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Il folle piano dei cecchini di Washington: ammazzare 6 persone al giorno per un mese
John Allen Muhamed e John Lee Malvo, minorenne, vengono arrestati nell'ottobre 2002. Progettavano anche di uccide donne gravide e un poliziotto a Baltimora. E poi una strage al suo funerale

James D. Martin ha cinquantacinque anni, e sta tornando alla sua macchina con la spesa in mano quando all’improvviso crolla a terra, colpito un proiettile alla testa. É il 2 ottobre 2002, e sono le sei e quattro minuti, a Silver Spring, un piccolo centro non lontano da Aspen Hill, nel Maryland. 

Il giorno dopo, tocca a James Buchanan, che ha trentanove anni, fa il giardiniere e sta falciando il prato di un centro commerciale; poi è la volta di Premkumar Walekear, mentre fa benzina al distributore della Mobil di Aspen Hill; Sarah Ramos, trentaquattro anni, passa in un lampo dalla vita alla morte seduta su una panchina, fuori dall’ufficio postale di Rossmoor Boulevard.  

Un proiettile uccide anche Lori Ann Lewis-Rivera, che ha venticinque anni e alle nove e cinquantotto sta facendo il pieno di gas con la sua macchina alla Shell di Kensington. L’ultimo della giornata è Pascal Charlot, settantadue anni, colpito dal cecchino mentre sta all’angolo tra Georgia Avenue e Kalmia Road, a Washington.
In poco più di tre settimane sono dieci le vittime cadute sotto i colpi dell’assassino, e altre tre vengono ferite gravemente, raggiunte tutte da un colpo di fucile calibro 223
C’è un serial killer in circolazione, senza dubbio, ma non è solo questo a terrorizzare gli abitanti della zona; c’è anche la mancanza di un movente, la totale casualità, la varietà delle vittime. L’assassino colpisce indiani e ispanici, ma anche bianchi, giovani e vecchi, davanti a un distributore come pure nei parcheggi dei supermercati, per la strada e davanti ad una scuola. Spara a qualunque cosa si muova, proprio come un cecchino in guerra.

L’ultimo omicidio avviene martedì 22 ottobre 2002. Gli investigatori non sanno cosa pensare, e le ipotesi si sprecano: a qualcuno viene in mente che sono passati giusto venticinque anni dai delitti del famigerato Figlio di Sam. Sam, il cui vero nome era David Berkovitz, per tredici mesi, tra il 1976 e il 1977, aveva sconvolto le strade di New York, uccidendo sei persone e ferendone altre sette. Che allora il cecchino di Washington, come lo hanno ribattezzato i media, sia un “copycat”, un imitatore, un serial killer che rende omaggio a un altro serial killer? E se invece fosse un ragazzino che ha passato troppo tempo davanti ai videogiochi e adesso non riesce più a distinguere la realtà dalla fantasia? Oppure si tratta di un rituale, un rituale satanico. Ma come escludere i terroristi di Al Queida?

Ci si mettono anche i profiler dell’FBI, che concludono affermando che l’assassino agisce da solo, è di razza bianca, un single sui venti-trent’anni, il tipico residente del distretto di Washington. L’analisi resterà nella storia come una delle più grandi cantonate dell’Unità di Scienze del Comportamento.

Improvvisamente, a segnare le indagini arriva una telefonata anonima, una che tra le migliaia conquista l’attenzione della polizia. Perchè il tizio all’apparecchio è diverso da tutti gli  altri: il 17 ottobre, chiama da una cabina della Virginia, annunciandosi con “Io sono Dio”, e per far capire che non scherza, racconta di un altro caso in cui avrebbe già ucciso, in una rapina avvenuta a Montgomery, in Alabama. 

In effetti, a Montgomery, il 21 settembre c’era stata una rapina all’ABC Beverage, un negozio di liquori. Qualcuno aveva ucciso la proprietaria, e ferito gravemente alla testa la sua commessa.

Quello che “Dio” non sa, è che prima di scappare, ha commesso un errore che lo avrebbe tradito, lasciando un’impronta della sua mano sulla copertina di una rivista. L’impronta era stata raccolta dalla polizia di Montgomery e inviata allo schedario computerizzato dell’FBI. Peccato che nessuno, per ventisette giorni, si fosse ricordato di scoprire a chi apparteneva. 

Quando alla fine si decidono a interrogare il computer, salta fuori il nome di un ragazzo, un tal John Lee Malvo, diciasette ani, di colore, originario della Giamaica ed entrato clandestinamente negli Stati Uniti. Ma John non si muove da solo, ha una specie di padre adottivo, John Allen Muhammad. Allen ha quarantadue anni, è nato in Luisiana ed è nero anche lui. Ma soprattutto è un ex soldato e un tiratore scelto. 
Lui e il ragazzo sono scomparsi, e l’unico indizio è l’auto dell’uomo, una Chevrolet Caprice blu del ‘90. 

Il 24 ottobre 2002 c’è un camionista che sta parcheggiando il suo camion in un’area di servizio della I-70, vicino a Frederick. E’ l’una di notte, sta ascoltando la radio, e proprio in quel momento sente un appello del conduttore che chiede aiuto alla gente per conto della polizia. 
Stanno cercando una macchina, una Chevy Caprice blu del ‘90, targa NDA21Z.

Il camionista guarda fuori dal finestrino e nota che c’è proprio una Caprice nell’area di servizio. Una Chevy Caprice. Blu. Del ’90. Targa NDA21Z. Il camionista chiama il 911, il numero d’emergenza della polizia, e poi si chiude dentro il suo camion, come gli è stato chiesto. Poco dopo arriva la SWAT, la squadra specialE della polizia, che si avvicina rapidamente, sfonda i finestrini della Caprice e ci infila dentro le armi, urlando agli occupanti di non muoversi. 

John Lee Malvo e John Allen Muhamed non hanno neanche il tempo di reagire.    
Gli Washington Snipers, i cecchini di Washington sono loro. Non c’è dubbio. Anche se sono due, sono neri e vengono da fuori. Nella Caprice gli agenti della SWAT trovano un fucile, un Bushmaster 223, un fucile d’assalto con mirino di precisione e treppiede. E anche l’auto, è stata modificata per poter passare dal sedile posteriore al portabagagli e poi sparare dall’interno. 

Rinchiusi in una prigione federale, John Allen Muhamed e John Lee Malvo, vengono giudicati in due diversi processi. Il 10 novembre 2010 Allen viene giustiziato con un’iniezione letale al Greensville Correctional Center della Virginia. Malvo, che ha evitato la condanna a morte essendo minorenne all’epoca dei fatti, ha di recente fornito nuovi elementi per comprendere il piano di morte dei due assassini.

Il progetto consisteva di tre fasi, da svolgere nelle aree di Washington e Baltimora. In un primo momento i cecchini avrebbero dovuto eliminare sei persone al giorno per trenta giorni consecutivi.

La seconda parte prevedeva lo spostamento a Baltimora, uccidendo donne gravide e un poliziotto. Al funerale dell’agente, un ordigno esplosivo avrebbe fatto strage dei rappresentanti delle forze dell’ordine intervenuti alla cerimonia. Il tutto per arrivare all’ultimo passaggio: ricattare il governo degli Stati Uniti per milioni di dollari, e con il denaro viaggiare in Canada reclutando giovani ragazzi orfani. Le nuove leve sarebbero poi state addestrate a trasformarsi in cecchini sparsi per l’America a seminare morte e terrore.

Un piano folle, saltato per colpa della stupida onnipotenza di Allen. 
E di un’impronta digitale

 

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