Il medico della Sant'Anna spiega come è cambiato negli ultimi anni l'approccio alla patologia: "Fondamentale è il lavoro di team"
SORENGO - Il tumore al seno è nettamente la principale patologia cancerogena tra le donne. Per questo, negli ultimi anni medici e autorità sanitarie hanno investito e insistito sulla prevenzione. L’unica arma per sconfiggere questa malattia è infatti la diagnosi precoce, che consente di intervenire immediatamente. Ed è un’arma efficace, in quanto 9 casi su 10 sfociano nella guarigione se il tumore viene diagnosticato tempestivamente.
In quest’ottica, il mese di ottobre si tinge ogni anno di rosa. Ottobre Rosa è una campagna internazionale nata nel 1992 negli Stati Uniti, per iniziativa di Evelyn Lauder, che ha l’obiettivo di sensibilizzare soprattutto le donne più giovani su uno dei mali più diffusi nel mondo: tra le prime cause di mortalità, con oltre 13mila decessi nel 2018, rappresenta il 30% di tutti i tumori femminili. Ma, come detto, la malattia si può curare e sconfiggere se si interviene in tempo.
La prima figura coinvolta è quella del ginecologo, che lavora in team con altre figure specialistiche: radiologo, oncologo, psicologi, fisioterapisti… Nel caso in cui si debba intervenire chirurgicamente è il senologo tutor che opera la paziente o, in alternativa, il chirurgo oncoplastico. Ma le pazienti vengono appunto gestite da un pool di specialisti.
“In passato – spiega il dottor Umberto Botta, ginecologo e senologo tutor alla Clinica Sant’Anna di Sorengo - se avevi un tumore al seno ti operava il ginecologo e finiva lì. Ora la procedura è cambiata e queste patologie possono venire prese a carico soltanto da centri di senologia e trattati in un contesto pluridisciplinare. Cosa vuol dire? Che i medici che operano le pazienti - nel caso specifico io e il dottor Damir De Monaco - hanno una formazione adeguata e gestiscono un numero di casi sufficiente a garantire l’esperienza nella manualità e quindi la qualità delle prestazioni”.
Ma oltre ai chirurghi, in un centro di senologia ci sono figure dedicate alla senologia: dalla diagnostica ai trattamenti post-operatori. Le figure principali sono il radiologo, l’oncologo, i radioterapisti, il chirurgo plastico, tutti professionisti specializzati, che utilizza apparecchiature e tecnologie dedicate alla senologia.
“Ogni settimana – prosegue Botta – ci incontriamo per decidere come gestire i singoli casi, sia prima dell’intervento, sia successivamente per valutare il risultato. Il nostro ‘Tumor Board’, conta una trentina di persone, e comprende anche un’infermiera del seno, Ema Ramelli, che segue e coordina il percorso terapeutico, fisioterapisti, e uno psicoterapeuta. Tutte figure che garantiscono una presa a carico completa delle pazienti”.
Se la donna utilizza i canali che noi proponiamo, spiega il ginecologo, la percentuale di successo nelle cure è molta alta. “Ma attenzione: noi non facciamo prevenzione, facciamo diagnosi precoce, perché è questo l’elemento fondamentale. Sottoporsi a una mammografia non significa evitare il tumore al seno, ma poterlo diagnosticare nella sua fase iniziale, così da garantire il successo terapeutico. Se la donna effettua controlli diagnostici regolari, i risultati molto buoni”.
Da alcuni anni il Cantone offre la possibilità di effettuare gratuitamente un esame mammografico. Oggi donna che ha compiuto 50 anni viene invitata a sottoposti alla diagnosi, ripetendola ogni due anni.
In effetti, spiega il dottor Botta, tra i 50 e i 70 anni di età, la mammografia andrebbe effettuata a cadenza biennale. Ma è una regola che non esclude eccezioni: “Se una paziente di 35 anni mi dice che sua madre e magari anche sua sorella hanno avuto un tumore al seno, i controlli vanno anticipati. Una donna dovrebbe fare un bilancio senologico già a partire dai da 30 anni e capire insieme al suo medico qual è l’iter diagnostico corretto per lei. Se ci sono fattori di rischio evidenti bisogna iniziare prima. Ogni ginecologo fa queste valutazioni, ma chi ha una specifica formazione in senologia ha un occhio più vigile e allenato a riconoscere i casi a rischio”.
Le statistiche dicono che in Ticino i casi sfiorano i 400 all’anno e che circa una donna su nove avrà questo problema nel corso della loro vita, e che il tasso di guarigione è attorno al 90%. Altri dati indicano che il ricorso alla chemioterapia viene riservato ai casi dove la malattia è in fase più avanzata, e che tocca non più del 20% delle pazienti. Ecco perché bisogna insistere sulla prevenzione e sulla diagnosi precoce.
“Credo che gli investimenti dalla politica per la tutela della salute e la prevenzione non siano ancora sufficienti – conclude il medico -, e proprio per questo le iniziative private orientate a sensibilizzare la popolazione hanno grande valore e importanza”.