"È una questione di rispetto della dignità umana, ma anche (di nuovo) di protezione della salute: chi non avrà questa sicurezza, come potrà restarsene in quarantena settimane, forse mesi, senza essere tentato di aggirarla, per guadagnarsi da vivere?"
BELLINZONA – Il sindacato UNIA chiede il rispetto rigoroso delle norme igieniche da tutti raccomandate per proteggersi dal rischio contagio e torna sulla questione dei salari: a suo avviso, il datore di lavoro deve pagare lo stipendio a chi non può lavorare, altrimenti il rischio è che si rechi sul posto di lavoro anche chi non potrebbe pur di non perdere soldi.
In Ticino, le norme diffuse continuamente da ogni tv e sito, ripetute a tutte le conferenze stampa, sono seguite? Stando al comunicato di Giangiorgio Gargantini, non sempre. “Da diversi giorni riceviamo decine di testimonianze di lavoratrici e lavoratori che denunciano condizioni di lavoro che non rispettano le indicazioni minime fornite dalle autorità sanitarie. La distanza sociale (ad esempio nei negozi, nei ristoranti, nei comparti produttivi di numerosi aziende) non è rispettata, mense e locali di pausa sono affollati come un paio di settimane fa, spesso nessuna protezione specifica è stata prevista. Nelle ultime settimane le autorità federali e cantonali hanno fatto ripetutamente appello alla responsabilità delle imprese: laddove questa viene meno, le misure di protezione della salute cessano di essere efficaci, e quindi un intervento delle autorità a protezione della salute di tutte e tutti si impone!”.
Un altro tema è il soggiorno dei lavoratori frontalieri negli alberghi: UNIA è contraria. “Potrebbe essere un’opzione, sperando per altro che sia almeno discussa individualmente, e che le spese siano prese a carico dal datore di lavoro! Non lo è di certo per il sindacato, anche perché separare dei nuclei familiari in questo periodo difficile risulta decisamente improponibile”.
Infine, la presa a carico delle perdite salariali e di reddito cagionate a lavoratrici e lavoratori attivi sul territorio, indipendentemente dallo statuto e dal tipo di contratto. “Il sindacato lo ripete dal primo giorno della crisi: conformemente alla legislazione in vigore, se il lavoratore è impedito senza sua colpa di lavorare, il datore di lavoro deve pagargli il salario! Chi ritiene, vista l'eccezionalità della situazione, di non essere sottoposto a questo obbligo, lo dica chiaramente e spieghi chi dovrebbe invece intervenire! E che si faccia rapidamente chiarezza. È una questione di rispetto della dignità umana, ma anche (di nuovo) di protezione della salute: chi non avrà questa sicurezza, come potrà restarsene in quarantena settimane, forse mesi, senza essere tentato di aggirarla, per guadagnarsi da vivere? E si ritorna al punto di partenza, l'imperativo sanitario: perché resti il nostro obbiettivo, riportiamo al centro dell'attenzione i posti di lavoro e i luoghi di vita, esigendo che le misure sanitarie siano rispettate, sempre e ovunque!”.
Il Ticino già soffre, con un mercato del lavoro in grande difficoltà, e il sindacato è convinto che
“la crisi legata al Coronavirus lascerà tracce importanti, che renderanno ancora più difficile la situazione. La misura chiave, nell’immediato, resta il lavoro ridotto, che deve essere ulteriormente promosso presso le aziende, e reso più facilmente accessibile. Inoltre, come già richiesto ieri dall'Unione Sindacale Svizzera - Ticino e Moesa, chiediamo che le autorità federali predispongano un fondo straordinario per sostenere in modo mirato la regione, mantenendovi le capacità produttive presenti e prevenendo il pericolo di un ulteriore aumento del rischio di povertà, già oggi molto più alto che nel resto del paese”. Insomma, servono interventi per aiutare il Ticino.