"L’era pandemica ha insegnato quanto lo Stato centrale possa implementare una giostra di modifiche normative immediatamente esecutive limitative dei diritti di libertà basilari difficili da portare all’attenzione dal potere giudiziario"
Di Niccolò Salvioni
Il 2 giugno 2020 avevo avuto modo di esaminare la problematica della libera circolazione transfrontaliera nella ricerca “Quando delle limitazioni del traffico di confine e dell’ammissione di stranieri tra Svizzera ed Italia sono giustificate da motivi di ordine pubblico e di pubblica sanità sulla base del diritto pubblico internazionale?”. LEGGI QUI
Dato che il problema che si ripropone ora in chiave nuova si risolverà tra poche settimane, avevo pensato di non dedicavi ulteriori energie, essendo, come molti, stanco di questo regime di continua limitazione dei diritti, ora asimmetrica. Mi limiterò a qualche riflessione.
Nel frattempo, le nostre popolazioni hanno patito la “spallata” della seconda ondata pandemica, dalla quale il Ticino e l’Italia stanno uscendo in sincrono, un po’ come vi sono entrati.
Attualmente la Svizzera, per quanto riguarda l’entrata sul suo territorio, ha adottato un sistema federale semplice: chi non giunge da un paese o regione a rischio elevato di contagio in automobile, bicicletta o a piedi (o in barca) non necessita di procedure particolari. Lo stesso vale, nelle regioni confinanti, anche per chi entra con mezzi pubblici quali autobus, treno o battello. LEGGI QUI
La Svizzera del 6 maggio 2021 ha tolto l’Italia dalla lista dei paesi a rischio elevato di contagio. Dal 17 maggio 2021 l’Italia non è considerata quale paese ad elevato rischio di contagio, mentre sono considerate tali, per ora, unicamente ancora le regioni Basilicata, Campania e Puglia. LEGGI QUI.
Il Cantone Ticino, dopo un iniziale spazio di manovra quale regione svizzera all’avanguardia nella lotta pandemica, con evoluzione analoga all’Italia, si è allineato alla politica di contrasto pandemico del Consiglio federale svizzero, non adottando disposizioni aggiuntive particolari sul transito di frontiera. LEGGI QUI.
Dunque, in sostanza, dalle regioni italiane Lombardia e Piemonte confinanti al Cantone Ticino (ciò vale anche per i Cantoni Vallese e Grigioni), su territorio svizzero, sono liberi di entrare tutti, senza formalità anti-pandemiche.
LA MANCATA RECIPROCITÀ
Non è vero invece il contrario. Il governo italiano ha stabilito che in Italia, dall’area Schengen (di cui fa parte anche la confinante Svizzera), si può entrare con tampone negativo senza obbligo di quarantena. Resta l'obbligo di esibire all'arrivo un tampone molecolare o antigenico con esito negativo, effettuato nelle 48 ore che precedono l'arrivo in Italia.
La Svizzera per l’Italia è attualmente inserita nell’Elenco C. In base alla normativa italiana, gli spostamenti da questi Stati sono consentiti senza necessità di motivazione. LEGGI QUI.
Per tutti coloro che hanno soggiornato o transitato nei quattordici giorni antecedenti all’ingresso in Italia in uno o più Stati e territori di cui all’ Elenco C, la normativa italiana in essere prevede che al rientro in Italia sia obbligatorio:
- presentare la certificazione verde da cui risulti che ci si sia sottoposti a tampone molecolare o antigenico effettuato nelle 48 ore prima dell’ingresso in Italia con esito negativo
- compilare il modulo di localizzazione digitale che sostituisce l’autodichiarazione
- comunicare al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio il proprio ingresso (Consulta la pagina: COVID-19 Numeri verdi e informazioni regionali
La mancata presentazione della certificazione verde recante il risultato negativo del tampone di cui sopra comporta i seguenti obblighi:
- isolamento sanitario per dieci giorni presso l’indirizzo indicato nel modulo di localizzazione digitale
- tampone al termine dell’isolamento di dieci giorni.
