeuta in Italia, e docente di sessuologia forense alla Sapienza di Roma -. Credo che le confessioni di Sinead O’Connor debbano farci riflettere, e per me sono lo spunto per ricordare che questa è una realtà molto più diffusa di quanto crediamo. Genitori che spacciano per amore violenze fisiche, psicologiche, energetiche e sessuali”.
La nostra società definisce i genitori come persone che ama sempre in maniera incondizionata i figli, aggiunge. “In realtà non è vero, perché genitore significa colui che genera un figlio, fisicamente se procrea, psicologicamente se lo adotta. Se una persona è equilibrata, adulta, generosa e consapevole sarà in grado di riconoscere e soddisfare i bisogni dei figli. Se invece è infantile, anaffettiva (cioè non prova empatia e sentimenti verso gli altri), crudele, sadica, patologica o perversa, sarà un genitore con tutte queste caratteristiche”.
Il problema, prosegue Bonatti, “è che i figli vedono tutto questo come atto d’amore, perché gli è stato insegnato, appunto, che i genitori amano, e loro hanno necessità di sentirsi amati per vivere. Quindi, anche se vivono una realtà dolorosa la edulcorano perché hanno bisogno d’amore. Dal punto di vista pratico, di qualcuno che si prenda cura di loro, dal punto di vista emotivo, di qualcuno che li ami in maniera adeguata ai loro bisogni”.
Quando questo non accade, spiega Bonatti, alla luce di esperienze vissute nella sua professione, “i figli hanno come conseguenza dei danni alla stima di sé, mancanza di fiducia in se stessi e negli altri. Le persone che non hanno stima di sé non hanno ricevuto da piccole il nutrimento e l’amore adeguati ai loro bisogni. I bambini pensano: non sono amato, quindi non valgo nulla. Perciò è molto importante che maturino, negli anni della ragione, la consapevolezza di capire che non sono loro sbagliati, ma che sono stati umiliati, denigrati, svalutati, che hanno subito una mancanza di ascolto, di rinforzo, di sostegno, a volte anche di presenza…”.
Il sadismo e le etichette
Le ferite principali che i figli subiscono sono quelle del rifiuto, dell’abbandono, dei tradimenti, delle ingiustizie e delle umiliazioni, afferma Bonatti. “Possono essere rifiutati per diversi motivi: perché sono femmine invece che maschi o viceversa, perché non erano stati previsti, perché assomigliano al padre o alla madre in casi di divorzio o di separazione conflittuale, oppure alla ‘suocera detestata’, o perché sono frutto di una violenza…”.
Ci sono poi i genitori sadici. “Sadismo fisico è picchiare i figli con la cinghia, per esempio, o con le ortiche, o legarli al letto… Sadismo psicologico è quello di genitori che picchiano i figli e poi li fotografano per rivedere la scena… Sadici sono anche i genitori che minacciano di suicidarsi se i figli non fanno i bravi, generando in loro terrore. Sono tutte storie vere queste che sto raccontando…”.
Poi ci sono i genitori ‘etichettanti’, aggiunge Bonatti: “Si tratta di una forma di svalutazione molto dolorosa: sei cattivo, incapace, stupido, brutto, grasso… Un’altra forma di etichetta è quando un genitore denigra il proprio partner e poi, dopo qualche giorno dice a suo figlio ‘sei come tuo padre’ o ‘sei come tua madre’. I bambini apprendono a comportarsi in base alle etichette che ricevono, siano esse dirette o indirette. In entrambi i casi si adeguano alle etichette ricevute, perché i genitori sono per loro delle fonti autorevoli: se lo dicono la mamma o il papà sarà vero”.
Anche i genitori patologici spacciano la loro patologia per amore: “Una madre anoressica che non dà da mangiare ai figli, per esempio, o mamme ossessionate dallo sporco che non permettono ai figli di sedersi sui divani… o genitori che hanno il disturbo di accumulo di oggetti e li fanno vivere nel disordine… o persone che hanno gravi patologie come la schizofrenia e hanno comportamenti altalenanti, di contatto e di distacco dalla realtà… I figli però vivono tutto questo come normalità”.
I genitori che creano danni ai propri figli sono anche quelli anaffettivi, che non accarezzano, non abbracciano come amorevolezza, spiega Bonatti. “Poi ci sono i genitori abusanti sessuali, che pure spacciano per amore gli abusi. E succede anche in Ticino. Ma pure i semplici castighi possono danneggiare la crescita e la personalità dei ragazzi. Cose come ‘vai a letto senza cena’ o ‘ti mando in collegio’, ‘ti mando in cantina al buio’, sono molto comuni. E sono forme di mancanza di rispetto gravissime. Significa privare di dignità e rispetto il figlio in quanto essere umano: anche un criminale ha diritto a un pasto, figuriamoci un bambino! Anche i genitori che obbligano i figli a mangiare tutto quello che hanno nel piatto commettono un grave errore. E anche le sculacciate, se frequenti, sono pericolose: i bambini picchiati da piccoli hanno maggiore probabilità di sviluppare da adulti una personalità sado-masochistica. Sono tutti castighi inadeguati spacciati per metodi educativi”.
