Basta perdite di tempo e mezze misure che hanno la durata di uno yogurt fresco. Le scuole vanno chiuse
di Andrea Leoni
È il momento di dirci in faccia la verità, nella versione più cruda e spiacevole. Per troppi giorni abbiamo inzuccherato una pillola che invece potrebbe rivelarsi amarissima con conseguenze significative nella nostra quotidianità. Il nostro sistema sanitario, e di riflesso l’intero sistema Paese, sarà messo a durissima prova. E la nostra economia subirà danni oggi difficilmente calcolabili per ampiezza.
È il momento della verità. Per troppi giorni, pur avendone un’intima consapevolezza suffragata dall’incedere dei fatti, ci siamo aggrappati all’eufemismo, ci siamo cullati nella speranza della fortuna e nell’illusione presuntuosa di essere diversi se non migliori degli altri, abbiamo sacrificato la realtà sull’altare di una prudenza ogni giorno più ipocrita.
Lo abbiamo fatto, in buonafede, per rispetto istituzionale e per timore di passare per megafono dell’allarmismo. Ma ora, non raccontare le cose per quello che sono, diverrebbe un atteggiamento irresponsabile, significherebbe diventare complici di una sottovalutazione potenzialmente nefasta. Essere responsabili oggi significa essere consapevoli fino in fondo della sfida che abbiamo di fronte e dei rischi che comporta. Il panico lo si combatte con la conoscenza.
La prima verità che dobbiamo dirci è che noi non siamo semplicemente uno dei numerosi cantoni della Svizzera dove sono stati riscontrati dei casi positivi. Noi siamo il territorio che si affaccia, e si mescola, sul più grande focolaio di Coronavirus del mondo occidentale, la Lombardia. Siamo anche il Cantone più anziano della Svizzera, quindi con una larga fascia di popolazione a rischio. Non occorre, crediamo, essere scienziati, per comprendere come questa evidenza debba portare il Ticino ad adottare sin da subito delle misure più stringenti rispetto al resto del Paese.
I numeri e i fatti sono chiari. In soli dieci giorni, il primo caso risale al 25 febbraio, in Ticino si sono registrati 33 casi, quasi raddoppiati tra giovedì e venerdì. Il che significa un caso ogni 10’000 abitanti. Le province di Como e di Varese - che da due settimane vivono misure restrittive ben più severe delle nostre - contano insieme 34 casi, ma complessivamente ci vivono un milione e mezzo di persone, il che fa una proporzione di un caso ogni 40’000 cittadini. In Svizzera siamo a quota 264 casi: 1 ogni 32’000. L’Italia attualmente ha 1 caso ogni 15’000, mentre la Lombardia 1 su 5’000.
Non dobbiamo dimenticarci che chi viene trovato positivo in queste ore, ha contratto il virus giorni fa. Il che fa temere che siamo solo all’inizio e che l’effetto post vacanze di carnevale lo vedremo fra qualche giorno.
La coerenza con cui si muove questo virus è micidiale e lascia purtroppo presagire che quanto stiamo vivendo in queste ore, è ciò che oltre frontiera si è vissuto nelle scorse settimane e che i nostri vicini tedeschi e francesi stanno a loro volta affrontando in questi giorni. Tutti ci auguriamo di avere miglior sorte dei nostri vicini italiani, soprattutto rispetto alle zone lombarde più toccate, ma non possiamo correre altri rischi.