Tali disposizioni restano in vigore fino al 30 luglio 2021. LEGGI QUI.
Dunque, se da un lato è possibile uscire dall’Italia in uno Stato dell’Elenco C, quando si torna occorre effettuare le prescrizioni indicate sopra.
Roma non ha previsto disposizioni speciali per gli abitanti delle zone confinanti alla Repubblica italiana. Roma ha scordato le sue province più lontane, come i loro vicini svizzeri che vi abitano.
La limitazione del movimento di frontiera posta attualmente dall’Italia per entrare in Italia dalle zone di confine ticinesi, rappresenta una disparità di trattamento interna tra i cittadini italiani che vivono nella zona di frontiera, rispetto agli altri italiani che beneficiano invece della completa libertà di movimento, che non si trovano a vivere in zone di frontiera dai flussi persone selettivamente rarefatti, indotte da limitazioni basate su principi di polizia sanitaria internazionale italiana.
La condizioni poste dal Governo italiano al movimento di viaggiatori da e per la Svizzera rappresenta una assenza di reciprocità nei confronti delle libertà di movimento vigenti in Svizzera.
La Svizzera, durante tutto il periodo pandemico, non ha mai attuato misure di limitazione di movimento interno, ciò contrariamente all’Italia, che ha evolutivamente confinato regioni a seconda di diversi criteri, attualmente poste quasi tutte in “giallo”.
Il confine politico, dunque, con le progressive riaperture al movimento passeggeri, è diventato il luogo dove si evidenziano con maggiore intensità le differenze normative tra i nostri due Stati.
Già nella ricerca dell’anno scorso, avevo accennato ai limiti ammissibili agli ostacoli alla libertà di movimento Schengen, come pure al fatto che il Regolamento sanitario internazionale dell’OMS sconsigliava di attuare limitazioni di movimento delle persone, da limitarsi eventualmente ai primi periodi della pandemia.
L’art. 43 del “Regolamento sanitario internazionale (2005)” basato sugli statuti dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) (approvati da Svizzera ed Italia il 15 giugno 2007) relativo alle “Misure sanitarie aggiuntive” stabilisce infatti che il Regolamento non deve impedire agli Stati Parti l’implementazione di misure sanitarie, in accordo con la propria legislazione nazionale e con gli obblighi derivanti dal diritto internazionale, in risposta a rischi specifici per la sanità pubblica o emergenze sanitarie di interesse internazionale che raggiungano lo stesso livello di protezione sanitaria o un livello superiore rispetto alle raccomandazioni dell’OMS, a condizione che siano altrimenti coerenti con Regolamento, ed inoltre che nel determinare se attuare le misure sanitarie degli Stati Parti devono basare le proprie decisioni:
(a) su principi scientifici;
(b) su prove scientifiche disponibili di un rischio per la salute o, in caso tali prove non siano sufficienti, su informazioni disponibili incluse quelle fornite dall’OMS e da altre organizzazioni intergovernative e altri enti internazionali; e
(c) su qualsiasi consulenza o parere specifici dell’OMS. Uno Stato Parte che attui misure sanitarie aggiuntive di cui al paragrafo 1 del presente articolo che interferiscano sostanzialmente con il traffico internazionale deve fornire all’OMS il razionale di sanità pubblica e le relative informazioni scientifiche.
Quest’anno, per quanto concerne la tesi dell’immunità determinata dalla presenza di anticorpi post guarigione da malattia occorre anche considerare la riflessione del 24 aprile u.s. dell’OMS, relativa ai passaporti d’immunità (Immunity Passports – che certificano la guarigione dal coronavirus nei sei mesi precedenti, il completamento del ciclo di vaccinazione nei sei mesi precedenti rilasciata da una struttura sanitaria oppure del risultato negativo di un test molecolare o antigenico), nel quale si indica:
“L'OMS ha pubblicato una guida sull'adeguamento delle misure sanitarie e sociali per la prossima fase della risposta alla COVID-19. Alcuni governi hanno suggerito che la rilevazione degli anticorpi alla SARS-CoV-2, il virus che causa la COVID-19, potrebbe servire come base per un "passaporto di immunità" o "certificato senza rischi" che permetterebbe alle persone di viaggiare o di tornare al lavoro presumendo che siano protette da una nuova infezione. Attualmente non ci sono prove che le persone che sono guarite dalla COVID-19 e hanno gli anticorpi siano protette da una seconda infezione.” LEGGI QUI.
