ANALISI
No Billag e il simbolo del privilegio: il pagamento del canone ai dipendenti della RSI da parte dell'azienda (cioè da noi). Quel segnale concreto che potrebbero lanciare i lavoratori della radiotelevisione pubblica
Dopo la chiara presa di posizione della direzione della RSI sulla faccenda, che si sovrappone con quella del presidente della CORSI Luigi Pedrazzini, un segnale dai ranghi potrebbe innescare una dinamica positiva e allacciare un rapporto con il popolo degli inecisi
© Keystone / Ti-Press / Pablo Gianinazzi
di Andrea Leoni

È un elemento simbolico più che sostanziale. Di quelli che non spostano l’equilibrio finanziario ma la percezione di un’idea.

 

La politica, infatti, vive anche di simboli. In positivo e in negativo. E ci sono totem che, per un motivo o per l’altro, quando posti sotto il riflettore di un dibattito pubblico, disegnano l’ombra di una narrazione nella mente dei cittadini. Scolpiscono un discorso e raffazzono un pregiudizio. E possono fare molti più danni di qualunque obiezione di merito.

 


 Il fatto che la RSI paghi il canone ai suoi dipendenti, è precisamente uno di questi fattori simbolici. È come se questo benefit, infatti, nella sua semplicità, riuscisse a dare forma e corpo all’idea della casta. Un riflesso diffuso nel corpo elettorale, come del resto rivelato anche da uno studio commissionato dalla CORSI. Quel privilegio è l’esempio concreto, la prova, da utilizzare come plot per poi articolare tutta la sceneggiatura sulla torre d’avorio di Comano.

 

Intendiamoci, se vogliamo parlare di privilegi fino in fondo, con un discorso serio, non è quello di cui stiamo trattando l’elemento che può contribuire a riformare la RSI. Ma questo è quello che è rimasto in testa alla gente. Giusto o sbagliato, non importa: i conti vanno fatti con quel che i cittadini ti mettono sul tavolo durante la discussione.

 

Sempre più spesso, sapendo della mia contrarietà all’iniziativa, mi capita infatti di confrontarmi nei bar e per le strade, con persone che mi pongono questa obiezione. E, francamente, non so come ribattergli in modo efficace. Il direttore Maurizio Canetta - che cito nelle mie repliche - ha affermato che l’azienda ha già deciso di eliminare questo vantaggio. Ma che tale decisione dovrà essere negoziata con i sindacati: non c'è una data, una certezza, proprio perché la chiara volontà dei vertici della SSR dovrà essere trattata.  Questo impegno, tuttavia, non è considerato una garanzia sufficiente da parte dei miei interlocutori, al contrario di me, che credo a quel che mi ha detto Canetta ("scomparirà"). Non si fidano e si chiedono perché aspettare. Ritengono non ci sia un momento migliore di questo per mettere sul piatto spontaneamente una piccola rinuncia concreta. Per fare un gesto. “Che poi se il 4 marzo vincono, passata la festa, gabbato lo santo”, chiosano.

 

Ho provato a comprendere i motivi per i quali questo privilegio colpisce così nel profondo i cittadini che me lo fanno notare continuamente. È un po’ come i vitalizi dei parlamentari italiani, mi ha risposto uno. O i Consiglieri di Stato che non si pagano la pensione, mi ha detto un altro. O ancora, le auto blu.

 

Al di là dei paragoni strampalati, ciò che viene percepito come insopportabilmente ingiusto non è la sola esenzione dal pagamento della tassa per i dipendenti, ma il fatto che l’azienda saldi il balzello ai suoi 1’200 lavoratori utilizzando giocoforza i proventi del canone versato da tutti gli altri cittadini. Insomma, l’equazione è semplice: alla fine glielo paghiamo noi, che abbiamo l'obbligo di pagare la fattura. Che è peggio che se non fosse semplicemente gratuito. In fondo, mi ha detto un signore che voterà “no” ma ancora un po’ vacilla proprio per questo fatto - per dire l’effetto dirompente che hanno certi simboli - è come se ci fosse un bonus annuale in busta paga di 465 franchi per tutti i dipendenti della RSI: non è giusto.

 


Un’altra signora indecisa, invece, ma che tende al “sì”, mi ha provocato dicendomi che al posto che passare le giornate su Facebook a fare campagna contro l’iniziativa, i dipendenti potrebbero unirsi e prendere pubblicamente l’impegno di volersi pagare il canone. Sarebbero più credibili, mi fa, nel chiedere ai cittadini di continuare a fare altrettanto.


 


Qualcosa di buono c’è in questa provocazione. Vale a dire il pungolo per i lavoratori della RSI a manifestarsi nel confronto con l’opinione pubblica, non solo attraverso la difesa del proprio impiego, dell’azienda e del concetto di servizio pubblico, ma sulla base di un piccola proposta concreta. Un tentativo per allacciare un rapporto con il popolo degli indecisi.

 

In effetti, dopo la chiara presa di posizione della direzione sulla faccenda, che si sovrappone con quella del presidente della CORSI Luigi Pedrazzini, un segnale dai ranghi potrebbe innescare una dinamica positiva.

 

Certo, non nascondiamocelo, esiste una contro indicazione. Quella cioè che una mossa simile venga letta esclusivamente come un elemento propagandistico, a questo punto del percorso di avvicinamento al 4 marzo. Un po’ come l’abbassamento del canone deciso solo poche settimane fa dal Consiglio Federale. E però, siccome questo privilegio è davvero insensato, fare la cosa giusta, rinunciandovi, avrebbe comunque un peso maggiore rispetto a tutti i discorsi tattici. Una concessione di buon senso che, infine, dimostrerebbe la sincera disponibilità nel confronto ad accogliere con i fatti le critiche fondate.

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