Antonino Cannavacciuolo, che nella sua lunga e brillante carriera ha collezionato sette stelle Michelin, è da poco tornato in tv con “Cucine da incubo”, in onda su Sky. In una lunga intervista al Corriere della Sera, lo “chef del popolo”, originario di Vico Equense in provincia di Napoli, si è raccontato senza filtri. Dal suo amore per la cucina ereditato dal padre, cuoco a sua volta, ai sacrifici che la ristorazione impone, all’impegno che richiede rimettere in piedi un ristorante in difficoltà - come in "Cucine da incubo" - dove occorre anzitutto ritrovare la motivazione, lo stimolo per andare avanti.
La cucina è il posto in cui lo Chef si sente in pace, in cui profonde tutto se stesso, anima, corpo e mente. “Succede anche a chi ha l’hobby della palestra: si sveglia presto per andarci, e una volta lì si sente meglio. Ecco, questo a me capita con la cucina: starci non è mai una fatica, io mi diverto. Ci apro la giornata e cerco di rimanerci: è il posto più bello dove io possa stare, dove sono davvero tranquillo. Se mi togli dalla mia cucina io ho finito di vivere”.
Tanto che, malgrado un’agenda fitta di impegni, lo Chef partenopeo cerca di non mancare mai. Anche quando è impegnato con le riprese in tv, torna a Villa Crespi ogni volta che può, per guidare e spronare i suoi collaboratori. Con la sua brigata sperimenta e inventa qualcosa di nuovo. Non ama ripetersi. Come lui stesso afferma, è grazie a questo che ha ottenuto la terza stella; cerca sempre di essere presente e il suo primo obiettivo è sempre stato e sempre sarà la cucina. La tv gli ha dato popolarità, offrendo slancio a un percorso già predefinito; ma nella sua testa Cannavacciuolo aveva già le idee chiare, sapeva cosa avrebbe voluto fare: impresa legata al cibo. “I primi soldi arrivati dalla tv li ho investiti sulla società, in primo luogo per far stare meglio chi ci lavora: ho rinnovato tutta la cucina di Villa Crespi, l’ho resa una cucina professionale, così come Laqua o il Banco di Cannavacciuolo“.
Quanto a “Cucine da incubo”, dove ha debuttato nel 2013, Cannavacciuolo afferma: “È un programma a cui sono molto legato perché l’obiettivo è rendere felici le persone. Spesso, quando riparto, la gente piange: questo dà l’idea di quanto mi dedichi, anima e corpo al risollevare un ristorante in un momento di difficoltà. Ogni volta ci passo tre giorni e sono sempre tre giorni di fatica di lavoro. La parte più faticosa è il lavoro mentale che c’è dietro. Devo diventare una sorta di coach, dare motivazione. Nella ristorazione è facile arrivare ma difficile mantenere un certo livello: bisogna trovare stimoli tutti i giorni, è questa la parte più complessa”. La prima regola per riuscirci, afferma lo Chef, sono gli orari. “Non si può pensare di entrare in servizio alle 11.30 per poi aprire alle 12. Già le nonne o le mamme, quando volevano fare qualcosa di buono, iniziavano a cucinare alle 6 del mattino. Ti alzavi e nell’aria già sentivi quel profumo di cipolla... serve quel tipo di amore”.
Un amore che Cannavacciuolo ha ereditato dal padre cuoco, che per lui però avrebbe sognato un futuro diverso. “Mi voleva medico, o architetto, avvocato... Io mi sono impuntato e a 13 anni gli ho detto: o mi fai fare il cuoco o non faccio niente”. E lui, ancora oggi che ha raggiunto la celebrità, non vuole dargli soddisfazione: “Non mi ha mai detto una volta che sono bravo. Ormai tra noi c’è un gioco: gli preparo qualcosa e poi gli chiedo ‘allora papà, ho imparato qualcosa?’. Ma lui niente. So che si vanta con gli altri, ma non con me”.
Come egli stesso racconta, i grandi Maestri che l’hanno ispirato sono Fulvio Pierangelini, Gianfranco Vissani, Gualtiero Marchesi, Ezio Santin. “Quando sono andato a mangiare all’Antica Osteria del Ponte ho detto ‘Wow’. È stata una luce che si è accesa nella mia vita. E non si è spenta più”.
Dopo aver visitato tante cucine da incubo e aver portato al vertice la propria, Cannavacciuolo sogna di fare un’esperienza in Giappone: “Hanno una cultura, un pensiero tutto loro. C’è del sacro attorno a un ingrediente, penso alla soia, che lì quasi si potrebbe bere per quanto è buona, un condimento perfetto. Amo la connessione che si crea in quei luoghi tra uomo, cibo e universo. Accarezzano il cibo, questo fa la differenza”.