Il Parco è morto: come buttare al vento 15 anni di lavoro e tutto il resto. Ma non si può combattere i William Wallace con i fiorellini
L’impressione è che i promotori non abbiano cambiato registro, che non siano riusciti a passare dallo schema della progettazione e della negoziazione a quello della comunicazione, indispensabile nel rush finale per convincere gli elettori dell’importanza e delle opportunità del Parco
nella foto: William Wallace, dal film Braveheart
Il Parco Nazionale del Locarnese era un’opportunità. Non tanto per Ascona o per Losone, a cui le risorse non mancano, ma per i comuni che da questo progetto avrebbero potuto trarre stimoli e linfa per il proprio rilancio economico. Come Brissago, Onsernone e Centovalli.
Gli elettori l’hanno sonoramente bocciato, com’era nell’aria, ma non con percentuali bulgare. Parliamo di una manciata di punti percentuali. A dimostrazione che una campagna diversa nelle settimane che hanno preceduto il voto avrebbe potuto spostare verso il sì una parte probabilmente determinante di elettori. E forse il Parco oggi sarebbe una realtà sulla quale costruire progetti futuri.
Certo, non esiste la controprova, ma i contrari si sono mobilitati e organizzati molti mesi fa, e in questi mesi hanno battuto con forza e indomita convinzione il chiodo delle loro ragioni. Giuste o sbagliate che fossero, hanno fatto la loro battaglia, con scudi, alabarde e spadoni.
Una battaglia alla William Wallace. Declinata su un logo chiaro e convincente - quelle mani legate che si aprono a coppa su due abeti – e su uno slogan semplice ma efficace che evidenzia i talloni d’Achille del Parco: inutile, dannoso, costoso.
Hanno inoltre trovato (ma perché l’hanno cercato) un grande alleato politico, un ‘front man’, nel consigliere nazionale Fabio Regazzi, presidente dei cacciatori, ed è parso inutile e tardivo il tentativo di controbilanciare, un paio di giorni fa, il suo ‘No’ con il ‘Sì’ di due ex come Dick Marty e Franco Cavalli.
L’impressione è che gli oppositori siano stati gli unici a combattere (e forse anche a crederci) davvero, perché da parte dei promotori del Parco non c’è stato nemmeno un gioco di rimessa, ma soltanto una improponibile tattica rinunciataria. Un erroraccio di comunicazione che hanno pagato domenica alle urne. Ma quell’erroraccio alla fine lo pagherà il Locarnese.
Commentando il risultato la presidente del Consiglio del Parco,
“una campagna d’opposizione dai toni spesso drammaticamente scorretti”, di denigrazione e di “diffusione di notizie palesemente false”. Può anche avere ragione.
Ma allora perché non sono stati messi sistematicamente i puntini sulle ‘i’ da parte di chi per 15 anni ha lavorato a questo progetto? Perché non si è risposto punto su punto alle critiche, fondate o infondate che fossero? Perché non sono state smentire le notizie false? E perché non si sono usati i social ma si è puntato tutto su una comunicazione istituzionale, infarcita di carta e di documenti di stampo burocratico?
L’impressione è che non si sia cambiato registro, che non si sia riusciti a passare dallo schema della progettazione e della negoziazione a quello della comunicazione, indispensabile nel rush finale per convincere gli elettori dell’importanza e delle opportunità del Parco.
Le votazioni non si vincono con le bandierine esposte ai balconi e alle finestre (anche qui in risposta a quelle degli oppositori che già da tempo sventolavano a ogni angolo di paesi e frazioni). Le battaglie quando il clima si arroventa e la popolazione si spacca in due non si vincono con i fiorellini.
Così le urne hanno celebrato il funerale del Parco Nazionale del Locarnese. E in poche settimane sono stati buttati al vento 15 anni di lavoro e una marea di risorse, umane e finanziarie.