Tutto questo, secondo la psicologa, è anche una forma di violenza strutturale, “perché la società non identifica il crimine o il comportamento sbagliato ed è complice, e impedisce quindi alle vittime di identificarsi come tali. La società non accetta che non si possano non amare i figli, per cui quando le vittime subiscono i soprusi sono vittime bianche, che non si riconoscono come vittime”.
Veniamo dunque ai rimedi: “Prima di tutto la consapevolezza, sia a livello individuale, sociale e culturale, la capacità di vedere la realtà per quello che è, senza edulcorazioni della mente o del cuore. Perché la famiglia in casi di manipolazioni è la setta segreta più pericolosa del mondo. È una definizione forte ma rende l’idea”.
La consapevolezza “consente di capire che certi metodi di educazione spacciati per amore sono forme di violenza, palese o raffinata. Violenza raffinata è per esempio sono il silenzio: genitori che non parlano ai figli per giorni o settimane. O che con la comunicazione non verbale li distruggono, alzando gli occhi al cielo o sbuffando quando parlano, o li deridono… sono tutti atti che distruggono la vita dei bambini”.
La consapevolezza nel bambino diventato adulto, permette dunque di capire che erano sbagliati i genitori. “Questo processo – prosegue Bonatti - deve avvenire il prima possibile. Incontro spesso adulti che non hanno la coscienza della realtà, le violenze subite creano individui ciechi di fronte alla realtà, che non riescono a vivere le emozioni, perché a volte le hanno dovute anestetizzare e ibernare per non sentire il dolore. In altri casi il risultato sono esplosioni reattive: droga, alcolismo, devianza sessuale, problemi scolastici o disturbi del comportamento alimentare. O sofferenze amorose, difficoltà relazionali con la società o gli amici, o sul posto di lavoro…”.
Chi non riesce a capire le ferite subite nella propria famiglia di origine, aggiunge l’esperta, “finirà inoltre spesso con l’innamorarsi di quello che inizialmente sembra la fata turchina o il principe azzurro, ma si rivelerà poi un individuo che gli fa rivivere le stesse ferite subite durante l’infanzia. Perché c’è una inconsapevole attrazione verso la stessa dinamica vissuta in famiglia: se quell’esperienza veniva chiamata amore, l’individuo ricerca inconsapevolmente le stesse dinamiche anche da adulto. Chi ha vissuto queste cose tende ad associarsi con persone che gli fanno rivivere le stesse esperienze, nella sfera affettiva, professionale o relazionale”.
Quindi? “Quindi quando c’è qualcosa che non va nella vita le persone dovrebbero fermarsi e chiedersi: che ferita sto subendo, che cosa mi crea dolore? Ingiustizia, denigrazione, svalutazione, derisione, tradimento, violenze fisiche, psicologiche, sessuali. E chiedersi: chi mi faceva questo da piccolo? Dove e quando le ho già subite? Quindi la prima forma di guarigione è dare il nome giusto alle cose, alle esperienze vissute… E dare le responsabilità a chi le ha avute e non a se stessi, evitando i sensi di colpa, e attribuendosi il giusto valore a prescindere dal giudizio degli altri, chiunque essi siano, compresi i genitori”.
Si parla di prigione emotiva: da piccolo o da piccola ti inventi una favola e da adulto la replichi, afferma Bonatti. “Prima della coscienza bisogna però avere consapevolezza della realtà vissuta e solo dopo immergersi nella sofferenza e vomitare il dolore. Bisogna esternare il pianto, la rabbia, e lasciarle andare”.
Altrimenti? “Altrimenti situazioni del genere impediscono di essere vincenti e liberi, ed essere liberi va sempre messo al primo posto, a livello personale, professionale e sociale”.
L’ultima fase, fondamentale, è quella di lasciare andare il passato, dice Bonatti. “Lasciare andare il dolore, e scegliere di amarsi, anche se gli altri non l’hanno fatto nei nostri confronti. Tutti siamo stati feriti, ma per archiviare il passato devi dare un nome a quelle ferite. In questo modo diventi adulto, in caso contrario resterai emotivamente un bambino. Incapace di difenderti e di farti valere. Se un genitore diventa tale prima di diventare adulto sarà un genitore inadeguato a soddisfare i bisogni dei figli. Quindi prima di essere coppia bisogna essere individui che hanno imparato ad amarsi e ad avere stima di sé. Chi non ha imparato ad amarsi è un perdente. Per diventare vincenti intendo imparare ad amarsi e fare del proprio meglio a prescindere dal risultato. Poi, alla fine, finalmente, ti legherai con persone che vedono la vita come sei riuscita a vederla tu dopo questo processo interiore”.
Certo, conclude Bonatti, “ci vuole qualcuno che dopo che hai visto la realtà ti spieghi come imparare ad amarti e diventare vincente. Un libro, una guida, un terapeuta, una persona di cui ti fidi. Altrimenti, ce la cantiamo tra di noi… devi cercare qualcuno che ti indichi la strada, con garbo e delicatezza… La differenza, alla fine, è tra scegliere di vivere in uno stagno o nel mare, che è pieno di paure, di incognite ma è anche pieno di emozioni. Anche se poi ognuno è libero, consapevolmente, di scegliere lo stagno. Ma non bisogna mai chiamare mare uno stagno. Ci vuole coraggio, bisogna correre il rischio di uscire dal porto, accettare le incognite, accettare di rischiare…”.