SECONDO ME
Nomine, politica e giustizia: le bordate di Claudio Zali
Il Consigliere di Stato leghista: "Da ex Magistrato, provo imbarazzo, tristezza e alle volte anche nausea per le modalità di talune scelte Il caso di Siro Quadri è emblematico"

di Claudio Zali*

Lunedì scorso, tra un brindisi e l’altro per il cambio di Presidenza, il Gran Consiglio ha eletto un nuovo Giudice del Tribunale di appello, destinato alla non facile presidenza della Camera Esecuzione e Fallimenti (CEF). La scelta è caduta su una candidata 33enne, vicecancelliera presso un’altra camera del Tribunale e priva quindi di esperienza specifica, che l’ha spuntata in particolare su un candidato di 44 anni, da 11 attivo proprio presso la CEF quale Ispettore giurista. Si precisa: entrambi sono reputati idonei dall’apposita Commissione di esperti indipendenti per l’elezione dei Magistrati. 

“Giustizia, tutto come da copione” titolava martedì il CdT, per buona pace dei lettori ignari dei retroscena. Dall’articolo traspare però che le cose non sono andate così lisce: due richieste di rinvio in commissione ma soprattutto una votazione risicata – solo 41 voti su 81, con 16 schede bianche – nonostante la granitica proposta in favore dell’eletta da parte di ben 14 membri (uno con riserva) della Commissione giustizia e diritti, sono prova lampante dell’ennesima spaccatura del GC in tema di elezione dei Magistrati e in questo caso anche dello scollamento tra il preavviso della Commissione e l’opinione del plenum. Diamo un’occhiata dietro le quinte. Non ho ovviamente accesso ai lavori dell’autorevole Commissione giustizia e diritti, ma assisto alle riunioni del gruppo parlamentare della Lega, in cui i deputati membri di detta Commissione riferiscono ai colleghi le risultanze di tali lavori.

Ciò che è accaduto in Commissione, una volta ancora, è semplicemente che nella piena consapevolezza che (almeno) un altro candidato avesse una migliore esperienza specifica (il che pare nel caso di specie incontrovertibile) si è deliberatamente scelto di proporre colei che indossava la casacca giusta, che in questo caso era quella del Centro, mentre che l’altro candidato, che in aula ha raccolto 19 voti, vestiva quella del PLR. Consapevole che l’ottocentesca modalità di spartizione delle poltrone in base a meri criteri di appartenenza non durerà per sempre, il Centro ha pensato bene (e con la consueta abilità ci è riuscito) di piazzare un ultimo colpo in Commissione nel solco della tradizione. 

Si è così consumato l’ennesimo mercato dei tappeti o di altro in cui, con la complicità di tutti, l’interesse di partito prevale sulla dignità della Giustizia e sul rispetto dei candidati (che sono persone), i quali si mettono a disposizione e in discussione nella speranza di essere valutati con equità, in base alle competenze professionali, all’esperienza di vita, al valore dimostrato e all’attitudine ad esercitare la carica a cui ambiscono. Una pia illusione, e molti potenziali candidati l’hanno capito da tempo. Sono entrato in Magistratura nel 1992 grazie alla Lega e al voto popolare e ci sono rimasto per più di 20 anni.

Da ex Magistrato, provo imbarazzo, tristezza e alle volte anche nausea per le modalità di talune nomine. Il caso di Siro Quadri, scelto dal plenum del GC contro il preavviso della Commissione, è emblematico. Anche di ciò che può succedere quando si nomina la persona sbagliata. Occorre una riforma del sistema ed è necessaria ora per risollevare l’immagine della giustizia agli occhi dei cittadini. Ritengo che il Gran Consiglio non riesca ad assolvere con la necessaria autorevolezza ed oggettività il compito di procedere alla nomina dei membri del Terzo potere, ciò che dovrebbe essere garante dell’indispensabile serenità ed indipendenza dei Magistrati medesimi, e quindi anche del buon funzionamento della Giustizia.

Invocare una riforma è facile e anche declamatorio se non si passa ai fatti. Scriverla sarà meno semplice, ma la parte davvero difficile sarà fare approvare proprio dal Gran Consiglio e in tempi non biblici una revisione del sistema che dovrà prevedere maggiore oggettività nelle valutazioni e di conseguenza la rinuncia ai criteri di nomina partitici oggi in vigore. E con essa anche una minore latitudine di apprezzamento del Gran Consiglio stesso, che oggi non è purtroppo fuori luogo definire come un vero e proprio margine negoziale.

*Consigliere di Stato Lega - Articolo pubblicato sull'ultima edizione de Il Mattino della Domenica

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