Se si nutrono dubbi sull’efficacia dei passaporti di immunità, ritenendo altresì che questi potrebbero anche indurre comportamenti anti-epidemiologici meno cauti, da parte dei loro portatori, che garanzia possono dare, per spostamenti a corto raggio transfrontalieri, dei tamponi molecolari o antigenici effettuati nelle 48 ore prima dell’ingresso in Italia?
E tale misura che utilità può avere di fronte ad un flusso continuato di oltre 60'000 lavoratori transfrontalieri che entrano ed escono quotidianamente dal Ticino, al beneficio della deroga italiana dall’obbligo del tampone e dunque non soggetti a qualsiasi controllo sanitario sia da parte sia italiana sia Svizzera? Nel Cantone Ticino, con una popolazione di 350'000 abitanti, in meno di una settimana entrano tante persone cumulate dall’Italia come la sua popolazione, senza alcun controllo sanitario, né in Svizzera, né in Italia, poiché al beneficio di deroga italiana. Come se, facendo le debite proporzioni, dalla Svizzera, ogni settimana, giungessero cumulati nelle province di Varese e Como (di complessivi circa 1'400'000 abitanti) oltre 240'000 frontalieri svizzeri, senza controllo sanitario alcuno.
Per concludere, una riflessione tratta dal Trattato di domicilio e consolare tra la Svizzera e l’Italia del 22 luglio 1868. Questo stabilisce che “reciprocamente gli Svizzeri saranno in Italia ricevuti e trattati riguardo alle persone e proprietà loro sul medesimo piede e nella medesima maniera come i nazionali”.
Le disposizioni limitative l’accesso all’Italia attualmente applicate nei confronti dei cittadini Svizzeri di frontiera, rappresentano una violazione del principio della uguaglianza di trattamento, rispetto ai cittadini italiani non di frontiera, che attua una analoga discriminazione nei confronti dei cittadini italiani di frontiera, rispetto agli altri cittadini italiani d’entroterra, che vivono lontani dalle frontiere.
Il Trattato di domicilio e consolare tra Svizzera e Italia andrebbe rispettato sulla base dell’art. 26 della Convenzione di Vienna sui trattati. Effettuando una interpretazione coerente con la volontà del Trattato del 1868, la disposizione che obbliga la presentazione del certificato verde in zona di frontiera, per il ritorno in Italia dalla Svizzera, o quale conseguenza, per entrare in Italia dalla Svizzera, è contraria al suo spirito e come tale da considerarsi nulla o comunque annullabile.
L’era pandemica ha insegnato ai giuristi quanto lo Stato centrale possa implementare una giostra di modifiche normative immediatamente esecutive limitative dei diritti di libertà basilari difficili da portare all’attenzione dal potere giudiziario, anch’esso infiacchito dalle misure volte ad evitare il diffondersi della malattia. Un periodo di grandi discriminazioni a base epidemiologica limitative delle libertà, relativamente alle quali – sovente - non si riesce a discernere la componente scientifica da quella “cabalistica”. La velocità del cambiamento normativo frustra qualsiasi tentativo di sottoporre le decisioni alla Giustizia. Per velocità, il diritto emergenziale del potere esecutivo vince. Quasi sempre.
Non volendo fare di persona esperimenti di diritto amministrativo di polizia sanitaria internazionale, mi limiterò purtroppo a prolungare la mia presenza fissa nel Cantone Ticino ed in Svizzera, come in molti abbiamo pazientemente fatto da mesi a questa parte. In attesa di periodi migliori per la libertà, tra Svizzera ed Italia.
A meno che Roma non cambi impostazione, prima del 30 di luglio.
* avvocato