Anche la nostra reazione iniziale è stata simile a quella riscontrata in altre parti del mondo, secondo quello che in psicologia si chiama principio di negazione: un meccanismo di difesa. Prima abbiamo guardato all’Italia con sufficienza: i soliti esagerati (a ieri quasi 4’600 dall’inizio del contagio, con una crescita di centinaia di casi al giorno, 200 morti, 460 persone in cure intense, 523 guariti). Poi ci siamo consolati con la fake news: è come un’influenza. Poi è arrivato il primo caso, un ticinese che si è contagiato in Lombardia. Poi il contagio si è esteso nel resto de Paese. Ad inizio settimana ecco il primo allievo positivo, alla Scuola arti e mestieri di Bellinzona. Giovedì, i tre casi positivi tra i sanitari in tre distinti ospedali ticinesi, nonostante tutte le precauzioni che le autorità avevano messo in campo per proteggere le cliniche.Ieri, infine, due ospiti di una casa per anziani. Fino all’ammissione di Daniel Kock, capo della Divisione malattie trasmissibili dell’Ufficio federale della sanità pubblica: “I casi aumenteranno sempre di più. Non è più possibile seguire le catene del contagio”.
Anche in Ticino non è più possibile seguire filiera, come ha spiegato Giorgio Merlani. E se i tassi di contagio si confermeranno sui parametri dei Paesi vicini, presto il controllo della quarantena sarà una questione di responsabilità individuale. Tutte le risorse e tutte le energie dovranno insomma essere dirottate sulla cura dei malati e sulla protezione del sistema sanitario (e non solo).
Il Consiglio di Stato, dopo giorni di tentennamenti, ha deciso ieri d’imporre il limite di 150 persone per le manifestazioni e per gli eventi, pubblici e privati. Una scelta tardiva che, però, mette fine alla confusione che si stava creando sul territorio, dove ogni comune e ogni organizzatore decideva motu proprio. Anche qui, non era necessario aver studiato medicina per comprendere che la via imboccata coraggiosamente per primo dal Municipio di Locarno, sarebbe stata quella che in pochi giorni si sarebbe imposta. Ma si è perso tempo, oltre a quello già perduto all’inizio della crisi con il mancato stop dei carnevali.
Non intendo polemizzare con le autorità cantonali. È molto più importante quel che c’è da fare piuttosto che discutere su quel che (non) abbiamo fatto. Ma smettiamola di perdere tempo, smozzicando mezze misure balbettanti che durano meno dello yogurt fresco. Lasciamo perdere soglie del tutto aleatorie. E diamo alla gente un unico messaggio: da qui ad almeno i prossimi 15 giorni state a casa, per tutto ciò che non riguarda l’attività lavorativa o le uscite necesssarie.
E non perdiamo altro tempo neppure sulla chiusura delle scuole, e con la massima urgenza nel post obbligatorio. Si è detto, ed è assolutamente vero, che i bambini e i giovanissimi subiscono gli effetti della malattia in maniera assai lieve, molti addirittura con pochi o nessun sintomo. Ma proprio per questo, fanno notare molti esperti tra i quali anche il medico cantonale, diventano degli insidiosissimi veicoli del virus verso i più grandi. Anche per questo è fondamentale che la malattia non inizi a circolare troppo tra i giovani (ammesso e non concesso che sia ancora possibile). Che in ogni caso non bisogna affidare ai nonni gli allievi è ormai un messaggio chiaro e non può essere la motivazione per non mettere in atto questa misura.
Sono molti, anche nel nostro sistema sanitario, a pensarla così. Il dottor Franco Denti, presidente dell’Ordine dei medici, è da due settimane ormai che chiede a gran voce, inascoltato, che vengano attuate tutte le restrizioni che si stanno implementando a singhiozzo. Altri professionisti attivi nel nostro settore non si espongono pubblicamente per non creare confusione, ma sono sulla stessa, identica, linea di Denti.
Su un punto ormai convergono tutti gli specialisti a livello nazionale e internazionale: l’unica misura efficace per diluire l’epidemia, ed evitare i picchi di malati e di ricoveri, è spezzare la catena del contagio, mettendo in atto tutte quelle misure d’isolamento e di limitazione degli assembramenti di persone in luoghi chiusi.
Non vorremmo che il Ticino si trasformasse in una sorta di orchestrina sul Titanic, che continua a suonare imperturbabile e incerta sulla soglia del fronte occidentale.